Misericordia
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Misericordia

Il Giubileo di papa Francesco

  1. 160 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Misericordia

Il Giubileo di papa Francesco

Informazioni su questo libro

Arcivescovo emerito di Milano, pastore da sempre vicino alla gente, il cardinale Dionigi Tettamanzi si interroga sulla decisione del papa di indire il Giubileo della Misericordia. Un Anno santo dedicato all'accoglienza e al perdono che non vuole tralasciare nessuno, ma rivolgersi anzi, in modo particolare, a chi si sente solo e abbandonato, a chi si ritiene escluso dalla Chiesa, come le famiglie ferite, le coppie separate, i fedeli divorziati risposati e quanti si sentono giudicati per situazioni affettive particolari. Seguendo punto per punto la bolla Misericordiae Vultus, Tettamanzi affronta i temi scottanti della famiglia, dell'immigrazione, delle disuguaglianze sociali, del confronto con l'Islam, e ci racconta una Chiesa che vuole tornare alle radici del messaggio evangelico, confessare la propria gioia e assumersi la responsabilità di amare gli esseri umani, tutti. *** «In realtà, la misericordia non è soltanto un ideale, un valore, una verità, un dono spirituale, un'esigenza morale, un comandamento tra i tanti, un programma necessario di azione e di vita. Costituisce piuttosto il dato centrale del Vangelo nella sua interezza - il cuore o l'anima - e insieme costituisce il dato onnicomprensivo, un'unità cioè che accoglie tutto in sé stessa e che si apre e si diffonde irradiandosi sulla realtà come suo elemento vitale e personale».

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2015
Print ISBN
9788806228811

Approfondimenti

Dal testo della bolla giubilare Misericordiae Vultus riprendiamo alcune linee di pensiero per un loro sviluppo e approfondimento teologico-pastorale, quasi una ripresa e un rilancio di riflessioni in gran parte già note e valorizzate, ma che meritano di essere nuovamente rivisitate e riproposte nell’orizzonte tipico della misericordia di Dio e della Chiesa.
In concreto seguiamo questo cammino: partiamo dall’esperienza storica del giubileo cosí com’è stata vissuta da Israele, dal popolo scelto da Dio, per giungere all’esperienza che si viene realizzando oggi nella Chiesa: piú precisamente in una Chiesa che è chiamata a una vera e propria conversione in ordine ad avvicinarsi sempre piú alla meta affascinante e impegnativa della santità e in ordine a offrire cosí quella credibilità che gli uomini – in particolare del nostro tempo – esigono dalla Chiesa specie nel segno di un’autentica povertà evangelica, e cosí soffermarci – tra l’altro – su di un duplice elemento caratteristico del giubileo: il pellegrinaggio e l’indulgenza. Il nostro cammino potrà infine concludersi, in corrispondenza al giubileo voluto da papa Francesco, con uno sguardo orante e contemplativo rivolto a Maria, alla madre della misericordia, quale icona dei cristiani che ricevono la grazia e il comandamento di essere nella Chiesa e nel mondo testimoni e missionari di misericordia.

