Era metà aprile quando tornai dal mio lavoro in mare e scoprii che il mio buon amico Leonard Pine aveva perso il posto di buttafuori all’Hot Cat Club, perché in un momento di rabbia, dopo aver cacciato un attaccabrighe fuori dal locale, mentre quello era ancora a terra, Leonard aveva tirato fuori l’uccello e gli aveva pisciato sulla testa.
Poiché un buon numero di clienti del club era fuori a guardare quella testa di cazzo rimbalzare come una pallina da ping-pong tra le mani di Leonard, e poiché Leonard non era stato neppure abbastanza discreto da voltarsi di spalle, quando aveva deciso di annaffiare la testa del babbeo, la direzione del locale era stata incline a credere che avesse esagerato.
Leonard non capiva perché. Anzi, secondo lui era stata un’ottima idea. Disse ai gestori che se si fosse sparsa la voce della sua impresa, i potenziali attaccabrighe si sarebbero detti: – Se crei dei problemi all’Hot Cat Club, ti arriva addosso quel bastardo di un negro frocio, e ti piscia sulla testa.
Tenendo conto della generale omofobia e del razzismo della popolazione locale, Leonard considerava che una cosa del genere avesse una capacità deterrente maggiore della pena di morte. La direzione non fu d’accordo. Erano desolati, dissero, ma dovevano proprio licenziarlo.
Se questo non fosse stato abbastanza, piú o meno nello stesso periodo, Leonard aveva perso ancora una volta il suo grande amore, Raul, ed era dell’umore giusto per volermene parlare. Ci dirigemmo verso il campo di un amico a bordo dell’ultimo catorcio di Leonard, una vetusta Rambler bianca con una molla sporgente sotto il culo del passeggero. Una volta arrivati, sistemammo una serie di lattine su un tronco marcio e facemmo un po’ di tiro al bersaglio con un revolver, chiacchierando allo stesso tempo sotto un cielo blu completamente sgombro di nuvole.
Andò cosÃ: Leonard buttò giú un’intera fila di lattine con pochi colpi ben mirati, e mentre camminavamo verso il tronco per rimetterle su, mi stava raccontando come lui e Raul ultimamente avevano iniziato a litigare spesso (il che non era affatto una novità ) e Raul alla fine se n’era andato. Neppure questa era una novità . Ma stavolta non era tornato, e questo sà che era nuovo.
Pochi giorni dopo Leonard aveva scoperto che Raul si vedeva con un tizio tutto vestito di pelle, con barba e Harley Davidson. Erano stati visti nei dintorni di LaBorde, stretti insieme sul sedile della moto. Cosà stretti, spiegò Leonard, che Raul «doveva avere l’uccello infilato nel culo di quel bastardo».
Avevamo soltanto un revolver tra tutti e due, e mentre parlava, Leonard me lo passò. Iniziai a caricarlo, e avevo già sistemato nel tamburo quattro proiettili quando dal bosco emerse uno scoiattolo impazzito, che saltava come un ossesso.
Se non avete mai visto uno scoiattolo arrabbiato, avete visto poco, e udito ancora meno, perché il verso di uno scoiattolo incazzato è qualcosa che non si dimentica. È cosà acuto e forte da farti scappare i coglioni nel buco del culo.
Per un momento, Leonard e io restammo paralizzati dallo stupore e dal rumore. Tutti e due conoscevamo i boschi fin da bambini, e da ragazzo io andavo a caccia di scoiattoli: la mia famiglia li aveva mangiati fritti, stufati, conditi con la senape e con contorno di insalata. Eppure in tutta la mia vita, e sono sicuro che lo stesso valeva anche per Leonard, non avevo mai visto una scena del genere.
Mi chiesi all’improvviso se l’informazione sui miei gusti carnivori fosse stata tramandata lungo generazioni di scoiattoli, ed ecco che ora arrivava il vecchio Bibo a vendicare la morte di un parente. Quell’animale faceva salti di un metro e mezzo, e in pochi secondi era uscito dal bosco e schizzava direttamente verso di noi.
Ci demmo subito alla fuga, ma lo scoiattolo non mollava. Voltandomi a guardare, vidi che stava guadagnando terreno. Le imprecazioni di Leonard non avevano nessun effetto, a parte quello di far arrabbiare ancora di piú l’animale, che forse aveva tendenze battiste.
Arrivammo alla macchina, ma non ci fu il tempo di aprire le portiere. Balzammo sul cofano, e poi sul tetto, ma non servà a nulla. Lo scoiattolo saltò senza sforzo sul cofano, poi, con la spuma alla bocca, mi si avventò contro.
