I delitti della salina
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I delitti della salina

  1. 296 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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I delitti della salina

Informazioni su questo libro

Una protagonista femminile, coraggiosa e ribelle. Si chiama Clara Simon, è una giovane «mezzosangue», e vuole diventare la prima giornalista investigativa italiana nella Cagliari di inizio Novecento.

Quando una delle sigaraie - le manifatturiere del tabacco - va a chiederle aiuto, Clara Simon non sa che fare. È una bella ragazza, con quegli occhi a mandorla ereditati dalla madre, una cinese del porto che, nonostante le differenze di classe, aveva sposato il capitano di marina Francesco Paolo Simon. Poi però è morta di parto e il marito è finito disperso in guerra. Cosí, Clara vive con il nonno, uno degli uomini piú in vista di Cagliari, e lavora all'«Unione», anche se non può firmare i pezzi: perché è una donna, e soprattutto perché in passato la sua tensione verso la giustizia e il suo bisogno di verità l'hanno messa nei guai. Ma la sigaraia le spiega che i piciocus de crobi, i miserabili bambini del mercato, stanno scomparendo uno dopo l'altro e, di fronte alla notizia di un piccolo cadavere rinvenuto alla salina, Clara non riesce a soffocare il suo istinto investigativo.

«Francesco Abate ne I delitti della salina prende il lettore per mano e se lo porta in un altro tempo e in un altro spazio, tenendolo stretto e non mollandolo fino all'ultima pagina».
Maurizio de Giovanni, «Corriere della Sera»

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2020
eBook ISBN
9788858434925

1.

