Sei ospiti e i padroni di casa, Pietro e Giuliana Ferroni, commercialisti di fama, grande studio in via Lagrange, patiti di montagna e di sci. Le vette ancora innevate, i prati col verde novello punteggiati dai primi fiori: un paesaggio da cartolina. O mozzafiato, luogo comune piú recente.
A Nicola il fiato è andato di traverso per la contrarietà di essere là e di dover fare, lasciata l’auto, l’ultima parte del tragitto in funivia. Dopo il sonno chimico e il risveglio comunque precoce, aveva deciso che sapere o non sapere non avrebbe influito sulla sorte della ragazza (il pensiero magico, imbecille! si era insultato mentalmente) e aveva chiesto notizie: Ale viva e ovviamente gravissima, in rianimazione. Sperare è un lusso che non si vuole permettere.
Gli altri quattro ospiti sono arrivati la sera prima e stanno esponendo le facce al sole e ai raggi UVA. Forse si sono spalmati creme protettive sulla pelle, ma le palpebre chiuse non sono un riparo sufficiente per gli occhi, vero però che gli interventi oftalmici li passa la mutua, se le liste di attesa non scoraggiano troppo.
Mentre si sfila lo zaino dalle spalle e saluta i Ferroni davanti alla porta di casa, è colpito da un sospetto tagliente come un bisturi: okay per i Borgarello (lui, Federico, amministratore di schiere di condomÃni di lusso ammanicato con mezza Torino, la moglie Arianna prof di Chimica all’università , poco appariscente e poco loquace, un dignitoso complemento d’arredo), già visti e subiti in un paio di cene cittadine, ma gli altri due? L’uomo che, alzatosi dalla sdraio, si sta avvicinando ha un modo di camminare che risveglia ricordi, la donna lucertola gli è figlia compagna amica o che?
– Ciao, Nicola, quanti anni dall’ultima volta? – chiede l’uomo quando gli è di fronte: Matteo Molinaro.
Trenta, calcola mentalmente Nicola dopo un momento di totale sconcerto, e intanto la pressione arteriosa gli fa un salto di altrettanti mmHg.
Per Beppe e Luciana Vignali la scelta di Montecarlo non era stata casuale: alla comodità della relativa vicinanza a Torino si associava il ricordo del viaggio di nozze, che dai colori smaglianti di un maggio sulla Côte d’Azur li aveva condotti ai rannuvolati cieli della Bretagna, dall’hotel Hermitage, scegliendo strade secondarie attraverso Provenza Delfinato Franca Contea Lorena e Piccardia, sino alle Falaises sulla Manica. Vent’anni prima, entusiasti e felici. Molto piú felici.
Ora siedono sulla panca davanti al reparto di rianimazione dell’ospedale in cui è ricoverata la figlia, invecchiati entrambi di dieci anni in poche ore. L’angoscia ha già esaurito ogni manifestazione esterna e si esprime soltanto nella fissità degli sguardi e delle posture.
Mentre facevano il primo e ultimo brindisi della serata accostando i bicchieri in attesa degli annunciati amuse-bouche, il cellulare di Luciana aveva squillato. Il numero di casa, niente di preoccupante quindi, aveva pensato rispondendo alla chiamata, poi era stato un crescendo di stupore incredulità paura ansia disperazione. Il viaggio di ritorno quasi senza scambiarsi parole, lui concentrato nella guida che se ne infischiava dei limiti di velocità – l’autostrada quasi vuota, un esodo in controtendenza –, lei smarrita tra le invocazioni a un dio a cui non si era piú rivolta dai tempi dell’adolescenza e le ipotesi autoaccusatorie piú insensate: se non avessi insistito con Beppe per fare questo weekend, se l’avessi convinta a venire con noi, se stamattina fossi stata meno sbrigativa nel salutarla… Tenere occupata la mente per allontanare il sospetto piú atroce, che dall’ospedale e dai vigili era stato adombrato con delicatezza attraverso la constatazione ambigua che la dinamica dell’incidente non era ancora chiara.