L’anno di grazia del Signore

Il giubileo della misericordia, che secondo le indicazioni della bolla d’indizione sta aprendo le sue porte sante e che le attraverserà nell’arco di tempo di un intero Anno santo (2015-2016), non è semplicemente un fatto storico, peraltro di singolare rilievo, ma è in specie un vero e proprio evento spirituale: è un’esperienza religiosa e umana che riprende e continua a far rivivere nel nostro tempo quell’anno di grazia proclamato da Gesú nella sinagoga del suo piccolo paese, Nazaret, con queste precise parole:
Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore (Lc 4.18-19).
Con queste parole l’evangelista Luca ci presenta Gesú come colui che interpreta in modo altamente autorevole e che porta a effettivo compimento l’annuncio profetico di Isaia, l’annuncio cioè dell’unzione dello Spirito del Signore sul profeta, mandato a proclamare l’anno giubilare per il suo popolo. L’oggi dell’anno di misericordia proclamato quel lontano sabato riaccade e diventa l’oggi di tantissime generazioni lungo la Storia ed è ora il nostro oggi, agli inizi del terzo millennio.
Se vogliamo cogliere il significato profondo e le implicazioni concrete di questo anno di grazia inaugurato da Gesú, dobbiamo rileggere il capitolo venticinquesimo dell’antichissimo libro del Levitico, un lungo brano nel quale si presenta la legislazione data da Dio per l’anno sabbatico e per l’anno giubilare in Israele.
Il nostro interesse non è quello di sapere come è stato effettivamente vissuto il giubileo dall’antico Israele, ma è quello di far emergere e di cogliere il futuro simbolico tracciato in questa pagina biblica, ossia la seguente proclamazione del Dio vivo e vero: «Io sono Jahvè, il vostro Dio». E possiamo aggiungere e precisare: «Io sono il vostro giubileo», il vostro giubileo vivente e personale.
È questa Parola che ora ci interpella, offrendoci un dono di grazia e un impegno per la nostra libertà. Siamo messi di fronte al calendario e alle leggi del duplice anno: sabbatico e giubilare, in particolare l’anno del riscatto della terra, dei fratelli caduti in miseria e degli schiavi (cfr. Lv 25.23-24.35-42).
La Parola di Dio ci fa ascoltare alcuni elementi caratteristici, a partire dalle motivazioni che fondano e spiegano le diverse leggi. La sintesi sta nelle parole «Io sono il Signore, vostro Dio, che vi ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, per darvi la terra di Canaan, per essere il vostro Dio» (Lv 25.38; cfr. anche 25.42). Dunque, prima di ogni legge particolare e di ogni compito concreto da svolgere durante l’anno sabbatico o l’anno giubilare, ciò che è qualificante, essenziale, decisivo per noi è il riconoscimento del vero volto di Dio. Il Dio biblico è un Dio che sta dalla parte di coloro che cercano la giustizia e si trovano in una umiliante condizione di bisogno; è un Dio che consola e ridà forza e coraggio a tutto un popolo affranto e distrutto, incapace di vedere un futuro di gioia e reso prigioniero delle proprie attese disilluse: «Consolate, consolate il mio popolo» (cfr. Is 40.1-11). In altre parole: il nostro Dio, il Padre del Signore nostro Gesú Cristo, è il Padre di tutti gli uomini, nessuno escluso. Ma è anche il Dio che spiega la forza del suo braccio schierandosi dalla parte dei poveri, degli oppressi e degli emarginati, come riconosce e canta Maria nel Magnificat:
Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva detto ai nostri padri, per Abramo e la sua discendenza, per sempre (Lc 1.51-55).
Se consideriamo ora il calendario che determinava le scadenze dell’anno sabbatico e giubilare troviamo come numero determinante il numero sette. Siamo cosí invitati a rimandare il tempo dell’uomo alla meta verso cui è orientato e diretto: appunto al settimo giorno quale tempo di Dio (cfr. Gen 2.1-4). In tal modo, il sabato dice non tanto l’astensione dal lavoro umano quanto la presenza di Dio: una presenza a favore dell’uomo e della sua libertà, una presenza riposante e liberatrice.
È in questa prospettiva che prendono significato le varie leggi riguardanti il diritto di riscatto, piú precisamente il riscatto della terra, il riscatto attraverso il condono e la remissione dei debiti dei fratelli caduti in miseria, il riscatto degli schiavi: indicazioni, queste, con cui viene presentato il dovere imperioso e urgente di farsi riscattatori di quanti versano in condizioni disumane o hanno perso la loro dignità e la forza – la stessa possibilità – di riscattarsi da sé. In particolare il termine go’el – colui che ha il diritto di riscatto – non rimanda soltanto alla cerchia ristretta della famiglia, del clan, di un solo popolo, ma riguarda anche i popoli tutti, i popoli come tali nel formare l’unica grande famiglia umana.