– «A Parigi è stato arrestato, in circostanze eccezionali, il feroce assassino del milionario Flement di Tours. Nella Brasserie Talaguas, un giovanotto ha ordinato da bere e ha iniziato a corteggiare le kellerine. Fattasene sedere una accanto, le ha tenuto codesto discorso: “Io, tale e quale mi vedete, ho ucciso un uomo, un milionario, e gli ho portato via parecchie migliaia di franchi. Ma a mia volta sono stato derubato. Peccato, cara signorina, avrei regalato l’intero bottino per i vostri occhi belli!”»
Distratta da un brusio indistinto che veniva da basso, Clara abbandonò la lettura a voce alta del giornale. Aguzzò l’udito, ma non sentí piú nulla. Sbuffò guardando il porto che si estendeva sotto le sue finestre. Forse quel rumore era la concitazione in arrivo dalle banchine, dove due bastimenti di famiglia si preparavano a levare le ancore, e uno si intravedeva entrare in rada.
Si schiarí la voce e riprese con avidità a scorrere l’articolo. Le parole rimbombarono nel salone, fra i ritratti degli avi e le poltrone damascate: – «A un segno convenzionale della donna, che teneva a bada con moine il singolare avventore, il padrone della brasserie è corso a chiamare la gendarmeria. Questa è giunta mentre l’uomo misterioso continuava a raccontare le sue gesta, vinto dal fascino degli occhi della kellerina».
Clara si fermò di nuovo e si domandò perché mai Fassberger avesse voluto testardamente usare un termine tedesco e, inoltre, ben poco in voga, per definire una cameriera: «kellerina». Eppure il pomeriggio precedente lei aveva segnalato al direttore che sarebbe stato piú opportuno preferire l’italiano, o al limite attenersi alla lingua del Paese in cui erano avvenuti i fatti, il francese.
Non c’era stato nulla da fare, però, i suoi consigli non erano stati presi in considerazione.
Dal secondo piano del caseggiato, rintocchi secchi e vivaci suonarono la decima ora della mattina, quando un miscuglio di strepiti umani e latrati animali salí prepotente dalle scale. Poi, d’improvviso, il baccano si quietò.
– Maledetti marinai e maledetto questo palazzo, – imprecò Clara, rinsaldando con fare nervoso la presa sui fogli del quotidiano e cercando la concentrazione necessaria per dedicarsi alla sua grande passione, la seconda, in realtà: leggere a voce alta le notizie del giorno per rivelare errori, sbavature e mancanza di ritmo negli articoli che, seppur in minima parte, erano anche opera sua.
– Visto che non mi concedono piú di scrivere, che almeno mi si lasci leggere in santa pace, – mugugnò tra i denti. Quindi si schiarí di nuovo la voce e riprese: – «Condotto in sezione, l’omicida ha confessato con un cinismo ributtante, e si è dilettato nel narrare, sin nei dettagli minori, l’assassinio commesso a colpi di martello sul cranio della vittima, come in uno dei piú terrorizzanti racconti di Edgar Allan Poe».
Clara sorrise, soddisfatta d’essere riuscita a far passare questa finezza – «come in uno dei piú terrorizzanti racconti di Edgar Allan Poe» – sulla prima pagina delle quattro che componevano il quotidiano dei sardi, «L’Unione».
Poté però gongolarsi per poco, perché dai piani bassi il trambusto lievitò fino a trasformarsi in un baccano non piú ignorabile. Si alzò di scatto, furiosa, buttò il giornale sulla poltrona, lasciò il salone, percorse il lungo corridoio e uscí dal suo appartamento in vestaglia, senza curarsi di essere scalza.
– Oh, insomma, chi fa tutto questo chiasso? – strillò affacciandosi nella tromba delle scale. Sportasi dalla balaustra, vide il vecchio portiere con accanto il suo cagnetto indemoniato. L’uomo si agitava e urlava contro qualcuno che sbraitava piú di lui, ma che da quella altezza Clara non riusciva a distinguere. Il pinscher nano abbaiava a sostegno del padrone, rendendo incomprensibili le parole dei contendenti e, dunque, la ragione dell’alterco.
– Serafino! Che succede? – gridò Clara senza essere ascoltata. Il portiere sembrava occupato a respingere un’invasione, mentre il cagnetto, con la furia di un mastino, aveva agganciato un pezzo di stoffa, un logoro e vetusto tendaggio.
– Santa pazienza! – soffiò Clara scendendo di corsa la prima rampa di scale, per provare a sentire e vedere meglio. La treccia nera in cui aveva annodato con maestria i lunghissimi capelli le percuoteva la schiena, ora a destra ora a sinistra, come il batacchio di un portone.
A metà strada fra il terzo e il secondo piano di Palazzo Simon, si scontrò con le impiegate in grembiale nero e polsini bianchi che, curiose, avevano disertato gli uffici della società di famiglia ed erano tracimate sullo scalone per assistere dalle ringhiere al manicomio sottostante.
Clara si fece largo, guizzando verso il primo piano. Lo trovò, oltre che saturo di forti odori, intasato dagli equipaggi appena sbarcati dai vascelli della Compagnia di Navigazione Simon e in attesa di paga allo sportello dell’economato. – Chi è questa madonna? – ebbe il tempo di dire un nocchiere di prima nomina, mentre i veterani si davano di gomito, complici.
Stufa, Clara scese ancora e trovò posto sul pianerottolo del mezzanino, dal quale ebbe finalmente una buona visuale; capí subito che era meglio svignarsela il piú in fretta possibile.
– Signorina Simon!
Accidenti, l’aveva vista.
Un donnone, in camicia bianca e coprispalle grigio, i capelli raccolti in una grossa cipolla, la additò: – Signorina Simon! Signorina Simon! Siamo qua per lei! Glielo dica, a questo babbuino, di farci passare.
– Qui non passa nessuno che non sia lavorante, famiglio o iscritto nel registro delle visite. E tu, Sarrana, non sei nulla di tutto ciò, – sentenziò il portiere, mentre il cagnetto si accaniva, ringhiando, sulla lunga gonna di una povera vecchina. Piú che un essere umano, l’anziana donna sembrava un corvo: aveva il volto scuro e incartapecorito, incorniciato da un fazzoletto nero. Immobile come un pennuto impagliato, pareva non far caso né al tormento che le dava la bestiola né alla baraonda.
– Signorina Simon! La prego, è un caso di estrema necessità!
Sarrana non si era mai persa d’animo, nella vita. Non si era spaventata alla carica dei carabinieri, l’anno precedente, di fronte ai cancelli della Manifattura dei tabacchi, né al roteare dei bastoni dei crumiri, figurarsi se potevano intimorirla un bisbetico che le arrivava ai fianchi e un topo che neppure le superava i polpacci.
Clara la guardò impassibile, lasciandosi andare a un commento che, in mezzo a quella confusione, pensava non potesse essere udito: – Mi avete già rovinato l’esistenza in passato…
– Signorina Simon, non dica cosí, la prego, le sigaraie della manifattura le saranno grate per sempre, e io con loro.
– La vostra gratitudine non mi ha salvato da… – Clara si bloccò, realizzando che non era certo davanti a metà dei dipendenti della Compagnia Simon che avrebbe dovuto mettere in piazza i fatti suoi. Fatti che, già da anni, erano abbondantemente sulla bocca di tutti.
Fu in quell’istante che si rese conto di essere in vestaglia e scalza, alla mercé degli sguardi, degli apprezzamenti, delle risatine e dei commenti della folla assiepata sulle ringhiere.
A porre fine a quel carosello fu una voce baritonale: – Serafino! Fa’ tacere quella bestiaccia! Oppure, a Natale, il tuo caro Tino ce lo facciamo a suchitu, al posto del coniglio!
L’immenso cavaliere Ottavio Simon comparve nell’androne e il palazzo piombò nel silenzio.
In un lampo, contabili, segretarie, telefoniste, dattilografe, capitani e marinai di ogni grado ritornarono dentro gli uffici. Persino Tino mollò la presa e indietreggiò, tremante e con la coda in mezzo alle zampe, per andare ad accucciarsi dietro il deschetto del portinaio, lontano dallo sguardo severo del padrone di tutta la baracca e di buona parte del porto di Cagliari.
La vecchia lo squadrò. Forse era l’uomo piú alto e massiccio che avesse mai visto. Non fiatò.
– Signore, vi prego di lasciare il nostro palazzo, – disse in tono pacato ma fermo il cavaliere. A quelle parole Serafino esibí un sorriso carico di soddisfazione, si aggiustò i bordi del gilet liso e guardò Sarrana con aria di sfida, mentre il pinscher osava sbucare oltre i legni, dove si era rintanato, quasi in cerca di rivalsa.
– Quanto a lei, – proseguí Ottavio Simon levandosi dalla testa canuta il capello a larghe tese e fissando dritto negli occhi il donnone, – sia chiaro che non è per divergenze politiche né per cattiva educazione che la allontano dalla nostra proprietà, ma per la scia di guai che la sua presenza porta inevitabilmente con sé.
Sarrana serrò le mascelle e indirizzò gli occhi alla balaustra: – Seppure ora vi negate, so che siete entrambi di cuore gentile. E non resterete impassibili davanti alle preghiere di una povera nonna in cerca di aiuto per la scomparsa del nipote, – e indicò la vecchia.
Clara trasalí, ma riuscí a non farlo trasparire.
– Ci sono i carabinieri, per questo, – disse il cavaliere.
– Buoni, quelli, – replicò la donna.
– Allora, visto che non è sua abitudine rivolgersi al potere costituito, può ricorrere ai suoi cari amici della Camera del lavoro. Non siete forse tutte socialiste, voi sigaraie?
– Fra le nostre operaie, che si spezzano la schiena a confezionare i suoi amati sigari, c’è anche qualche anarchica. Ma siamo gente perbene, cavalier Simon, e lei lo sa. Se no da anni avremmo mischiato fra i trinciati, le polveri da fiuto e le foglie di tabacco un bel po’ di veleno per topi e avremmo risolto per sempre i nostri conflitti in città.
Simon si concesse una grassa risata, Serafino si vide costretto a imitarlo, mentre Clara restò stupefatta da quel teatrino.
– Bene, vi saluto, mie signore, – disse il cavaliere incamminandosi verso i piani alti e lanciando uno sguardo di rimprovero a Clara che, al segnale, si apprestò a risalire.
– Signorina Simon, lei è una delle principali benefattrici dell’asilo che presto sorgerà dentro la manifattura! – La voce di Sarrana la raggiunse sulle scale. – E so che non resterà insensibile alla mia richiesta di incontrarla. La aspetto domani alle quattro e mezza del pomeriggio davanti all’ingresso dell’«Unione», fortuna vuole che il suo giornale e la nostra fabbrica siano dirimpettai.
– Non lo faccia! – urlò Clara senza voltarsi, continuando a salire le scale. – E si ricordi che quello non è il mio giornale, la manifattura non è la vostra fabbrica, ed è solo una grande sfortuna che siano l’uno davanti all’altra.
– Non è l’unico bambino scomparso! Non è l’unico! – furono le ultime parole che Clara udí prima di chiudersi la porta del suo lussuoso appartamento alle spalle.

