Quella domenica si è alzata con un peso sullo stomaco. Niente di che, solo l’effetto della bottiglia di limoncello che era arrivata sul tavolo dopo che ne avevano già scolata una per chiudere in bellezza la serata.
– Dà i, solo un goccio.
Aveva accennato un no, ma poi il goccio lo aveva accettato. C’erano buone ragioni per festeggiare, ragioni che adesso valgono lo scotto di lasciar perdere il caffè nella moka, sostituendolo con il sapore di gesso mentolato dello sciroppo.
Il tempo si è volto al brutto, le previsioni danno pioggia in città e neve sulle montagne. Suo marito è uscito portandosi dietro i bambini in bicicletta. Deve ricordargli di comprare i giornali, sempre che Florian trovi un’edicola aperta prima che arrivi la pioggia annunciata, quella pioggia cosà fitta e penetrante da rimpiangere di non stare piú in alto, fuori dal microclima che in simili giornate non risulta favorevole, tantomeno favoloso. Però il freddo lei lo pativa di piú a Pavia che là dov’era finita la sua odissea d’insegnante. Un’odissea classica se, una volta ottenuto il posto di ruolo, avesse chiesto il trasferimento nella città da dove era partita, e non ancora piú a nord, cosà a nord da sembrare già Germania.
Tempo di sistemare la cucina, tempo di dirsi che non è piú abituata a cenare tardi e non si abituerà mai alla media di bevande alcoliche che qui tracannano senza pagare pegno, e si sente meglio: non straordinariamente su di giri come la sera prima, ma alleggerita e rasserenata.
CosÃ, mentre fa colazione con tè e Oro Saiwa, assapora di essere l’unica a poter dire con certezza che l’idea partorita alla loro tavola non era frutto della leggera sbronza collettiva. Chissà se il risveglio nella luce trattenuta dalle nuvole l’ha fatta svaporare dalla mente tornata lucida degli altri. Era un’idea folle, questo senz’altro: per l’ambizione, non nella sostanza che, a prescindere dalle doti curative che le avevano attribuito, le sembrava ancora valida e intrigante. E lei ne aveva viste, di chimere da ubriachi. Ripensando all’anno di supplenza a Bassano, c’erano state serate uguali sotto il profilo alcolico e per l’immediata vicinanza che la bevuta in compagnia sprigionava. Anche la compagnia di ieri sera somigliava a quelle in cui si era inserita altrove, con una relativa facilità che aveva smesso di stupirla quando si era accorta dell’esistenza di uno schema replicato dappertutto. In qualsiasi punto della penisola sede di scuole secondarie, un numero limitato di colleghi e di colleghe si accollava ogni tipo di attività extracurriculari, dalle temute gite di classe alle iniziative pubbliche che rappresentavano la cima emersa dei loro sforzi di costruttori di cultura. Da quando si era imbarcata a Palermo per raggiungere il suo primo incarico, aveva sempre scelto di far parte di quel basamento di docenti a cui si aggregavano, di volta in volta, delle figure piú visibili: la bibliotecaria e il libraio, lo storico locale e il decano emerito, il giornalista che copre ogni evento, la solerte neolaureata o la ragazza dai capelli strani e ogni tanto, quando la giunta era amica, persino l’assessore alla cultura.
Quelli rimasti fino all’ultimo nell’unica pizzeria aperta fino a tardi corrispondevano insomma alla categoria che una certa retorica amava definire «intellighenzia», anche se erano quattro gatti, i soliti, al massimo soccorsi da qualche rinforzo venuto dal capoluogo di provincia.
Tutto il mondo sarebbe veramente stato paese, se la pizzeria non avesse avuto gli arredi e la perlinatura ingiallita di una Gasthaus alpina e se, per giunta, i progetti favolosi materializzatisi con l’aiuto della bottiglia di limoncello non avessero innescato un mescolarsi sfrenato delle lingue. Solo laggiú, a quella tavolata, dove sino al momento prima si brindava e scherzava in dialetto, come tutti gli altri.