Incidente, sÃ, incidente, Ale dev’essere inciampata, che scarpe aveva stamattina, non ricordo, non ci ho fatto caso, pensavo alla nostra vacanzina, sono una madre disattenta e incapace, sarà stata impegnata a flirtare con quel Robi, oppure qualcuno senza volerlo l’ha urtata… No, impossibile, me l’avrebbero detto, almeno accennato, aveva di sicuro le cuffie sulle orecchie se non ha sentito lo sferragliare del tram… Non richiami, mi hanno suggerito dall’ospedale, se ci sono evoluzioni le telefoniamo noi, ma come faccio a non chiamare, possibile che non capiscano…
– Metti via il cellulare, – aveva sibilato Beppe, – mettilo via, per favore.
Poi non aveva piú aperto bocca.
La nonna di Ale sta seduta rigida sul divano; se solo permettesse ai muscoli di rilassarsi, il fil di ferro interno che la tiene insieme si spezzerebbe, trasformandola in un fantoccio disarticolato: l’immobilità come forma di autodifesa che molti animali praticano per istinto.
La colf Florinda, arrivata semi-ignara del dramma in casa Vignali, sfarfalleggia senza costrutto da una stanza all’altra, dopo aver provato invano a consolare la vecchia signora. Non cosà vecchia però, sui settantacinque al massimo, ben portati di solito, adesso invece la faccia è una maschera di cera attraversata da un reticolo di rughe come quelle dei manichini che ha visto in un museo a Parigi, in gita con i soci della bocciofila La Fiduciosa. Ieri sera ci era andata con Tony, alla Fiduciosa, ci vanno due volte alla settimana, il martedà a lezione di tango e il venerdà a ballarlo, una specie di gara con i compagni di corso e con gli appassionati.
È perché dovevo ancora stirarmi la gonna, pensa, oltre alla camicia bianca con le pieghine sul davanti di Tony, che non ho acceso la tele per sapere le notizie, e lui stava al telefono coi fratelli, cos’avranno sempre da dirsi ’sti tre che quando stanno insieme sono muti… Insomma ieri sera abbiamo fatto tardi prima e dopo, e stamattina non ho sentito la sveglia, cioè sà che l’ho sentita ma mi sono detta Ancora cinque minuti, e quando ho riaperto gli occhi era passata mezz’ora. Colazione saltata, neanche il tempo di un caffè, di corsa sull’autobus che per fortuna non si è fatto aspettare, cioè si è fatto aspettare venticinque minuti dagli altri, dato che era quello che aveva saltato la corsa di prima, al sabato il servizio è un disastro e continuano a tagliare il trasporto pubblico perché gli vanno bene solo le bici e i monopattini. Sull’autobus qualcuno parlava di una ragazza che era finita sotto un tram o forse si era buttata, ma li sentivo con mezzo orecchio, intontita com’ero.
– Le faccio un caffè, signora Rosanna? – chiede alla nonna di Ale che non le risponde.
Il caffè lo fa per sé, ne ha proprio bisogno, chi andava a pensare che la ragazza era Ale, solo quando ha visto la signora Rosanna con la faccia da disgrazia ha guardato le notizie sul telefonino.
Non che Ale sia un fior di simpatia, ma finire sotto un tram…
Beve il caffè, poi telefona alla sorella per comunicarle la notizia. Piú tardi chiamerà il marito.
Trent’anni dall’ultima volta, ripete tra sé Nicola, e anche allora era sabato. No, si corregge subito, la scoperta è avvenuta di sabato, ma l’ultima volta che ti ho visto era ancora venerdÃ. Che vi ho visti.
Ho riconosciuto subito il tuo modo di camminare – il passo morbido da atleta pigro –, e poi la voce, ma in tutto questo tempo ogni volta che ti ho pensato, e l’ho fatto spesso, mi apparivi com’eri da ragazzo, stesso viso e stesso corpo. Nell’immagine mentale, ingannevole come molti ricordi, hai sempre avuto diciannove anni.