2.

Le braccia pendenti come due lunghi bambú e le gambe troppo sottili per reggere un busto tanto corto e massiccio: che essere sgraziato! Avevano fatto bene a ribattezzarla Sarrana, perché proprio a una rana dell’acquitrino somigliava, quella sfrontata petulante.
Durante la sua salutare passeggiata mattutina, Clara non riusciva a scacciare i pensieri che si rincorrevano nella mente come zanzare moleste, dopo il fastidioso incontro del giorno prima con una delle caposquadra della fabbrica di sigari e sigaretti.
– Non è l’unico bambino scomparso? Ebbene, non è affar mio, – si disse. Aver giocato la carta della giustiziera, brava scema, in passato le era costato caro, e niente avrebbe reso meno pesante il prezzo che ancora stava pagando.
– Le sigaraie mi saranno grate per sempre? Proprio una bella consolazione. Intanto al giornale, a far da balia letteraria a quei quattro somari, ci sto io. Io finirò i miei giorni a correggere bozze, altro che gratitudine!
Passò vicino al grande cantiere di fronte al molo maggiore.
La fabbrica del nuovo palazzo civico era a buon punto. Notò che le sette arcate del porticato erano state ultimate. Imponenti, in pietraforte, guardavano in faccia il porto e di sbieco la stazione ferroviaria, come per dare il benvenuto ai viaggiatori che arrivavano in città. Oppure il bentornato a chi, rientrato dopo anni a Cagliari, si stupiva nel vedere trambusto e magnificenza là dove sino al 1899 c’era stato solo un modesto stabilimento di bibite.
...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. I delitti della salina
  4. 1.
  5. 2.
  6. 3.
  7. 4.
  8. 5.
  9. 6.
  10. 7.
  11. 8.
  12. 9.
  13. 10.
  14. 11.
  15. 12.
  16. 13.
  17. 14.
  18. 15.
  19. 16.
  20. 17.
  21. 18.
  22. 19.
  23. 20.
  24. 21.
  25. 22.
  26. 23.
  27. 24.
  28. 25.
  29. 26.
  30. 27.
  31. 28.
  32. 29.
  33. 30.
  34. 31.
  35. 32.
  36. 33.
  37. 34.
  38. 35.
  39. 36.
  40. 37.
  41. 38.
  42. Il libro
  43. L’autore
  44. Dello stesso autore
  45. Copyright