Nel periodo in cui sapeva a memoria l’orario delle linee Pavia-Milano-Verona-Brennero, aveva scoperto che il suo tedesco modellato dall’Erasmus a Colonia era certo apprezzato nella Heimat di Florian, ma riempiva l’aria di una correttezza aliena. Sentiva chiacchierare in italiano sugli autobus diretti nelle zone periferiche, invece il tedesco standard si allontanava raramente dal perimetro frequentato dai turisti. Non ci aveva messo niente a salutare come si usava lassú, non molto a capire le conversazioni in dialetto. In fondo non era un’esperienza nuova. In Veneto aveva imparato a capire il veneto e a superare il disagio di sentirsene comunque esclusa. Era successo una volta che, aprendo le finestre dopo una lezione, si era trovata davanti il Monte Grappa. Le erano venuti in mente i milioni di siciliani finiti in quei luoghi – chi in guerra, chi alla ricerca di un lavoro – senza saper né leggere né scrivere e neppure parlare l’italiano. «Mischini», aveva pensato, se la sono cavata pure loro. Cosà si era abituata a non fare piú caso allo scarto tra la lingua in cui le parlavano e quella in cui si esprimeva. Era diventata una collega da invitare alla macchinetta del caffè e, infine, al rituale aperitivo che a volte si protraeva sino al dopocena. L’unico prezzo era che il dialetto usato in compagnia tendeva a relegare all’ascolto chi non c’era nato e cresciuto dentro. Era capitato pure ieri sera con lo scrittore di Bolzano e il dirigente della scuola italiana. Ma poi erano saltati gli argini perché era sconfinato l’entusiasmo. Era sconfinato fino a rendere quella pizzeria modesta, gestita da un meridionale che serviva da bere ai clienti al banco, il centro di un mondo dove i confini erano tanto instabili quanto incredibilmente vasti. Ognuno aveva da aggiungere un pezzetto di storia, una trovata, un desiderio a cui dare forma. Gli italiani intervenivano o in tedesco o in lingua madre, gli altri continuavano in dialetto, e chiunque gettava in mezzo delle esclamazioni di sdegno o meraviglia, insomma delle parolacce.
Se lei non si fosse trasferita lassú da dodici anni, non avrebbe saputo cogliere l’eccezionalità di quella sovreccitata e, al tempo stesso, armoniosa confusione. Ma adesso ha due bambini cresciuti in tre lingue, figli di quelle unioni che rappresentano un’ulteriore minoranza, l’unica non censita in nessun registro. Da Florian hanno assorbito il tedesco languido che si parla in Austria, da lei un italiano senza accento, e il dialetto lo hanno assimilato un po’ ovunque. Tra qualche anno anche loro dovranno compilare la Sprachgruppenzugehörigkeitserklärung2 o dichiarazione di appartenenza a un gruppo linguistico, decisione che, secondo Aldo Kofler, il caro amico vicepreside, sarebbe da affidare al lancio di una monetina. – Come vuoi che scelgano dei quattordicenni, Angela? Per fare parte del gruppo o per distinguersi dal gruppo, per ferire il papà che è uno stronzo o per riguardo verso la mamma che rimarrebbe troppo ferita. A volte funziona un po’ come per i figli di genitori separati.
Lei lo aveva guardato esterrefatta.
– Tranquilla, si sfasciano solo le famiglie che hanno già delle magagne.
– Mi rassicuri, grazie.
– I miei stanno insieme e non si sopportano, come quarant’anni fa.
Le era uscito uno sbuffo, un insieme di sollievo e insofferenza. – Che si facciano pure tedeschi, i miei figli: tanto per la Sicilia non serve il passaporto.
