Ma la mattina seguente tutto cominciò ad assumere un aspetto diverso. Sembrava che nel sonno gli fosse successo qualcosa.
Mentre si vestiva, Newman provò di nuovo il suo amato senso di indipendenza e di autosufficienza. Aprendo la porta di casa a Gertrude, constatò che il bidone della spazzatura sul marciapiede era al suo posto e s’incamminò per la strada insieme alla moglie come se non potesse essere altrimenti, visto che finalmente si era ritirato da ogni competizione.
Quando passò accanto all’edicola senza prendere il giornale provò un senso d’imbarazzo, ma fu piú l’ultima goccia di un vaso ormai vuoto che la prima di un vaso appena rotto. A suo avviso, l’unica questione ancora da sistemare era Gertrude, la quale, in attesa che lui mettesse la moneta nel tornello della metropolitana, rendeva la cosa evidente tenendo un sopracciglio alzato e sospirando in continuazione.
Cosà passarono i giorni, e quando parlavano fra di loro sembrava che avessero un rospo in gola. Notando l’assenza di dialogo, Newman capà che lei stava aspettando l’ammissione dell’errore. Ma lui aveva una casa con il chiavistello, e quando lei fosse arrivata a capirlo si sarebbe rincuorata e sentita felice dietro la porta accanto a lui.
Tuttavia dopo un po’ la verità cominciò a librarsi silenziosamente all’orizzonte come una luna invisibile: aleggiava lÃ, proprio davanti ai suoi occhi. E Newman si accorse che anche lui era in attesa: stava aspettando di essere aggredito.
Anche se la seconda volta il bidone della spazzatura non era stato rovesciato con piú violenza della prima, lui sapeva perfettamente che stavano arrivando e sapeva che l’avrebbero trovato: non perché fosse cambiato qualcosa all’esterno, ma perché era cambiato lui. In quei giorni solenni passati accanto alla moglie, la città continuava a scolpire la sua anima. Quella condizione erodeva in silenzio i bordi della sua mente come le correnti la costa del mare. Non si manifestava in nulla di specifico: sorprendentemente non prendeva mai la forma di un episodio concreto. Semplicemente Newman viveva in uno stato d’attesa mentre il suo corpo sbrigava le faccende quotidiane: il lavoro al mattino, il pranzo a mezzogiorno, il rientro alla sera. Sovente lui e Gertrude andavano a cena al ristorante, si recavano al cinema piú di prima e un sabato pomeriggio, per divertirsi un po’, percorsero il lungofiume su un autobus della Quinta avenue. Ciononostante, la pressione che Newman aveva addosso non si allentava mai: dovunque guardasse vedeva forme nuove e sentiva suoni che le sue orecchie non avevano mai captato. Spesso, camminando tra la folla, coglieva al volo una conversazione e rallentava per ascoltarla perché gli era arrivato un «… eo» e voleva sapere a cosa si riferisse, e mentre cercava di seguire il filo del discorso sentiva il cuore battere forte e doveva aspettare un momento perché tornasse normale.
L’ubriaco che lo avvicinava per strada lo innervosiva e lo infastidiva. In passato avrebbe, se non reagito in malo modo, come minimo difeso la propria dignità cercando un poliziotto che si occupasse del furfante, ma adesso non sapeva piú a quali diritti appellarsi se l’ubriaco gli avesse dato dell’ebreo davanti all’agente. Non sapeva piú qual era il suo posto in città . Era uguale a tutti gli altri? E se il poliziotto l’avesse preso per un forestiero che ricorre sempre alla legge anziché difendersi da solo? Sapeva per esperienza qual era il suo atteggiamento verso gli innocenti di quel genere. Ma se si fosse difeso, quale compassione avrebbe potuto aspettarsi dai passanti nel caso in cui l’ubriaco avesse continuato a chiamarlo con quel terribile appellativo? Come poteva combattere da solo, cosà terribilmente da solo?
In quei giorni di calma apparente che passavano uno uguale all’altro, la sua mente era bloccata, ma siccome la mente ha bisogno di muoversi, la sua si muoveva nell’unica direzione possibile: verso la piú minuziosa analisi della violenza. Nei posti piú strani si sorprendeva con i pugni chiusi e si rendeva conto di aver immaginato un’aggressione. Era assalito da domande brutali: quanto doveva colpire duro per mettere un uomo al tappeto? Poteva colpire un uomo al mento senza fracassarsi la mano? Aveva la forza sufficiente a mettere un uomo fuori combattimento? Girava in città per le strade di sempre, ma la città gli appariva diversa e il suo onore lo perseguitava chiedendogli di essere difeso.
