A Ullapoool non volava una mosca, anche perché a venti gradi sotto zero sarebbe morta di freddo. Era l’alba, ma il cielo a rischiararsi non ci pensava nemmeno poiché il 24 dicembre a Ullapoool il sole non sorge. Intorno, la neve pareva cotone. Dai rami dell’immenso abete nero al centro della piazza pendevano come decorazioni decine di animaletti addormentati: porcospini appallottolati, lemming accoccolati, candidi ermellini, scoiattoli scandinavi e civette delle nevi. All’apparenza si trattava di un normale villaggio immerso nei boschi, in realtà era il quartier generale di Babbo Natale, il luogo piú segreto dell’universo, invisibile perfino a Google Maps. Tutti gli abitanti dormivano, preparandosi alla grande fatica del giorno dopo, quando avrebbero finito di impacchettare e caricare la slitta. In quel momento, però, la calma regnava. Anche il vento riposava. C’era solo silenzio.
La quiete fu rotta da uno starnuto cosà tremendo che sembrava il barrito di un elefante marino. Trascorsero sei secondi esatti, poi sulla facciata della casa rossa che delimitava la piazza verso nord si accese una finestrella. Era un edificio quadrato dal tetto spiovente pieno di comignoli, su cui campeggiava il Grande Orologio di Ullapoool. Passarono altri sei secondi e si accese un’altra luce e un’altra ancora, quella della stanza dietro l’Orologio dove il signor Perparim Litmanen si era svegliato di soprassalto e aveva acceso una candela, percependo nell’aria un’improvvisa agitazione. Si strofinò gli occhi cisposi e, dopo avere infilato i piedi nelle ciabatte, si precipitò alla finestra. Vide una figurina magra in vestaglia e berretto di lana che avanzava in direzione della casa rossa a passi veloci ma cauti, per non scivolare sul ghiaccio, reggendo con una mano una lanterna e con l’altra una borsa. Lo gnomo orologiaio lo riconobbe. Era il dottor Kyösti Kallio, l’elfo medico. Si arrestò sullo zerbino e bussò tre volte.
Forse per riscaldarsi, forse per portarsi avanti con il lavoro, si infilò lo stetoscopio nelle orecchie. La serratura scattò, la porta si aprà e sulla soglia apparve la signorina Katerineen Høgli, la migliore amica di Babbo Natale, piú cicciottella che mai, piú sconvolta che mai, e con i capelli piú simili ad asparagi selvatici che mai.
– Che cos’è stato quel ruggito, Katerineen?
– Uno starnuto, dottor Kyösti. Ha la febbre alta, la faccia è rossa come un pomodoro, tossisce come un orco dei fiordi e suda come il muflone del monte Galdhøpiggen.
Il medico annuà con aria grave, mentre la donna si scostava di lato per farlo entrare. In fondo al corridoio, Katerineen spinse una grande porta di legno attraverso cui entrarono in una stanza spaziosa ma disordinata, rischiarata soltanto da candele. Sul pavimento c’era una distesa di giocattoli: palloni, biglie, racchette, freccette, schettini, slitte, scarpe iControl Effect Shock modello Gold e Iridium, cioè oro e arcobaleno, PlayStation, Nintendo, iPhone, iPod, iPad e iPat, soldatini, bambolotti e un’infinità di pennelli, pastelli e matite colorate. La parete affacciata sulla piazza era occupata da un’ampia portafinestra in vetro e ferro battuto; sul lato interno, invece, si stagliava un abete alto fino al soffitto sui cui rami fiammeggiavano centinaia di candeline sotto vetro.
Il dottor Kallio scavalcò un trenino elettrico, un pupazzo a molla e una casa di bambole, poi si inoltrò verso il letto di legno che galleggiava al centro della stanza simile a una zattera alla deriva. Da sotto le coperte spuntava il testone del signor Niklas Kristmas, meglio conosciuto come Babbo Natale, Santa Claus, Kris Kringle, Père Noël, Nonno Gelo, un vecchio ormai obeso e alto piú di due metri, completamente calvo, con una barba bianca lunga ma spelacchiata, il naso gonfio e la faccia paonazza, che in quell’istante dava l’impressione di essere piú morto che vivo. L’elfo dottore fece un altro passo, sempre con circospezione, per non inciampare. Babbo Natale starnutà di nuovo, sollevando in volo decine di fazzoletti di carta ciancicati sparsi sul pavimento. Kyösti Kallio estrasse un termometro digitale dalla borsa e lo infilò in bocca al malato, che borbottò un mugugno incomprensibile.