– Era la posizione di mia madre, ma non l’ha mai esplicitata –. Aldo Kofler si era toccato il mento e per un attimo anche la bocca, quasi per trattenersi dall’andare avanti. Infine aveva detto che all’epoca si era dichiarato tedesco, come era atteso e pure logico, ma poi non aveva piú rivolto la parola a suo padre. – Diciamo che non è durato molto ed era un’ottima scusa, oltretutto…
Angela controlla il telefono, ci sono dei WhatsApp di suo marito. Le pagine fotografate di due articoletti molto simili nelle due lingue ufficiali: inaugurato dalle autorità , grazie al sostegno di, nella splendida cornice dell’aula magna che era stata la sala da pranzo del grande albergo, omaggio allo scrittore praghese che scelse la tranquillità e l’aria buona della nostra località di cura, dimostrando ancora una volta la vivacità e la qualità elevatissima…
È incerta se esserne piú rincuorata o infastidita, cosà ascolta il messaggio vocale. Florian e i bambini si sono fatti venire a prendere in macchina, il cielo era scurissimo, la nonna proponeva Wiener Schnitzel, si fermano a pranzo e tornano nel primo pomeriggio.
Angela manda un simbolo d’approvazione mentre inquadra la portafinestra e sospira. I suoi fiori sono chiazze dipinte da un pittore della domenica che fa tristemente il verso agli impressionisti. Chissà cosa ne rimarrà dopo il diluvio. Con questo tempo avrà messo il naso fuori, Aldo? O la loro colonna e coordinatrice, Katia, che si alza sempre presto, ma la domenica mattina fa prima i mestieri, poi yoga e, dopo la doccia, i ritocchi della tinta?
Angela invia loro le foto dei giornali, le gira pure allo storico, alla germanista in pensione che insegnava a Venezia, al dirigente del liceo italiano, all’ex alunna tornata da Berlino con la zazzera di un rosso elettrico mutato in biondo platino per adeguarsi al lavoro di impiegata comunale.
Non serve aggiungere granché, visto che le due versioni del dimostrando ancora una volta la vivacità e la qualità elevatissima le ha evidenziate con dei cerchi azzurri. Basta una faccina che ride fino alle lacrime.
Ieri sera erano troppo felici e orgogliosi per tornare sulla dissonanza con cui si era aperto quel sabato mattina, davanti all’ingresso della scuola, sulla terrazza concepita per una clientela oziosamente seduta ai tavolini esposti al sole. Piú tardi sarebbe stata attrezzata per il coffee break, ma alle otto e mezza non c’era nulla da osservare, giú nella piazza, tranne le manovre di parcheggio di chi faceva parte della loro comitiva. In attesa che arrivasse Katia con le chiavi, si erano messi a sfogliare i quotidiani.
Il lavoro di anni. Le difficoltà enormi causate dalla pandemia. Gli oratori di fama internazionale che avevano tenuto fede al loro impegno, addirittura sobbarcandosi un viaggio da Berlino. Il coinvolgimento delle scuole. La ricerca del materiale iconografico da esporre in aula magna. La levatura mitica dello scrittore. Neanche quella. Il giorno prima, un trafiletto con l’annuncio della cerimonia inaugurale. E adesso nulla.
– Il grande esperto dice che il suo autore si tira dietro la sfortuna, – era intervenuta la germanista, – ci ha raccontato delle storie incredibili…
La curiosità verso quegli aneddoti aveva scavalcato la delusione. Angela ascoltava, ma non si toglieva dalla testa quanta attenzione avrebbe ottenuto lo stesso evento sul «Giornale di Vicenza», «La Provincia Pavese», persino sul «Giornale di Sicilia». L’attenzione, certo. Però nemmeno un terzo degli appoggi e finanziamenti che qui permettevano di mettere in piedi delle cose degne di una capitale. Era piú chi ha il pane non ha i denti oppure nemo propheta in patria?
