Spatriati
eBook - ePub

Spatriati

  1. 280 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Spatriati

Informazioni su questo libro

Un romanzo sull'appartenenza e l'accettazione di sé, sulle amicizie tenaci, su una generazione che ha guardato lontano per trovarsi. Claudia entra nella vita di Francesco in una mattina di sole, nell'atrio della scuola: è una folgorazione, la nascita di un desiderio tutto nuovo, che è soprattutto desiderio di vita. Cresceranno insieme, bisticciando come l'acqua e il fuoco, divergenti e inquieti. Lei spavalda, capelli rossi e cravatta, sempre in fuga, lui schivo ma bruciato dalla curiosità erotica. Sono due spatriati, irregolari, o semplicemente giovani. Mario Desiati mette in scena le mille complessità di una generazione irregolare, fluida, sradicata: la sua. Quella di chi oggi ha quarant'anni e non ha avuto paura di cercare lontano da casa il proprio posto nel mondo, di chi si è sentito davvero un cittadino d'Europa.

«Un romanzo baciato da qualcosa di magico».
Annalena Benini «Un libro bellissimo, una grande storia libera di questo tempo sghembo».
Concita De Gregorio «Da spatriato a spatriato, aspettavo questo romanzo da tempo».
Nicola Lagioia «La diversità che ci fece stupendi, spatriati, saldi e commoventi come i nostri desideri in un romanzo sensuale ed esatto».
Chiara Valerio

Domande frequenti

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2021
eBook ISBN
9788858435977
Parte seconda