Leonard mi salvò, sbattendolo via con il dorso della mano. Lo scoiattolo cadde a terra, fece una specie di danza sulle zampe posteriori, recuperò l’equilibrio e iniziò a correre in cerchio freneticamente. Un attimo dopo si fermò e caricò di nuovo la macchina.
Aprii il fuoco su quel figlio di puttana. Tre colpi in rapida successione, ma si muoveva cosà rapidamente, con tutte quelle tattiche da commando, saltando e zigzagando, che riuscii soltanto a sollevare un po’ di terra.
Poi lo scoiattolo riguadagnò il cofano e il tetto dell’auto, e fu chiaro che io ero stato il suo obiettivo fin dall’inizio. Mi piantò i denti nell’avambraccio destro, rimanendoci attaccato, e lasciatemi dire che gli scoiattoli hanno dei denti realmente affilati. Forse non saranno come quelli dei leoni o delle tigri, ma quando te li senti piantati addosso la differenza non sembra cosà importante.
Saltai giú dal tettuccio e iniziai a correre, con lo scoiattolo appeso al braccio come una zecca gigantesca. Lo colpii con la canna del revolver, ma non mi lasciò andare. Allungai il braccio, puntai l’arma e gli sparai, ma lui non aveva intenzione di mollare solo per una bazzecola come un proiettile nel cuore. Io correvo e saltavo nel prato, scuotendo il braccio, e dopo quella che sembrò un’eternità , lo scoiattolo finalmente lasciò la presa, e si staccò portandosi dietro un pezzo di carne. Cadde a terra, fece una capriola, e malgrado il proiettile nel petto iniziò a rincorrermi per il campo, sanguinando e battendo i denti.
Mi voltai e tentai di sparargli di nuovo, ma il revolver era vuoto. Glielo tirai addosso, e lo mancai. Cominciai a correre a zigzag, ma lui mi venne dietro, cercando di mordermi il culo, e certamente ci sarebbe riuscito, se Leonard non gli fosse passato sopra con la macchina. Ancora trenta secondi, e mi sarebbero scoppiati i polmoni.
Mi resi conto di quel che stava accadendo quando Leonard suonò il clacson, e voltai la testa in tempo per vedere lo scoiattolo che riceveva il fatto suo. La distruzione della bestia fu un brutto spettacolo. L’auto lo investà a metà di un salto, trasformandolo temporaneamente in un ornamento per il cofano. Quando cadde a terra Leonard schiacciò il freno, ingranò la retromarcia, prese la rincorsa e gli passò sopra, piantandogli addosso una ruota. Poi scese, raccolse un bastone, e cominciò a bucare i pezzi di scoiattolo che sporgevano da sotto il copertone. Quel dannato animale era ancora vivo, e continuava a strillare. Leonard dovette finirlo con il tacco della scarpa.
Mentre andavamo dal medico, con il mio braccio che sporcava di sangue tutta la Rambler, Leonard disse: – Mi chiedevo una cosa, Hap. Conoscevi quello scoiattolo? E in caso affermativo, credi che sia stato per qualcosa che hai detto?
– Rabbia, direi, – disse il dottor Sylvan.
– Oh, merda, – dissi io.
– Mi sembra l’unica spiegazione possibile. La rabbia è tornata alla grande, in questo periodo. I boschi sono pieni di animali con la spuma alla bocca.
Il dottore e io ci trovavamo nel suo ambulatorio. Io ero seduto sul lettino, e lui aveva appena finito di ricucirmi il braccio, coprendolo poi con una benda. Sylvan era un sessantenne dai capelli grigi e dall’aspetto trascurato, con indosso un camice bianco macchiato di sangue (il mio), guanti di gomma e l’espressione di un paziente in attesa di un trapianto del cervello. Ma si trattava di una espressione ingannevole.
Appoggiò il piede sulla leva del cestino della spazzatura. Il coperchio si aprÃ, lui si tolse i guanti con molta attenzione e li lasciò cadere all’interno, facendo richiudere il coperchio subito dopo. Si lavò le mani nel lavabo, frugò nel camice, estrasse una sigaretta e l’accese.
– Non fa male alla salute? – chiesi.
– Già , – disse il dottor Sylvan. – Ma fumo lo stesso.
– In ambulatorio?
– In ambulatorio.
– Non mi sembra una buona idea. I pazienti sentiranno l’odore.
– Spruzzo sempre in giro un po’ di deodorante.
– È sicuro che lo scoiattolo avesse la rabbia? Non poteva semplicemente essere un po’ incazzato per qualcosa?