Sicuramente era caratteristico della piccola patria che, per statuto autonomo, seguitava a fornire tutto doppio: due toponimi, due scuole, due giornali. Bastava guardarli adesso, ripiegati, quasi intatti, perché saltasse all’occhio sino a che punto quella duplicità non combaciasse. La prima pagina del quotidiano in lingua italiana apriva su un ragazzo morto in un incidente, quello tedesco attirava lo sguardo su una bandiera bianca e rossa con un’aquila strappata. Quel che dagli uni veniva definito il centenario di un’ingiustizia insuperabile, l’annessione all’Italia, dagli altri non era neanche menzionato in taglio basso.
Il sole tiepido di una bella mattina d’autunno splendeva su Merano, probabilmente l’unico posto al mondo dove parecchi grandi hotel abbandonati erano stati trasformati in scuole pubbliche. E se era vero che insegnare al Savoy o al Kaiserhof a volte provocava un risucchio verso l’epoca gloriosa in cui erano popolati da baronesse, generali, capitani d’industria e celebrità varie, non da futuri cuochi e maître cui dover somministrare un’infarinatura di tedesco e italiano, era altrettanto innegabile che la città si era sempre sollevata in fretta dai periodi piú bui. Dopo l’imperatrice Sissi erano arrivati i Savoia, il teatro era stato dedicato a Puccini però l’orchestra del Kurhaus aveva ripreso il repertorio di valzer, melodie d’operetta e altra musica ballabile. I ricchi non venivano solo da Vienna, Praga e Budapest, ma anche da Torino e Milano. E intorno alla data storica commemorata come il giorno in cui la Heimat era stata squarciata in due, i pochi alberghi riaperti erano pieni.
– Perché noi non avevamo solo il buon clima che neanche un conflitto mondiale può distruggere, ma pure il burro e gli ortaggi che altrove erano irreperibili e persino un po’ di carne.
Cosà aveva detto lo storico, prima d’infilare il giornale con la bandiera strappata nello zaino.
– È la stampa, bellezza! – aveva ironizzato il giornalista. – Hanno un bisogno disperato di vendere tre copie in piú o almeno di non perdere gli abbonati.
– Forse hai ragione e ormai sono piú inutili che dannosi, – aveva risposto lo storico, – per me potrebbero anche chiudere, se non fosse per voi che ci sbarcate il lunario.
– Non cambierebbe niente, – aveva scosso la testa l’ex alunna mettendoci tutto il rimpianto del suo rosso punk e del suo passato berlinese.
– Perché mai dovrebbe cambiare, se qui la gente sta comunque meglio che nel resto del Paese? – si era intromessa Katia con il suo realismo da prima laureata di una stirpe di malgari. Dopo un’occhiata all’orologio, aveva tirato fuori le chiavi dicendo che bisognava darsi una mossa a sistemare l’aula magna.
L’avevano seguita, lasciandosi alle spalle il dissapore.
La prima a farsi viva con lei è stata Katia. Bene! Domani provo a sentire la tizia che vi ho detto, mi porto avanti. Poi Aldo Kofler, seguito dal ronzio dei ringraziamenti. Mezz’ora dopo averle scritto, gli è venuta l’ispirazione di mandarle un video dei Blues Brothers che ha girato a tutti. We’re On A Mission From God, ha ribadito la ragazza platino, a grandi lettere piazzate sopra le cravatte di Dan Aykroyd e John Belushi. Katia ci mette un attimo a realizzare che hanno un nome e un’immagine per una chat che va creata subito, anche se mancano un paio di contatti. Ci penso io, risponde lei, poi si prepara un bagno con dei sali che profumano di mare. Le campane suonano le dodici, Florian e i bambini stanno per mettersi a tavola, la pioggia è scomparsa nel vapore che riempie il bagno. Basta attivare quella chat per dare inizio a qualcosa, si dice guardando le sue ginocchia ancora un po’ abbronzate, e fa defluire l’acqua tinta di azzurro.
La prima parte della serata in pizzeria era stata presa dai festeggiamenti. Il programma si era svolto senza intoppi, le ultime belle giornate avevano aiutato a riempire l’aula magna, gli ospiti accompagnati al treno erano parti...