– Sei ridotto una schifezza, Niklas.
– È solo raffreddore, Kyösti. Rilassati.
Il termometro fece bip bip bip.
– Trentanove e otto. Stavolta se parti ci resti secco.
– Ci sono i regali da consegnare, dottore. Hai presente quella cosa che capita una volta all’anno, il 25 dicembre, che viene chiamata Natale, e che consiste nel portare tanti pacchetti a tanti bambini?
Il medico non sorrise e continuò a visitare il paziente, mentre alle sue spalle si stava radunando una piccola folla. Erano entrati senza parlare, uno dopo l’altro. Erano gnomi, nani ed elfi. Erano operai, infiocchettatrici e collaudatori. Erano gli abitanti di Ullapoool. Perfino gli animaletti addobbatori erano scesi dall’albero per venire a vedere il malato. L’intera stanza tratteneva il respiro. Il dottor Kallio finà di misurare il polso al paziente e sgranò gli occhi.
– Non se ne parla, non se ne parla proprio, Niklas, no no no, oggi tu te ne stai a letto buonobuono, ma buonobuonobuono! Io ho delle responsabilità , sono un medico, non posso farti morire. Che cosa credi?
Il vecchio lo fissò con una smorfia di disgusto.
– Cosà i bambini non avranno il Natale, imbecille!
Il dottore si sforzò di mantenersi calmo e di parlare piano.
– Se non mi ascolti, Niklas, non ci sarà piú nessun Natale. E io non voglio passare alla Storia come l’elfo che ti ha ucciso!
– Di raffreddore non è mai morto nessuno, ciarlatano!
Babbo Natale ruggiva. Il dottor Kyösti Kallio starnazzava. Entrambi gridavano. Gli altri li osservavano muti come lucci dei fiordi.
– Niklas, te lo dico chiaro e tondo: hai la pressione alle stelle, il cuore alle stalle, la circolazione in rovina, l’artrite al galoppo, la periartrite, l’artrosi, l’alitosi, la spondilite, l’ernia del disco, l’osteoporosi, le vene varicose, l’ulcera, il gomito del tennista, il ginocchio della lavandaia, l’orecchio da mercante, pochi globuli bianchi, pochi globuli rossi, niente piastrine e zero cervello! QUINDI OGGI TU NON ESCI, È CHIAROOO?
A ogni parola del medico l’espressione del vecchio si faceva piú tesa. Stava per esplodere, era evidente, ma quell’altro non la smetteva di incalzarlo per salvargli la vita. Era una scena che sembrava non dovesse finire mai, poi un urlo risuonò nella stanza.
– BASTAAAA!
I presenti si tapparono le orecchie. La voce di Katerineen era acuta. Assordante.
– Io ti voglio bene, Niklas Kristmas. Ti ho sempre difeso, anche quando avevi torto… E l’hai avuto tante volte. Ma Kyösti ha ragione, oggi tu non uscirai di casa. E non consegnerai i regali di Natale.
– Ma Katerineen, i bambini…
– Ascoltami bene, Niklas Kristmas…
Il tono della donna si fece suadente.
– … se tu muori adesso, morirà il Natale. È questo che vuoi?
Dal pubblico in sala si levò un mormorio di approvazione, ma Katerineen non si fece distrarre. Niklas si strinse nelle spalle e sporse all’infuori il labbro inferiore come un bambino.
– Hai altre soluzioni, Katerineen?
– Per come si sono messe le cose, vedo soltanto due possibilità .
Niklas chiuse gli occhi. Katerineen si sforzò di parlare lentamente.
– La prima è rimandare il Natale di qualche giorno…
– Ma ti sei bevuta il cervello?! Non se ne parla! Allora, già che ci siamo, facciamo il Natale ad aprile ché fa piú caldo, brava! Magari insieme alla Pasqua, per risparmiare. Oppure, mi è venuta un’idea: chiediamo un favore ai Re Magi, che ne dici?