– Aveva la schiuma alla bocca?
– SÃ, magari aveva mangiato della panna montata.
– E dice che correva in giro in modo erratico?
– Non so se era erratico. Mi ha puntato subito contro, come se avesse una missione da compiere.
– Aveva mai visto uno scoiattolo fare una cosa del genere, prima d’ora?
– Be’, no.
– Le ha lasciato un biglietto, o qualcosa che potrebbe indicare che non fosse rabbioso?
– Molto divertente, dottore.
– Rabbia. Ecco di cosa si tratta. Ha portato la testa dello scoiattolo?
– Non ce l’ho certo in tasca. Leonard ha gettato lo scoiattolo, ancora attaccato alla sua testa, nel bagagliaio della macchina. Anche lui pensava che potesse trattarsi di rabbia.
– Quindi lei è l’unico a non pensarlo.
– Io non voglio pensarlo.
– Dobbiamo tagliare la testa dello scoiattolo, mandarla a un laboratorio di Austin, aspettare che facciano un po’ di test, e alla fine sapremo se è rabbia oppure no. Nel frattempo, lei potrebbe andare a casa e vedere se si manifestano dei sintomi. Ma secondo me non è una buona idea. Lasci che le racconti una storia. Le dico subito che non è a lieto fine. Me la raccontò mia madre. Negli anni Venti, quando lei era giovane, un ragazzo che conosceva fu morso da un procione mentre giocava nel bosco, o qualcosa del genere, non ricordo esattamente. Non importa. Il ragazzo fu morso da questo procione, e si ammalò. Non riusciva a mangiare, e non poteva bere acqua. Voleva berla, ma il suo corpo non l’accettava. Il dottore non poté fare nulla per lui. Allora non esistevano le medicine che abbiamo oggi, contro la rabbia. Il ragazzo peggiorò. Finirono per doverlo legare al letto, aspettando che morisse. Non era una bella vista. Ci pensi. Guardare il figlio che soffre, senza poter fare nulla. Il ragazzo iniziò a non riconoscere piú nessuno. Giaceva lÃ, faceva i suoi bisogni nel letto, e cercava di mordere chiunque gli si avvicinasse, come un animale selvaggio. Si staccò la lingua a morsi. Finalmente il padre lo soffocò con un cuscino. Tutti nella famiglia lo sapevano, ma nessuno disse una parola.
– Perché me l’ha raccontato?
– Perché lei è stato morso da un animale rabbioso, e dobbiamo iniziare da subito una cura di iniezioni. La rabbia sta avanzando nel suo organismo, e mi creda, non si lascerà sbarrare la strada tanto facilmente. Nella mia mente vedo migliaia di microscopici cani rabbiosi che digrignano i denti e nuotano nel suo sangue, diretti al cervello. Se ci arrivano, lo divoreranno.
– Un’immagine interessante, dottore.
– È una cosa che immaginai da bambino, quando mi raccontarono la storia che le ho appena detto. All’inizio mi focalizzavo su dei procioni, poi, visto che tutti parlavano sempre di cani rabbiosi, li trasformai in cani.
– Che tipo di cani?
– Non lo so. Marroni. Mi ascolti, Hap. Non abbiamo tempo per le stronzate. La morale è che se non iniziamo da subito la cura, lei finirà come quel ragazzo, ma senza il beneficio del cuscino sulla faccia. Sa, il diritto alla vita, eccetera.
– Okay, mi ha convinto. Le iniezioni contro la rabbia si fanno nello stomaco, giusto?
– Non piú. Non è una cosa tanto drammatica, ma è comunque seria, e non è il caso di prenderla alla leggera.
– Non potremmo aspettare di ricevere i risultati dal laboratorio? Odio le iniezioni.
– Gliene ho appena fatta una.
– E non mi è piaciuta per niente.
– Le sarebbe piaciuto molto meno se le avessi ricucito il braccio senza anestesia. Mi ascolti, Hap. Se aspettiamo il risultato dei test sarà troppo tardi. Starà già correndo in giro a quattro zampe, tirando morsi all’aria. Si fidi di me, sono un dottore. Prenderò io tutti gli accordi necessari con l’ospedale.
– Non possiamo farlo qui?
– Potremmo, ma poiché so che lei non ha un soldo, e io preferisco essere pagato per il mio lavoro, se andiamo in ospedale posso almeno prendere qualcosa dalla sua assicurazione. È assicurato, vero?
– SÃ. Ho addirittura due polizze. Quella del lavoro sulla piattaforma petr...