Spatriètə

(agg. Ramingo, senza meta, interrotto, detto del sonno che si interrompe: u sunnə spatriètə. Anche balordo, irrisolto, allontanato, sparpagliato, disperso, incerto. Esempio dal dizionario martinese-italiano di Gaetano Marangi: lassə’ apirtə u jaddənèrə e lə jadd
nə sə spatrajĕrənə int’a və́gnə
, «lasciò aperto il pollaio e le galline si dispersero nella vigna»).
Martina Franca è uno di quei paesi abbastanza grandi per tenerti al riparo da situazioni incresciose, salvo plateali sbadataggini. Un mattino, nei paraggi della parrocchia, incontrai Michele Duranti bardato di collane, una selva di serpenti tatuati sulle braccia. Salivo sul sagrato e ammiravo le facce da oratorio o le intemerate di don Bastone aggiustandomi le giornate col vento di giugno fatto di sabbia e grano. Una parte di me era già consapevole di cosa stava cercando, ma un’altra quella consapevolezza la seppelliva nel senso di colpa e nella paura, mi sentivo un essere informe: non sapevo ancora che si possono desiderare piú persone in modo molto diverso, non consideravo l’ipotesi di amare Claudia e smaniare allo stesso tempo per il bacio di un pretino con i paramenti.
Ad aspettare che qualcosa accada può venire il peggio. Michele Duranti mi credeva il nuovo fidanzato di Claudia Fanelli.
– Ti metti Veleno come cognome? – chiese minaccioso schioccando la lingua.
Risposi «Sí» senza guardarlo, fedele alla regola di non contraddire chi è piú potente e disperato di te. Fissavo le teste di serpente dei bicipiti e masticavo il fiele dell’ingiustizia che stava per compiersi.
– Sai cosa sei, Veleno? – continuò con l’aria allusiva di chi conosce meglio di me il mio destino.
– Non saprei.
– Sei una capa di cazzo.
Rimasi in silenzio, aveva un fiato cattivo.
– Allora? – incalzò. – Non hai niente da dire, capa di cazzo?
– N’dd, – dissi, che nel mio dialetto vuol dire niente. Rispondere con quella parola cosí gutturale, animalesca, mi diede il tempo e la forza di allontanarmi, il dialetto aveva fatto perdere a Duranti l’attimo che divide la decisione dal dubbio. Camminai piano in direzione opposta, cosí come aveva fatto Claudia quando l’aveva lasciato assecondando un romanzo. Berciò frasi scostumate ma senza inseguirmi, le sue parole non pesavano quanto le mie.
– Non sei stato un vigliacco, solo un uomo saggio, – mi consolò Claudia dalla ringhiera che dava sul panorama murgese. Era l’estate piú lunga della nostra vita, quella prima dell’università, un periodo di grandi aspettative in vista del nuovo millennio. Ci scambiavamo idee su poesia e musica (Bowie e Iggy Pop c’entrano qualcosa con Rimbaud e Verlaine?) Eravamo nozionisti e idealisti e guardavamo al futuro pieni di paura e possibilità (io), speranza e determinazione (lei). Le nostre vite non erano cambiate dopo il primo bacio, che fu anche l’ultimo; avevamo provato a farcelo piacere, caldo e asciutto, superficiale, a fior di labbra. Ci amavamo in modo diverso, ma ci amavamo.
A ogni tramonto ci separavamo per tornare alle nostre recite domestiche. Etta lavorava sul senso di colpa, la moglie devota e il marito fedifrago che prima o dopo avrebbe pagato la sua slealtà al giuramento matrimoniale. Ai miei occhi apparivano come una coppia improbabile tanto quanto i miei. S’erano innamorati sul treno per Martina Franca ai tempi dell’università. Enrico apparteneva a una famiglia di merlettai e ricamatrici. Sul treno notò Etta con i suoi colletti e polsini di pizzo mentre puliva con dedizione il posto sul quale si sarebbe seduta.
– Secondo te è possibile innamorarsi di una persona per tenerezza e non per passione? – mi chiese Claudia.
– No.
– E invece io sono nata da due persone che provano tenerezza l’una per l’altra, ma non si sono mai amate davvero.
Immaginai che le andava incontro con un fazzoletto di seta bianco in mano, la criniera ancora fulva. «Mi chiamo Enrico e hai perso questo», le diceva. «Non lo trovavo piú», si schermiva lei. «Sí, lo hai perso tempo fa, l’ho raccolto da terra e l’ho fatto lavare». Cosí ce li rappresentavamo nell’inesausto gioco di reinventarci la vita dei nostri genitori prima che conoscessero l’amore che li rendeva pazzi e clandestini.
Dopo un temporale estivo, di quelli che segnano l’ambiguo confine da cui le giornate iniziano a rimpicciolirsi, ci rifugiammo a casa mia. Una bomba sulla nostra routine fatta di passeggiate e confidenze all’aria aperta. La casa era vuota, Claudia la percorse con gli occhi, il naso puntato verso la mia camera dove ci saremmo cambiati, sguardi furtivi a portafotografie e scaffali. «Ho una casa deludente», pensai, non c’erano libri ma cianfrusaglie accumulate sui piani. Invece lei cercava tracce della donna che amava suo padre. Intirizziti ci spogliammo senza imbarazzo, solo odore di pioggia, piedi scalzi e capelli umidi. Poi impugnò il fon come una pistola e mi sparò addosso il getto caldo. Rideva guardandomi scomposto dal vento bollente che soffiava sui miei capelli e il viso. Avvertii una sensazione di pienezza.
Mi confidò che suo padre le aveva aperto un conto corrente e ci aveva messo dentro un milione. Un milione! La cifra mi parve spropositata, non riuscivo neanche a raffigurarmela, le consigliai di nasconderli in una parete. Spensi il fon e un silenzio pesante ci gravò sulle spalle.
– Ci farò un viaggio, – disse Claudia.
Tentai di dissuaderla accampando pavidi scrupoli.
– Te li vuoi godere nella tomba?
– Abbiamo un sacco di tempo davanti a noi, – insistetti.
– No, non c’è tempo, Frank.