In questa prospettiva viene interpretata la proprietà della terra: «Le terre non si potranno vendere per sempre, perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e ospiti» (Lv 25.23). La terra è dono di Dio all’uomo e proprio per questo l’uomo ha una serie di obblighi nei riguardi di Dio, del prossimo e della terra stessa: di qui la necessità di vivere il legame con la terra nella consapevolezza che essa è del Signore. E, proprio per questo, la terra è per tutti e per essa il Signore può stabilire che vi sia un tempo di condono e di remissione dei debiti.
Si tratta di una giustizia che nel Deuteronomio viene letta e interpretata nel senso della misericordia e della condivisione:
Se vi sarà in mezzo a te qualche tuo fratello che sia bisognoso in una delle tue città nella terra che il Signore, tuo Dio, ti dà, non indurirai il tuo cuore e non chiuderai la mano davanti al tuo fratello bisognoso, ma gli aprirai la mano, gli presterai quanto occorre alla necessità in cui si trova (Dt 15.7-8).
Anche Gesú riprenderà questo tema nelle sue beatitudini: «Beati i miti, perché avranno in eredità la terra» (Mt 5.5). Non dunque attraverso la rivoluzione violenta, ma con la coraggiosa opposizione all’ingiustizia, un’opposizione corroborata dall’abbandono confidente nella giustizia di Dio, il mite vedrà trionfare la salvezza dei giusti.
Possiamo ora cogliere la correlazione che nell’anno sabbatico e giubilare vengono ad avere il riposo dell’uomo e quello della terra: è una correlazione che si riferisce al rispetto e all’amore per il creato, nei termini di una autentica ecologia umana e umanizzante: tale perché la sorgente prima e il rimando ultimo sono l’amore dell’uomo per Dio e, ancor piú, l’amore di Dio per l’uomo.
Ci chiediamo: quale attualità possono avere le leggi d’Israele per chi intende vivere oggi il giubileo della misericordia? Rispondiamo distinguendo e collegando tra loro l’elemento della logica spirituale profonda che la anima e l’elemento dell’osservanza del contenuto racchiuso nelle diverse leggi proprie dell’anno giubilare.
Dalla sintesi sinora offerta risulta con chiarezza che lo spirito piú profondo e originale che innerva la legislazione di Dio per il suo popolo costituisce ancora oggi la prima e piú grande ricchezza che ci è donata e che può riformularsi in attenzioni precise e in gesti concreti. Anche questi ultimi hanno non piccolo interesse per noi: alcuni almeno, mentre altri possono scoprire e individuare un’intelligente applicazione fatta di gesti e di opere giustificata e richiesta dalle tante diversità socioculturali che oggi sono in atto nel nostro mondo. Il discernimento di queste situazioni può portare a formulare, non meno indovinate e urgenti, applicazioni nuove rispetto al passato.
In termini generali è interessante il giudizio sugli antichi precetti d’Israele dato da Giovanni Paolo II nella lettera Tertio millennio adveniente in preparazione al giubileo 2000:
Anche se i precetti dell’anno giubilare restarono in gran parte una prospettiva ideale – piú una speranza che una realizzazione, divenendo pertanto una prophetia futuri in quanto preannuncio della vera liberazione che sarebbe stata operata dal Messia venturo – sulla base della normativa giuridica in essi contenuta si venne delineando una certa dottrina sociale, che si sviluppò poi piú chiaramente a partire dal Nuovo Testamento. L’anno giubilare doveva restituire l’eguaglianza tra tutti i figli d’Israele, schiudendo nuove possibilità alle famiglie che avevano perso le loro proprietà e perfino la libertà personale. Ai ricchi invece l’anno giubilare ricordava che sarebbe venuto il tempo in cui gli schiavi israeliti, divenuti nuovamente uguali a loro, avrebbero potuto rivendicare i loro diritti. Si doveva proclamare, nel tempo previsto dalla legge, un anno giubilare, venendo in aiuto a ogni bisognoso. Questo esigeva un governo giusto. La giustizia, secondo la legge di Israele, consisteva soprattutto nella protezione dei deboli e un re doveva distinguersi in questo, come afferma il salmista: «Egli libererà il povero che invoca e il misero che non trova aiuto, avrà pietà del debole e del povero e salverà la vita dei suoi miseri» (cfr. Sal 72.12-13) [Tertio millennio adveniente, n. 13].
Si apre qui un ampio ambito di considerazioni sulla grazia e responsabilità del giubileo voluto da papa Francesco. Bastino i rilievi biblici qui offerti per proseguire la riflessione sui molteplici significati, sia specifici che intimamente connessi tra loro, del giubileo secondo il suo volto teologico-cristologico, personale-sociale, individuale-ecclesiale, meditativo-operativo. Il tutto da affrontare in chiave storica di memoria-presenza-futuro, nel triplice gesto dell’annuncio-celebrazione-vita, in chiave di testimonianza e di missione, con l’analisi razionale e la Parola rivelata e il fuoco dello Spirito che dà luce e assicura la forza della grazia, eccetera.
Se qualcuno fosse particolarmente interessato, rimanderei – se ancora rintracciabile – al mio volume Parole di vita per la città dell’uomo [Marietti 1820, Genova 1999].

