Prima persona singolare
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Prima persona singolare

  1. 200 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

«La "prima persona singolare" di Murakami osserva la vita da un punto preciso, lí dove la realtà deraglia e il particolare si fa universale. Questo libro ci svela che davvero esiste un mondo, un altro mondo, dentro al nostro».
Laura Imai Messina Murakami Haruki è da solo in viaggio nel nord del Giappone. Al calar del sole si ferma in un ry?kan, le tipiche locande di montagna giapponesi, e decide di approfittare del bagno termale per rilassarsi. Ed è lí, tra i vapori dell'acqua calda, che entra una scimmia: «Buonasera», dice la scimmia, «vuole che le lavi la schiena?» La scimmia ha imparato a parlare dal suo antico padrone, ama ascoltare Bruckner e ha una vita molto interessante alle spalle. La racconterà al nostro narratore mentre si bevono una Sapporo come due vecchi amici che, complice la notte, si confrontano sul tema dei temi: l'amore. Inizia cosí uno di questi otto racconti in cui Murakami dice finalmente «io», otto gemme che anche quando sconfinano nei mari del fantastico non rinunciano alla sincerità, al calore della confessione, all'emozione di un cuore per la prima volta messo a nudo.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2021
Print ISBN
9788806252915
eBook ISBN
9788858435922
Argomento
Literature

With the Beatles

Quel che trovo strano, avanzando negli anni, non è tanto il fatto che sia invecchiato io; che abbia raggiunto l’età che ho senza neanche rendermene conto, io che fino a ieri ero un ragazzo. A sorprendermi è piuttosto constatare come i miei coetanei − soprattutto tante belle ragazze piene di vita che vedevo intorno a me quando eravamo giovani − siano ormai in età da avere due o tre nipotini. Ogni volta che ci penso provo un senso di indefinibile meraviglia, ma a volte anche di tristezza. Benché non mi rattristi affatto il pensiero di essere io, anche io, anziano.
Se veder invecchiare quelle che un tempo erano delle adolescenti mi deprime, forse è perché mi obbliga ad ammettere che i miei sogni di ragazzo si sono spenti. E quando i sogni muoiono, in un certo senso per una persona è ancora piú triste che non morire realmente. A volte mi sembra veramente ingiusto.
Ricordo bene una ragazza, una donna, al tempo in cui era molto giovane. Però non conosco il suo nome. E nemmeno ho idea di dove sia e di cosa faccia adesso, ovviamente. Tutto quello che posso dire di lei è che frequentava il mio stesso liceo, aveva la mia età (il badge appuntato sul suo petto indicava che eravamo dello stesso anno), e doveva essere una grande fan dei Beatles. A parte ciò, di lei non so niente.
Questo succedeva nel 1964, l’epoca in cui il gruppo di Liverpool faceva furore nel mondo intero. Era l’inizio dell’autunno, le lezioni erano appena iniziate e a scuola stava ricominciando la solita routine. Quella ragazza camminava a passo veloce nel corridoio del liceo. La gonna svolazzante, sembrava andare di fretta. Fu lí che la incrociai, in quel corridoio male illuminato del vecchio edificio scolastico. A parte noi, non c’era nessuno. Si stringeva gelosamente al petto un disco. L’album che si intitola With the Beatles e ha quella copertina sensazionale: la foto in bianco e nero dei quattro membri del gruppo, metà in ombra. Per qualche motivo, ero sicuro che non si trattava di un’edizione giapponese o americana, ma di quella originale inglese.
Lei era bellissima. Perlomeno, a me parve stupenda. Non molto alta, capelli lunghi, gambe snelle, e un profumo buonissimo (no, questa sarà stata una mia impressione, è probabile che non avesse nessun odore. Comunque è quello che pensai. Quando le passai di fianco, credetti di sentire un profumo delizioso). Rimasi incantato. Da quella ragazza di cui non so il nome, che si stringeva al petto il disco With the Beatles.
Il cuore prese a battermi forte, per qualche secondo non riuscii a respirare e ogni rumore si fece molto lontano, avevo l’impressione di stare sul fondo di una piscina. Nelle orecchie sentivo solo un vago tintinnio di campanelle, come se qualcuno volesse comunicarmi una notizia grave e urgente. Ma durò un tempo brevissimo, forse dieci o quindici secondi. Era successo all’improvviso, e quando mi ripresi tutto era già passato. Il messaggio urgente era scomparso nei meandri di un labirinto, come il filo di un sogno. La maggior parte degli eventi importanti, nella vita, sono cosí.
Il corridoio un po’ buio del liceo, una ragazza bellissima, l’orlo svolazzante della sua gonna, e l’album With the Beatles.
