Una ridefinizione della libertà.
In un’intervista rilasciata in un periodo coevo al lavoro sul suo Flaubert, Sartre fa riferimento ad una profonda revisione del concetto di libertà rispetto alla sua celebrazione enfatica proposta nell’ontologia fenomenologica de L’essere e il nulla. È la figura stessa della responsabilità a venire qui primariamente ridefinita. Essa non è piú il modo del soggetto di «scegliersi», di «farsi essere» a partire da un distacco netto da ciò che già esiste perché questa «scelta» non può che avvenire sullo sfondo dell’esistenza dell’Altro e del suo potere di condizionamento. È il passaggio dal poeta al poema che abbiamo appena esaminato nel capitolo precedente. Pertanto la stessa categoria etica di responsabilità si contrae, riducendosi ad una torsione singolare della ripetizione della propria infanzia nella quale consiste, in ultima istanza, la nostra libertà:
Io credo che un uomo possa sempre fare qualcosa di ciò che è stato fatto di lui. Ecco la definizione che oggi darei della libertà: quel piccolo movimento che fa di un essere sociale completamente condizionato una persona che non si limita a riesteriorizzare nella sua totalità il condizionamento che ha subito; quel piccolo movimento grazie al quale, per esempio, Jean Genet si fa poeta, mentre era stato rigorosamente condizionato ad essere un ladro2.
Ne L’idiota della famiglia, come del resto già in Questioni di metodo e nella Critica della ragione dialettica, la libertà non è piú pensata come trascendenza del soggetto, come potere di nullificazione, di nientificazione (néantisation) da parte del «per sé» della sua stessa fatticità, non appare piú come slancio incondizionato verso il futuro, ma si trova condizionata dalla presenza di «essenze storiche» che la precedono. La stessa formula capitale dell’esistenzialismo sartriano, «l’esistenza precede l’essenza» – teorizzata rigorosamente ne L’essere e il nulla e ripresa poi nella celebre conferenza L’esistenzialismo è un umanismo –, è costretta a subire, come abbiamo già indicato, una drastica riforma. Non esiste esistenza che non sia preceduta da essenze, non metafisiche ma storiche; non esiste esistenza che non appaia nel mondo se non determinata dalle concrezioni fatticistiche che la precedono e l’attraversano; non esiste esistenza senza infanzia. Le possibilità di una esistenza – in questo senso – non si dispongono davanti al soggetto valorizzando la libertà del suo progetto, ma si costituiscono paradossalmente alle sue spalle, come una sorta di stratificazione passiva dove adesso è l’essenza (storico-materiale) a precedere e a condizionare l’esistenza. Emerge in primo piano la dimensione traumatica dell’infanzia. L’autocritica non poteva essere piú netta:
L’esistenzialismo negava la sussistenza a priori delle essenze; non bisognerà ammetterla ora, e riconoscere che tali essenze sono i caratteri a priori del nostro essere passivo? E se è cosí come è possibile la praxis? Dicevamo un tempo che non si è mai vile né ladro… Non bisognerà di conseguenza dire che ciascuno si fa borghese o proletario… Ma per farsi borghesi bisogna esserlo… All’origine di tale appartenenza (alla classe sociale) ci sono sintesi passive della materialità… Esse esistono già, e si riducono alla pratica cristallizzata delle generazioni precedenti: l’individuo trova nascendo la propria esistenza predelineata3.
La rettificazione è qui evidente. La lettura di Marx e di Freud ha condotto Sartre oltre Descartes, ma anche oltre all’Husserl della intenzionalità della coscienza e dell’Ego trascendentale. Qui Sartre rivela un interesse nuovo per la costituzione eterodeterminata del soggetto, per la sua provenienza dall’Altro che reintroduce il tema delle essenze a priori – il piano di passività del soggetto – situandole sul piano storico-materiale e, come vedremo meglio in questo capitolo, radicandole nel tempo dell’infanzia del soggetto. L’esistenza, detto in altre parole, non precede l’essenza perché è a sua volta preceduta da essenze (storico-materiali-linguistiche) che non governa. Un esempio inequivocabile è quello dell’operaia delle officine Dop:
L’operaia delle officine Dop, quando ricorre alle pratiche abortive per evitare la nascita di un bambino che non potrebbe mantenere, prende una libera decisione per sfuggire al destino che le è stato «fatto»; sennonché tale decisione è truccata alla base dalla situazione oggettiva: essa realizza da sé ciò che è già: pronuncia contro se stessa la sentenza già emanata che le rifiuta la libera maternità4.
La categoria di «decisione», di importazione heideggeriana, è costretta a subire una profonda ridefinizione che accompagna quella stessa di soggetto. Esiste una «situazione oggettiva» che taglia il campo della libertà, l’irruzione di un reale che non è possibile aggirare e che contrae le possibilità del soggetto all’assunzione di una decisione che in realtà è parzialmente imposta dal discorso dell’Altro. Il processo di soggettivazione si snoda cosí dal piano delle essenze storico-materiali a quello dell’esistenza come ripresa – «ricordare procedendo» secondo Kierkegaard – di quelle stesse imposizioni imperative. È questa la ridefinizione della libertà come petit décalage che presiede tutto lo svolgimento de L’idiota della famiglia. In questo senso Sartre, sempre nell’intervista appena citata, afferma che:
Ne L’essere e il nulla, la «soggettività» non è certo quello che oggi essa è per me: il piccolo scarto (petit décalage) all’interno dell’operazione mediante la quale un’interiorizzazione si ri-esteriorizza essa stessa in atto… L’individuo interiorizza le sue determinazioni sociali: i rapporti di produzione, la famiglia della sua infanzia, la storia passata, le istituzioni a lui contemporanee, poi ri-esteriorizza tutto ciò in azione e in scelte che ci rinviano necessariamente a tutto quello che è stato interiorizzato. Ne L’essere e il nulla non c’era niente di tutto questo5.