Tutto questo lo privava della calma interiore, lo appesantiva con una nuova personalità segreta. Non riusciva piú a entrare in un ristorante e a sedersi tranquillo a mangiare. Si sentiva turbato dalla presenza di certi uomini biondi, grandi e grossi, e, consapevole che il suo aspetto era in netto contrasto con il loro, quando se li trovava seduti accanto si sorprendeva a parlare piano, attento a non alzare la voce. Prima di prendere qualcosa dalla tavola si assicurava inconsciamente di non rovesciare nulla. Quando parlava teneva le mani sotto il tavolo anche se era abituato a gesticolare. Dagli sguardi e dalle occhiate della gente cercava d’imparare quale fosse il suo posto: infatti, benché si dicesse continuamente che stava diventando ipersensibile e che in realtà nove persone su dieci non lo notavano neppure, non riusciva a distinguere fra ciò che gli altri dicevano senza malizia e ciò che dicevano riferendosi a lui. Sentiva che la propria vita era sempre piú sotto pressione. Spesso, per non dare un’impressione di spilorceria, lasciava mance piú laute del solito, ampiamente ripagato dai sorrisi riconoscenti dei camerieri. Non osava piú trattenersi davanti al cassiere a contare il resto come aveva sempre fatto: ormai lo evitava. La città e la gente avevano finito per circondarlo puntandogli gli occhi addosso: nelle strade e nei luoghi pubblici non si sentiva piú anonimo. Le cose che aveva fatto per tutta la vita, le sue abitudini piú innocenti si erano trasformate in segni evidenti di una personalità aliena e maligna, una personalità che a suo avviso gli veniva lentamente, ma implacabilmente, attribuita. E dovunque andasse cercava di nasconderla, soffocandola in tutti i modi possibili e al contempo negando di possederla. Gli sembrava di vivere costantemente accanto ai pilastri della metropolitana perché cercava in continuazione di capire quanta gente fosse rappresentata dalle scritte violente che una volta definiva giornali occulti, la vera coscienza del popolo, il grido delle masse non edulcorato. E tuttavia non era sicuro di quanti nutrissero quell’odio: quanti sarebbero accorsi in suo aiuto in quella strada, quanti nel suo quartiere, quanti si sarebbero precipitati a difenderlo nell’oscurità della notte…?
Quando cominciarono a cadere le foglie e ad accendersi i riscaldamenti, il signor Newman era ancora in attesa. Da uomo del Nord, considerava il cambio di stagione un rinnovamento e una trasformazione, però nel freddo dell’inverno incipiente non aveva trovato una risposta alla domanda che si era posto il giorno in cui l’avevano buttato fuori dalla sala del comizio.
Tuttavia, con l’arrivo dell’inverno, in lui prese a risuonare uno strano accordo quieto. In quel periodo il vento gli erigeva intorno un’impalpabile ma insuperabile fortezza, una forza naturale che allontanava la gente dalla strada e la teneva al riparo nell’intimità della famiglia. Newman non aveva mai visto l’inverno sotto quell’aspetto, e quella sensazione gli piaceva. La città e il quartiere si erano raccolti intorno ai termosifoni accesi e lui poteva starsene in pace accanto al suo.
Forse si sarebbe accontentato, o quasi, di continuare a vivere senza amore ma immerso in quella tiepida pace, quando venne una notte cosà bella da suscitargli nuovamente il desiderio della straordinaria estasi che un tempo aveva conosciuto accanto alla moglie, una notte rara e tranquilla in cui le stelle proiettavano le ombre per terra, il cielo era sereno e l’aria frizzante era immobile. Gli alberi dietro casa, che si vedevano dalla porta a vetri della cucina, sembravano congelati dalle stelle. Dietro la sua sedia il radiatore gorgogliava. Gertrude stava bevendo il caffè dall’altra parte del tavolo e sua madre lo sorseggiava in salotto accanto alla radio. Com’era ormai abitudine, lui lo beveva senza avere il coraggio di alzare lo sguardo sulla moglie. Piú il caffè si esauriva, piú i loro occhi si abbassavano, quasi a esorcizzare la possibilità di trovarsi faccia a faccia in mancanza di un motivo esterno.