La Chiesa chiamata a conversione

A essere chiamata a conversione, a passare dal male al bene e dal bene alla santità, è la Chiesa viva e concreta: la Chiesa nella sua integralità o cattolicità e nelle sue piú diverse comunità e articolazioni: chiese locali, parrocchie, aggregazioni, singoli membri; la Chiesa nella varietà delle vocazioni e dei compiti di cui sono portatori i suoi membri; la Chiesa come istituzione e complesso di strutture, programmi pastorali e iniziative le piú diverse.
È una chiamata, questa, che risuona ininterrotta nel cuore perché entra e smuove il quotidiano cammino della Chiesa stessa, di tutti noi. In alcune situazioni, sia ecclesiali che socio-culturali, la chiamata alla conversione si fa in un certo senso «privilegiata», e dunque piú esigente e impegnativa, prioritaria e decisiva. È quanto avviene soprattutto in quel «tempo favorevole» che è stato storicamente individuato come proprio della quaresima e piú ampiamente dell’intero giubileo della misericordia.
È una chiamata ordinata ad accendere e ad alimentare un vero e proprio rinnovamento spirituale e pastorale, una riforma innovativa e audace che tocca l’agire concreto di tutti i credenti, come ci ha ricordato papa Benedetto XVI:
Il rinnovamento della Chiesa passa anche attraverso la testimonianza offerta dalla vita dei credenti: con la loro stessa esistenza nel mondo i cristiani sono infatti chiamati a far risplendere la Parola di verità che il Signore Gesú ci ha lasciato [Porta fidei, n. 6].
A chiedere questa conversione non sono tanto gli stessi cristiani, convinti come devono essere che la conversione è del tutto necessaria, sia per la fedeltà che è dovuta al Vangelo, sia per assicurare la credibilità della Chiesa di fronte agli uomini. In realtà è Gesú stesso, il solo e tutto santo, a volere che la sua Chiesa sia coraggiosamente una realtà santa e santificante. E, per questo, semper reformanda, sia conservando sia innovando.
Un quadro sintetico e pregnante sulla «Chiesa santa e insieme sempre bisognosa di purificazione» ci è dipinto con vivaci e decise pennellate dal Concilio vaticano II. Nella costituzione dogmatica Lumen gentium cosí i padri conciliari scrivono:
Ma mentre Cristo, «santo, innocente, immacolato» (Eb 7,26), non conobbe il peccato (cfr. 2Cor 5.21) e venne solo allo scopo di espiare i peccati del popolo (cfr. Eb 2.17), la Chiesa, che comprende nel suo seno peccatori ed è perciò santa e insieme sempre bisognosa di purificazione, avanza continuamente per il cammino della penitenza e del rinnovamento. La Chiesa «prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio», annunziando la passione e la morte del Signore fino a che egli venga (cfr. 1Cor 11.26). Dalla virtú del Signore risuscitato trae la forza per vincere con pazienza e amore le afflizioni e le difficoltà, che le vengono sia dal di dentro che dal di fuori, e per svelare in mezzo al mondo, con fedeltà, anche se non perfettamente, il mistero di Lui, fino a che alla fine dei tempi esso sarà manifestato nella pienezza della luce [Lumen gentium, n. 8].
Si potrebbe sviluppare qui una meditazione quanto mai gioiosa e insieme trepidante, esaltante e nel contempo preoccupata sulla santità della Chiesa e sul peccato dei suoi membri. Dovremmo soffermarci in particolare su alcuni aspetti del mysterium Ecclesiae che risultano essere nodali ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Misericordia
  3. Introduzione di Dionigi Tettamanzi e Paolo Rodari
  4. Misericordia
  5. Intervista
  6. Approfondimenti
  7. Misericordiae Vultus
  8. Il libro
  9. Gli autori
  10. Copyright