– La seconda è incaricare della consegna qualcun altr…
– ALLORA TI SEI PROPRIO RINCITRULLITA, rimbecillita, rimbesuita, rimbambita, rin…
Il pubblico ammutolÃ. Katerineen riprese, sempre calma e paziente.
– Dammi retta per una volta, Niklas. I bambini non sanno chi gli porta i regali, non l’hanno mai saputo, la magia del Natale sta anche qui. Sfruttiamola, questa possibilità . È un’emergenza. I bambini saranno felici lo stesso, tu guarirai e il Natale continuerà a esistere piú bello di prima… In fondo è solo un altro trucco di magia. Ne facciamo già tanti…
Niklas esitò sospirando, poi scosse la testa.
– Non c’è nessuno che possa farlo al posto mio, Katerineen. A meno che tu…
– No, Niklas, non ci pensare, il mio posto è qui accanto a te e poi con la mia colite è fuori discussione. Non vorrei dover correre in bagno mentre consegno, pensa che figura…
Il medico annuÃ, anche Katerineen era una sua paziente. Niklas dissentÃ.
– Allora devo andarci io. Non ci sono altre possibilità .
Babbo Natale fece il gesto di alzarsi, ma Katerineen gli appoggiò una mano sulla spalla per tenerlo a letto.
– Io invece penso di sÃ, Niklas. Una possibilità ce l’abbiamo.
– E chi sarebbe? Sentiamo. La Befana? Non penserai mica che quella vecchia bacucca…?
– Penso a tuo fratello Luciano.
Un coro di «eeeh?», «cosa?», «chi?» serpeggiò per la sala.
Niklas si lasciò crollare all’indietro, esausto e sconsolato.
– Ma se non lo vedo da cinquant’anni, Kate.
– E allora? Non è una buona ragione.
– Ma, Katerineen, mio fratello lo sai com’è! Lo sai come la pensa!
– Lo so, Niklas. Ma che c’entra? Onesto lo è?
– Be’ sÃ, onesto è onesto…
– Le lingue le sa?
– SÃ, tutte quante.
– È anche un gran lavoratore…
– Be’, in effetti…
– E allora che cos’ha che non va?
– È un uguagliatore, Katerineen!
– Tu vedi alternative, compagno?
– Mamma, che cos’è un uguagliatore?
La bambina tirò per la sottana la madre, che le fece segno di stare zitta. Erano entrambe minuscole, intorno al mezzo metro di altezza. Il padre, poco piú in là , svettava nello splendore dei suoi ottantadue centimetri. Erano nani delle isole Fær Øer, i piú piccoli del mondo, impacchettatori per tradizione e maledettamente fieri di esserlo. La madre si chinò verso la figlia per bisbigliarle qualcosa all’orecchio.
– Astrid, bambina mia, gli uguagliatori sono persone proprio come noi, soltanto che credono…
Lasciò a metà la frase perché la stanza d’improvviso tacque e la sua voce, per quanto flebile, risuonò nel silenzio. Perfino il signor Kristmas, Babbo Natale, si era girato. Gli avevano appena portato un telefono e aveva bisogno di concentrarsi prima di chiamare suo fratello Luciano. In grembo teneva un’agenda di cuoio consumato e continuava ad accarezzare la coperta in pelliccia di orso bruno1 con le manone avvolte in guanti di pelo di lemming2. Sembrava indeciso. Dopo aver tratto un respiro profondo, aprà l’agenda per cercare il numero. Katerineen, seduta sul bordo del letto, controllava che ogni cosa procedesse come doveva. Il vecchio imprecava, sputacchiava e starnutiva. Faceva tenerezza. Non essendosi tolto le manopole, gli veniva difficile girare le pagine. Si vedeva quant’era emozionato.
– Non c’è, Katerineen, l’ho perso.
– Ma sà che c’è, Niklas. Cerca bene.
– Ma se non è sotto la l di Luciano, dove può essere?
All’improvviso, la sua faccia si illuminò. Si era ricordato, e si mise ...