La libertà ridotta ad un «piccolo scarto» non appare piú come un movimento di pura trascendenza della nostra fatticità6. Nel movimento che conduce Sartre verso una ridefinizione radicale della libertà come movimento di ripiegamento del soggetto sulle condizioni del suo assoggettamento, è l’idea stessa di soggetto che viene sovvertita. Non si dà infatti soggetto come sostanza – tema presente sin da La trascendenza dell’Ego –, ma non si dà nemmeno soggetto come sostrato veritativo ultimo, come supporto dell’essere – è la matrice ancora cartesiana che Sartre stesso riconosce al fondo de L’essere e il nulla –, ma si dà soggetto solo come processo di soggettivazione costantemente in atto, permanentemente vissuto: interiorizzazione dell’esteriorità e riesteriorizzazione dell’esteriorità interiorizzata. La trascendenza non è, dunque, come pareva ancora ne L’essere e il nulla, l’esito di una ripresa e di un allargamento della categoria husserliana dell’intenzionalità della coscienza, un movimento orientato in avanti, fuori di sé, ma implica un’eredità insopprimibile che la trascina costantemente verso le sue interiorizzazioni primarie, verso le marche indelebili della propria infanzia. Il soggetto sartriano appare, in altre parole, come effetto del «discorso dell’Altro», per usare una nota definizione di Lacan che non può risultare prossima al Sartre de L’idiota della famiglia. L’inclusione della categoria di inconscio nel processo di soggettivazione avviene in questo testo di fatto anche se Sartre ribadisce la sua distanza dalla sua concezione freudiana classica. Se egli adotta la prospettiva dell’inconscio è piú a partire da Lacan. Abbiamo visto come nelle sue prime prove filosofiche, Sartre abbia cassato l’inconscio freudiano in favore di una concezione fenomenologica radicale della vita della coscienza che prescindeva totalmente da ogni istanza trascendente interna, Ego o Es che fosse. La perplessità sartriana su di una concezione topica dell’inconscio resta attiva anche ne L’idiota della famiglia e non è troppo diversa, come abbiamo già fatto notare, da quella che ispira la critica lacaniana al post-freudismo, ovvero ad una nozione di inconscio che riabilita un determinismo evolutivistico in seno alla concezione psicoanalitica del soggetto. L’inconscio per Sartre come per Lacan non può essere ridotto ad una parte rimossa della vita psichica poiché riflette l’incidenza dei significanti dell’Altro sulla vita del soggetto definendosi, per usare le precise parole di Lacan già citate, come quella «contingenza che l’istanza del significante imprime nell’inconscio»7.
Ora, questa «impressione» – questo effetto di marchiatura del significante nella sua contingenza – non suppone empiristicamente, né per Sartre né per Lacan, un essere già dato sul quale esso si eserciterebbe, quanto un processo topologico dove l’essere del soggetto e la sua marchiatura si danno in uno stesso tempo, quel tempo che Sartre definisce ne L’idiota della famiglia col termine «vissuto». Questo termine sostituisce, come abbiamo già accennato, quello di coscienza pre-riflessiva o coscienza irriflessa che aveva prevalso nella definizione della soggettività nel Sartre esistenzialista de L’essere e il nulla, riuscendo ad integrare sia le determinazioni del discorso dell’Altro che la loro ripresa singolare, l’interiorizzazione dell’esteriorità e la sua riesteriorizzazione. In questo modo Sartre può definire il soggetto non come la trasparenza irriflessa della coscienza intenzionale, ma come il paradosso di una soggettività sommersa da se stessa:
Nel libro su Flaubert che sto scrivendo ho sostituito la mia antica nozione di coscienza – benché facciano ancora molto uso di questa parola – con ciò che chiamo il «vissuto»… il quale non designa né i rifugi del preconscio, né il conscio, bensí il terreno su cui l’individuo è continuamente sommerso da se stesso8.
In questo paradosso dobbiamo leggere il recupero sartriano della nozione di inconscio. Se nella soggettività pensata in quanto «per-sé» emergeva in primo piano la trascendenza come spinta del soggetto verso l’Altro, movimento centrifugo di esplosione-verso, progetto, libertà, eccetera, ora siamo di fronte ad un soggetto impantanato, denso, costituito non tanto da istanze intrapsichiche – è la critica che Sartre continua a riservare a Freud –, ma da una scrittura eteroclita che condiziona la trascendenza manifestando un soggetto sommerso da se stesso, ovvero preso nella morsa dell’Altro. Di qui la necessità che il filosofo francese avverte di rettificare con convinzione la sua concezione della libertà esposta ne L’essere e il nulla. Se questa libertà attribuiva «alla coscienza la possibilità permanente di fare un taglio netto con il proprio passato, di staccarsi per poterlo considerare alla luce di un non essere e per potergli conferire il significato che ha partendo dal progetto di un senso che non ha»9, ora il problema della libertà del soggetto non può essere posto se non in rapporto a dei circuiti di costrizione e di ripetizione che precedono la sua libertà.
Costituzione/Personalizzazione.
La prima grande parte dell’opera dedicata a Flaubert...