Fu l’unica volta che la vidi. Negli anni che trascorsero fino al diploma non la incontrai piú. A pensarci ora, è abbastanza strano. È vero che il mio era un liceo statale piuttosto grande sulla collina di Kōbe, frequentato da circa seicento allievi per anno (eravamo la generazione dei baby boomer, quindi eravamo tanti); non ci conoscevamo tutti, e della maggior parte dei miei compagni non sapevo il nome né ricordavo la faccia. Tuttavia andavo a scuola ogni giorno, passavo da quel corridoio tutti i momenti, e non ha senso che non abbia mai piú rivisto quella ragazza cosí bella. Tantopiú che ogni volta mi guardavo attorno con molta attenzione per non lasciarmela sfuggire, nel caso ci incrociassimo.
Era evaporata cosí, come fumo? Oppure, in quell’inizio d’autunno, avevo fatto un sogno a occhi aperti? A meno che non avessi trasfigurato la bellezza di quella ragazza, complice la semioscurità del corridoio, e rivedendola non la riconoscessi piú. (Di queste tre possibilità, penso che la prima sia la piú plausibile).
Da quel giorno ho conosciuto e avuto relazioni con diverse donne. E ogni volta che iniziavo una nuova storia, era come se inconsciamente cercassi di ritrovare quell’emozione… di resuscitare il momento magico vissuto nell’autunno del 1964 nel corridoio del mio liceo. Le palpitazioni silenziose del cuore che batte forte, la difficoltà a respirare, il tintinnio di campanelle in fondo alle orecchie.
A volte ci riuscivo, a volte no (purtroppo il suono delle campanelle era troppo debole). Mi succedeva anche di riafferrare quella sensazione, solo per lasciarmela sfuggire a qualche svolta del percorso. In quei casi, le emozioni che provavo mi servivano da criterio di valutazione del mio livello di innamoramento.
Quando riuscivo a ritrovare quella sensazione nella vita reale, rivivevo quietamente il ricordo di quella provata un tempo. In questo modo la memoria diventava uno dei miei strumenti emotivi piú preziosi, addirittura un mezzo per sopravvivere. Come un tiepido gattino che dorma nascosto nella grande tasca di un cappotto.
Ma parliamo dei Beatles.
Quella ragazza, l’avevo vista un anno prima che arrivassero al successo planetario. Ma già nell’aprile del ’64 si erano aggiudicati i primi cinque posti nella classifica dei singoli. Una cosa mai vista nel mondo della musica pop. Quelle cinque canzoni erano:
Can’t Buy Me Love
Twist and Shout
She Loves You
I Want to Hold Your Hand
Please Please Me
Can’t Buy Me Love, da sola, fece piú di due milioni di prevendite e ricevette il Double Platinum prima ancora di arrivare nei negozi.
Naturalmente i Beatles avevano moltissimi fan anche in Giappone. Accendevi la radio, ed eri quasi sicuro di sentire una delle loro canzoni. Pure a me piacevano molto, come a tutti i ragazzi della mia generazione, e conoscevo tutti i loro pezzi piú famosi. Avrei potuto cantarli, se qualcuno me l’avesse chiesto. Perché a casa, mentre studiavo seduto alla mia scrivania (o facevo finta), tenevo sempre la radio accesa.
A dire la verità, però, non sono mai stato un loro fan. Non li ho mai ascoltati di mia iniziativa. Le loro canzoni le sentivo anche troppo, ma in modo passivo, mi entravano da un orecchio e mi uscivano dall’altro, una musica che fluiva dai piccoli speaker del mio transistor Panasonic senza lasciare traccia nella mia coscienza. Erano l’accompagnamento sonoro della mia adolescenza. Carta da parati musicale, si potrebbe quasi dire.
Sia quando ero al liceo che all’università, non ho mai comprato un disco dei Beatles. A quell’epoca amavo già molto il jazz e la musica classica, ed erano questi due generi musicali che desideravo veramente ascoltare. Risparmiavo per comprare dischi jazz, nei jazz café chiedevo di mettere dischi di Miles Davis e Thelonious Monk, andavo ai concerti di musica classica. È stato solo molto dopo che ho cominciato a prestare attenzione ai Beatles. Ma questa è un’altra storia.
D’accordo, sarà pure strano, ma ho sentito per la prima volta l’album With the Beatles, dall’inizio alla fine, solo intorno ai trentacinque anni. Il ricordo della ragazza che camminava stringendoselo al petto era sempre vivido, eppure per molto tempo non avevo provato la curiosità di sapere quale musica fosse incisa nei solchi di quel disco in vinile.