Ma quella sera, vuoi per la quiete che c’era fuori, vuoi per il modo in cui Gertrude era truccata, lui la trovò molto bella, e invece di alzarsi per andare in salotto, dove per fortuna la presenza della madre avrebbe reso la conversazione fra loro impossibile, appoggiò la tazza di caffè sul tavolo e, con le lacrime agli occhi e la voce profonda che usava quando lasciava cadere le difese, disse: – Gert.
Lei alzò lo sguardo, allarmata prima ancora che lui cominciasse, avendo colto l’appello accorato nel tono di voce del marito.
Con un sorriso timido e gentile, giocando con una briciola sul tavolo di acero lui azzardò: – Penso spesso a quanto siamo sciocchi. Davvero, Gert, – rise debolmente, – abbiamo tutto, sai? Perché non dimentichiamo ogni cosa e proviamo a essere di nuovo felici?
Pur essendo d’accordo, lei ritenne indispensabile esprimere un apparente dissenso.
– Usciamo spesso, – disse con un sospiro.
– Lo so, ma non siamo felici. O mi sbaglio?
– Credo proprio di no, – rispose lei tristemente.
– Penso spesso a ciò che abbiamo, – si accalorò lui all’istante, – una bella casa tutta nostra, un buon lavoro… Perché non facciamo la pace?
Con espressione innocente, lei spinse in fuori le labbra facendo la boccuccia – una mossa probabilmente imparata in un film che avevano visto insieme – e disse: – Ma, Lully, non c’è nulla da appianare.
Da sempre incapace di combattere con gli atteggiamenti evasivi, lui provò a insistere: – Qualcosa c’è. Io… non possiamo parlarne un momento?
Lei guardò il marito negli occhi, grandi e tondi per via degli occhiali, guardò le labbra tanto arrossate dal caffè caldo da sembrare gonfie, e inconsciamente distese la bocca per evitare ogni somiglianza. – Non mi piace vivere da queste parti, Lully, tutto qui.
Lui si accigliò dispiaciuto: – Perché c’è la mamma in casa o perché non ti piace il quartiere?
– Per il quartiere –. Gertrude spense con calma la sigaretta nel piattino. – Penso che dovremmo andarcene, cambiare città .
Preoccupato, lui abbassò la testa per incontrare lo sguardo della moglie che teneva gli occhi bassi. – Esaminiamo un poco le cose, cara, ti prego… – Le diede un buffetto sotto il mento e lei acconsentà ad alzare lo sguardo. – Che cosa posso fare? Pensaci un po’, cosa posso fare in concreto?
– Vai a trovare Fred, non è un demonio, è…
– Non dirai sul serio!
– E invece sÃ, Lully, – disse lei sulla difensiva.
– Dopo il modo in cui ci ha insultati?
– Non è vero che ci ha insultati…
– E invece sÃ, cara.
– SÃ, ma… – Nello sforzo di parlare si imporporò in viso. – Io so solo una cosa, Lully.
Allarmato dagli occhi arrossati della moglie, lui la incoraggiò in tono ancora piú gentile: – Che cosa, cara?
– Ci stanno facendo il vuoto attorno. Non mi interrompere, è cosÃ. Dovresti vedere come mi guardano ogni volta che vado dal macellaio.
– Chi?
– Tutti: la signora Bligh, la signora Cassidy, specialmente quella donna con la vecchia Packard che sta sull’angolo dall’altra parte della strada.
– Come ti guardano?
– Mi guardano male. Io lo so quando mi guardano male e quando no. Mi guardano come se fossi un’immigrata appena scesa dalla nave.
– L’hanno sempre fatto?
– No, è questo che sto cercando di dirti. Qualcuno sta spargendo delle voci sul nostro conto, lo vedo benissimo. Ci stanno tracciando un cerchio intorno, chiaro e netto come fosse fatto col gesso. Credimi, Lully, ripuliranno il quartiere com’è vero che sei nato.
Lui guardò preoccupato la briciola che gli si era incastrata sotto l’unghia.
– Ciò che voglio sapere, – continuò lei, – è da quale parte della scopa staremo noi. Non possiamo stare a metà del manico, Lully.
Senza guardarla negli occhi lui disse: – Non oseranno, non preoccuparti –. E alzò lo sguardo con aria risoluta.
– Che cosa faremo?
– Non c’è niente da fare se non ignorarli. Non mi costringeranno ad andare via, cara.
– Ignorarli.
– SÃ, basta non farci caso.
– ...