Notte inquieta per Robi, brevi intervalli di sonno, a ogni risveglio note e parole di una vecchia canzone gli tornano in mente. Alle sette si alza, bocca impastata, sudato come dopo una corsa. I suoi stanno ancora dormendo, se fa rumore li sveglia e poi gli tocca spiegargli perché a quell’ora non è a letto come al solito. Non gli va di spiegare, né di mentire.
La canzone che ancora gli risuona in testa è dei Baustelle. No, pensa cercando di convincersi, non c’entra quasi niente, Ale è sà emotivamente instabile, viziata e anche un po’ stronza, ma insensibile proprio no, caso mai il contrario. E poi, bella com’è… bella che non si riesce a staccarle gli occhi di dosso, anche se io la prima sera, quella del cicles, chiacchieravo con Marika e gli altri e non ci avevo fatto caso subito. È stata una disgrazia, era distratta, ecco perché è finita sotto un tram, chissà a cosa pensava.
Non riesce a convincersi, il caffè gli procura uno spasmo di vomito. Si veste in fretta ed esce di casa circospetto come un ladro.
Settembre 1984, quarta ginnasio, primo giorno di scuola.
La prof di latino e greco, dopo essersi brevemente presentata (Maria Grazia Ronchetti, da quindici anni insegnante al D’Azeglio), comincia l’appello per collegare i nomi ai volti degli studenti: – … Giuliani Isella Lorenzi Luzzatto Miglioretti Molinaro Molino Novelli Pellegrini…
Alla fine dell’ora, quando la prof se ne va, e lui, Nicola, è là che raduna le sue cose, un ragazzo gli si avvicina:
– Secondo te quanto ci metteranno a pigliarci per il culo? Io sono Molinaro, Matteo Molinaro.
– E io Nicola Molino. Facciamo fronte comune?
– Abbiamo qualcosa in comune, oltre a un pezzo di cognome?
– Non saprei. Fantascienza, tennis, musica?
– Fantascienza no, musica sà e a tennis è sicuro che ti straccio.
– Non è detto. Ma se non ti piace la fantascienza le nostre strade si dividono qui.
– Quanta fretta. Prova a sedurmi.
– Preferisco le ragazze.
– Anch’io. Dicevo per la fantascienza.
– L’avevo capito. Prima mossa di seduzione: domani ti porto un libro.
– Spesso?
– SÃ. Ma puoi fermarti a un paio di racconti. Se ti piacciono…
– In caso contrario ci meniamo subito?
– Subito no, alla prima occasione buona.
L’avevano portata da una psicoterapeuta. Consigliata dalla segretaria di un impresario edile cliente da anni. Un pomeriggio morto: forse perché nevicava fitto e bagnato e le strade erano diventate subito acquitrini impraticabili, la segretaria non aveva fretta di tornare dal suo capo e altri clienti non ce n’erano. Avevano cominciato a chiacchierare davanti a un tè caldo, chiacchiere senza impegno tra persone che si conoscono per lavoro, e poi erano scivolate su confidenze personali. L’impresario che a intermittenza cercava di allungare le mani, il fastidio di respingere le avances con gentile fermezza per non perdere il posto (che scocciatura dopo dieci anni!), Luciana a confessare che sua figlia lei non sapeva come prenderla, tredici anni e mai contenta di niente. E farla sentire da una psicologa? aveva azzardato la segretaria, suscitando una reazione tra la sorpresa e la stizza. Ma qualche giorno dopo, parlandone con Beppe, Luciana aveva capito che era un consiglio assennato e insieme avevano deciso di seguirlo.
Non era servito a niente, Ale aveva accettato controvoglia quegli incontri e dopo sei mesi si era rifiutata di continuare: cosa dovevamo fare, si chiede Luciana, trascinarla per i capelli, imporci con la forza? E poi secondo la psicologa non c’era troppo da preoccuparsi, normale disagio adolescenziale che si sarebbe attenuato presto. Non si era attenuato per niente, anzi.
Al banco informazioni dell’ospedale Robi chiede in che reparto è ricoverata Alessandra Vignali, la ragazza finita sotto un tram. L’addetto lo squadra brevemente, intuisce qualcosa e modera col tono di voce la durezza della risposta: – Rianimazione, non è orario di visita e non è ammesso ness...