Claudia accese la radio ma incappò solo in notiziari: era stato chiesto l’ergastolo per Giulio Andreotti, il Pontefice si era innamorato degli occhiali di Bono, qualcuno aveva votato al sesso tra detenuti. Abbassò il volume: – I grilli sono molto meglio –. Il cielo si era rasserenato, uscimmo lasciando la casa in subbuglio.
«Non c’è tempo» continuava a ronzarmi nella testa.
Le cene in famiglia dopo la maturità erano una tortura, perché si trasformavano nel festival dei consigli non richiesti. Ogni volta un discorso edificante di Veleno padre: una sera se ne uscí con la storia che aveva investito soldi e tempo nei miei studi. – È giunto il momento di tirare le somme e restituire il dovuto con una scelta universitaria esemplare –. Che solennità, che imprevedibile forbitezza d’espressione del pistolero di Martina, Texas.
Gliel’avevo sempre invidiata, quell’aria attiva, vitale, naturalmente pratica. Spesso ne conseguivano atteggiamenti spicci che non contrastavo, subendoli con quel misto di passività e rassegnazione che hanno i figli unici tormentati da padri competitivi in cerca di conferme sulla loro supremazia genetica.
Sazio e allegro cambiò discorso, della mia scelta universitaria in fondo non gli importava granché, iniziò a bearsi di sue imprese scolastiche (una lucertola di gomma nel cassetto della bidella). Mia madre, dall’altro capo del tavolo, restava in silenzio, senza che la sua forchetta si fosse avvicinata alla bocca. Nel piatto bianco, il verde cocomero in un angolo e il rosso dei pomodori in quello opposto, poi le cipolle e i capperi.
– A proposito di investimenti, il padre di Claudia le ha aperto un conto corrente, – dissi per provocarli. Gli occhi di ceramica di mio padre incrociarono i miei, carichi di sfida. – Ci ha messo dentro un milione.
– Eh, grazie al cazzo, sono ricchi, – chiosò con la spavalderia del bambino che grida il re è nudo. Bevve un sorso di vino, si diede un colpo sul petto, trattenne il fiato, ridacchiò tra sé per aver sventato un rutto. Il bambino non era bambino, e il re nudo lo vedevamo tutti senza che nessuno lo indicasse.
Guardai mia madre. Tu non sei Claudia, tuo padre non è Enrico. Ce lo aveva scritto in faccia.
– Puoi aprirlo anche tu un conto corrente, – disse. – Però poi domani inizi a lavorare –. Ce l’aveva con me.
– Sí. Lavorerò, – dissi senza crederci.
– Lavorare Francesco? – intervenne mio padre scandalizzato. Dalla finestra arrivò una musica leggera, un furgone di dolciumi. «Gessyca Gelati, Gessyca qua, Gessyca là, Regali e Gelati, Gelati e Regali, Gelati, Gelati!» Una melodia allegra e incalzante, un richiamo irresistibile. Mio padre si alzò e improvvisò uno degli spettacoli di cui pare andassero ghiotti i suoi studenti. Ancheggiò al ritmo del refrain e per ogni «Gelati» urlato dall’altoparlante scuoteva il bacino, finché la musica si diluí nel ronzio d’auto della periferia. Allora distese la mano e il braccio verso di me come a passarmi un oggetto che non riuscivo a vedere. – Vai a fare il ballerino.
– Speriamo balli meglio di te, – gli disse mia madre.
– Non so ballare ma almeno non ho mai mangiato nel piatto degli altri.
– Piatto? – ridacchiò amaramente mia madre. – Come si sta sposati da vent’anni con un piatto? Non era meglio sposarsi che ne so… un tappeto orientale o… un cucchiaino, ti ci vedi sposato con un cucchiaino?
– Sei sempre esagerata, Elí –. Quando la chiamava Elí era una falsa resa, mio padre non la prendeva sul serio.
– Sono un piatto pieno di crepe –. Mia madre lo disse tenendo gli occhi fissi oltre suo marito e suo figlio, davanti a lei l’insalata scomposta nei quattro ingredienti aveva un senso nuovo.
– Non litighiamo, Elí –. Mio padre voleva essere calmo, ma il respiro accelerò. – Quel grand’uomo del vostro dottore regala un milione a una bambina e ora è il vostro idolo, padre dell’anno 1999.
– Enzo –. Pronunciando il nome con una rotondità che preludeva a un intervento severo, mia madre disse: – Sto per essere sgradevole.
– Sentiamo.
– Un padre dovrebbe discutere concretamente…
– … concretamente…
– … del futuro, parlare di facoltà universitarie.
– Puoi farlo tu quando non sei troppo impegnata in ospedale.
– Sei tu il professore, io sono solo un’infermiera, – lo disse con un’umiltà spiazzante.
– Professore di coglioneria sono.
Basta, avrei voluto urlare, ma il furgone della Gessyca Gelati irruppe di nuovo con la sua musica.
RegaliGelatiRegaliGelati.
Mio padre non aspettava altro, si avviò verso il soggiorno a passo di danza, viveva in un mondo di invisibili spettatori, per questo era impossibile volergli male.
– Da ragazzo era divertente –. Lo disse restando ferma, quasi impietrita, dentro un abito azzurro che mostrava il collo lungo. – Adesso è diventato tragico.
Gli occhi di Elisa Fortuna in Veleno erano però giacinti che si aprivano alla luce. Quella luce per un breve tempo era stato mio padre, ma adesso era Enrico. Quei giacinti avevano visto le persone del mio paese ammalarsi, guarire e a volte morire, avevano accudito e accolto il loro dolore. C’era un mondo che mia madre si portava addosso come una seconda pelle, e ci aveva fatto il callo. Elisa Fortuna si era indurita per stampo e disciplina. Il callo è un ispessimento della pelle, un t...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Spatriati
  4. Parte prima. Crestiene
  5. Parte seconda. Spatriètə
  6. Parte terza. Malenvirne
  7. Parte quarta. Ruinenlust
  8. Parte quinta. Sehnsucht
  9. Parte sesta. Torschlußpanik
  10. Epilogo. Amore
  11. Note dallo scrittoio o stanza degli spiriti
  12. Il libro
  13. L’autore
  14. Dello stesso autore
  15. Copyright