Quando l’ho finalmente ascoltato − a un’età in cui non mi si poteva piú chiamare né un bambino né un ragazzo −, devo dire che non ne sono rimasto folgorato. Dei quattordici pezzi registrati nell’album, sei appartenevano al repertorio di altri musicisti, e i rimanenti otto − quelli composti dai Beatles −, a parte All My Loving di Paul, non mi parevano nulla di straordinario. Le esecuzioni di Please Mr. Postman delle Marvelettes e Roll Over Beethoven di Chuck Berry erano ottime, e continuo ancora oggi a trovarle belle, ma restavano sempre e solo delle esecuzioni. Certamente la sfida coraggiosa di creare un album di canzoni relativamente nuove, senza grandi singoli di successo, a suo modo era da ammirare, ma riguardo alla freschezza della musica, secondo me il primo album dei Beatles, Please Please Me, registrato praticamente in una sola sessione, era molto migliore.
In ogni caso, in Gran Bretagna questo loro secondo album salí in testa alla classifica e vi restò per ventuno settimane (negli Stati Uniti il titolo venne cambiato in Meet the Beatles e comprendeva alcuni altri pezzi, anche se la copertina rimase quasi la stessa). A rendere possibile un tale successo può anche darsi che fosse quella copertina in bianco e nero, di fortissimo impatto, col ritratto in penombra di loro quattro; per la folla di fan che anelavano ad ascoltare la musica dei Beatles, era come la vista dell’acqua per chi abbia attraversato a piedi il deserto.
A sedurre me, era stata quella ragazza che si stringeva al petto con amore quell’album. Senza quella copertina, però, forse non avrebbe esercitato su di me un fascino tanto forte. E poi c’era la musica, è ovvio. Ma c’era anche qualcos’altro, ben piú grande della musica. Una scena che in un secondo mi si impresse indelebilmente nel cuore. Un’età, un luogo, un tempo, un paesaggio spirituale che in quel momento era lí, e non altrove.
Per me, l’evento piú importante dell’anno seguente, il 1965, non fu la decisione di Johnson di bombardare il Vietnam del nord con la conseguente escalation della guerra, o la scoperta di una nuova specie di gatto selvatico nell’isola di Iriomote, no. Fu il fatto di avere finalmente una ragazza. Eravamo nella stessa classe fin dal primo anno di liceo, ma è solo nel secondo che ci mettemmo insieme in non so quale occasione, fino ad allora non ci eravamo quasi parlati.
A scanso di equivoci, vorrei mettere in chiaro fin dall’inizio che non sono mai stato bello, non ho mai avuto particolari doti sportive, i miei voti a scuola erano appena nella media. Sono stonato e quanto a eloquenza lascio molto a desiderare. Quindi sia quando ero studente che in seguito, non ho mai avuto molto successo con le ragazze. Non ne vado fiero, ma è una delle poche certezze che ho in questa vita incerta. Eppure, malgrado tutto, accadeva che qualche ragazza provasse interesse per me e mi cercasse, non so perché. In classe ce n’era sempre almeno una, e anche se non riuscivo a capire cosa trovassero in me, con loro stavo bene. Con alcune diventavamo solo buoni amici, con altre ci spingevamo un po’ piú avanti. Quella mia prima ragazza apparteneva al secondo gruppo.
Era minuta e carina. Durante le vacanze estive ci vedevamo una volta alla settimana. Un pomeriggio baciai le sue labbra soffici, le accarezzai i seni da sopra la stoffa del reggiseno. Indossava un vestito bianco senza maniche e i suoi capelli profumavano di shampoo agli agrumi.
Lei non era una fan dei Beatles, e neanche il jazz le interessava. Le piaceva ascoltare l’Orchestra Mantovani, Percy Faith, Roger Williams, Andy Williams, Nat King Cole e gente del genere. La musica per la classe media, insomma (all’epoca, l’espressione «classe media» non era affatto denigratoria). Andavo spesso a casa sua, dove aveva una collezione di dischi di quel tipo. Adesso si direbbe easy listening. Nel soggiorno c’era un magnifico impianto stereo, e lei metteva sempre sul piatto del giradischi gli album preferiti. Poi ci baciavamo sul divano. Il pomeriggio di quel primo giorno, tutti i suoi familiari erano usciti e noi eravamo soli in casa. In una circostanza cosí, a essere sincero, quale musica suonasse in sottofondo era l’ultima delle mie preoccupazioni.
Ciò che ricordo dell’estate del 1965 è quel suo vestito bianco, il profumo di agrumi del suo shampoo, i solidi ferretti del reggiseno (in quegli anni i reggiseni, piú che capi di biancheria intima, sembravano delle corazze), e l’elegante esecuzione di Max Steiner del tema del film Scandalo al sole. Ancora adesso, ogni volta ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Prima persona singolare
  4. Su un cuscino di pietra
  5. La crema della vita
  6. Charlie Parker Plays Bossa Nova
  7. With the Beatles
  8. Antologia poetica per gli Yakult Swallows
  9. Carnaval
  10. Confessione di una scimmia di Shinagawa
  11. Prima persona singolare
  12. Glossario
  13. Il libro
  14. L’autore
  15. Dello stesso autore
  16. Copyright