La prima volta l’avevo notata, una bella donna triste che mi sembrava di avere già visto da qualche parte. Io mi sentivo splendente: venticinque anni, una piccola casa, un gatto, il mio lavoro, ed ero anche innamorata di un uomo con trent’anni piú di me. Al liceo ho avuto un’esperienza con una donna, la sorella di un amico di mio fratello. Ci siamo date un bacio in bagno, durante una gita, e poi abbracci ed eccitazione in un letto stretto. È finita lí, mi attiravano gli uomini, nascondevano sempre qualcosa, un mistero di cui parlare con le amiche. L’idea che lui avesse trent’anni piú di me mi dava sicurezza e allegria, una garanzia. Era sicuro di sé e per niente intimorito dalla mia età.
Sono undici anni che questa storia è accaduta, eppure lo vedo ancora mentre si slaccia la camicia lentamente e mi guarda. Sono già stesa sul letto, io faccio presto a togliermi tutto. Lui invece è lento quando si spoglia e quando fa l’amore, non ha fretta. Mi ha fatto scoprire zone del mio corpo che i ragazzi con cui ero stata prima ignoravano. Io stessa non sapevo quanto può durare il desiderio, fermarsi e poi riprendere. Parlava poco, raccontava di sé il necessario. Una prima moglie, figli che non vedeva quasi piú. Si incontravano a Natale, prima dell’estate, gli chiedevano soldi. Mi aveva dato una perfetta giustificazione per parlarne poco: – Quando mi sono separato da Maria, mi ha messo i figli contro, non mi vogliono vedere.
La moglie aveva scoperto che viaggiava per lavoro con un’altra, che dormivano nella stessa stanza. L’aveva cacciato di casa e lui era andato a vivere con l’altra donna, la compagna di viaggio, e poi si erano lasciati.
Ricordo benissimo che mentre me lo raccontava avevo pensato: ora l’altra sono io. Quello di cui voglio scrivere non riguarda il nostro amore, ormai finito da tempo. La passione, la convivenza tra un uomo e una donna sono sempre uniche quando ci sei dentro, banali e ripetitive se le vedi da fuori. Voglio scrivere di lei, e di lui tra noi.
L’avevo incrociata la prima volta in una serata a Milano dove lui non era venuto, era fuori. Ci trovavamo all’ultimo piano di una torre, un appartamento in cui non esisteva piú niente che potesse far pensare all’idea di casa: spazio vuoto senza divani, in cima a una scala bianca una camera da letto senza letto, con degli enormi cuscini grigi sul pavimento. Non c’erano sedie. Vagavamo tutti con un bicchiere in mano e i piedi gonfi. Poi i piú giovani si erano seduti a terra e io tra loro. Il giorno dopo lei mi avrebbe detto che era venuta apposta alla festa per «vedere com’ero».
– Vedere com’è l’altra è un aspetto fondamentale della questione.
Maria abitava a Roma con i figli, io a Milano. Pietro passava tre giorni alla settimana a Bruxelles, era stato eletto due volte al parlamento europeo. A Milano insegnava economia e proprio con lui avevo preparato la mia tesi sulla politica monetaria europea. Solo dopo la laurea eravamo andati a cena fuori.
– Ora non sei piú una mia allieva, – aveva sussurrato nel taxi che ci portava al suo appartamento.
A tavola avevo saputo che era stato sposato e che aveva tre figli.
Nell’appartamento in cima al grattacielo, seduta per terra con degli amici, avevo bevuto troppo. Ridevamo di quel posto, glielo avevo appena descritto al telefono. Mi chiamava molte volte quando era fuori, preoccupato che potessi lasciarlo per un uomo piú giovane. Ma io divido l’amore dall’amicizia e non mi sono mai innamorata di un coetaneo.
Maria camminava lentamente verso di noi, alta, magra, capelli corti scuri, completamente diversa da me. Io sono bionda, con qualche chilo in piú e ho occhi chiari. I suoi erano neri come i capelli. Non riesco a ricordare se l’avessi notata perché l’avevo già vista in foto o perché mi guardava.
Il giorno dopo mi avrebbe confidato che mi fissava per capire cosa Pietro avesse trovato in me, oltre la mia giovane età. – Spero abbia trovato qualcosa, perché dell’età non ho merito, – le avrei risposto.
La sera della festa, senza chinarsi mi aveva teso la mano: – Mi scusi se la disturbo, sono Maria, l’ex moglie di Pietro.
Mi ero alzata di scatto, sperando che gli altri non avessero sentito. – Elena, – avevo balbettato, stringendole la mano.
– Sí, lo so.
Era molto piú alta di me.
All’angolo di un terrazzo occupato da fumatori, mi aveva chiesto un appuntamento per l’indomani. – Non deve temere nulla.
Perché voleva incontrarmi? Cosa avevamo in comune io e lei se non lo stesso uomo in periodi diversi della vita? Mi avrebbe risposto il giorno dopo.
Era seduta di fronte a me, in un bar del centro di Milano, e mi sembrava irresistibile, malgrado fosse una donna di cinquant’anni, era elegante e sicura di sé. Sorrideva quando mi parlava, diventando ancora piú seducente.
– Ho trovato in lei molti dettagli attraenti, o che plausibilmente sono stati attraenti per lui. Sa, io la guardo con gli occhi del mio ex marito, siamo stati insieme vent’anni e lo conosco, inoltre ho molta immaginazione.
Maria era un’artista, una pittrice, mi ero documentata quando ero solo un’allieva di suo marito. Dipingeva tracce, orme, segni, oggetti lasciati, letti disfatti.
Nel bar tacevo e l’ascoltavo.
– Non so se ho fatto bene a venire ieri sera. Sapevo che lei era lí, abbiamo un’amica milanese in comune e mi ha avvertito che lei ci sarebbe stata.
Aveva ordinato i caffè e estratto dalla borsetta una sigaretta elettronica da cui aveva tirato due lunghe boccate, soffiando una nuvola bianca di vapore. Era in tensione, lo eravamo tutt’e due.
– Abbiamo fantasticato molto l’una dell’altra, no? – Era passata di colpo al tu senza chiedere, ero arrossita. – Non mi dire che non hai pensato a come ero fatta, che non sei andata a verificare, a guardare le mie fotografie su internet.
– Sí, certo, quando ci siamo… messi insieme… in realtà già quando ero solo una sua studentessa e lui mi incuriosiva.
Aveva sorriso e annuito. – Ti dà fastidio se ti do del tu?
Mi dava fastidio la disinvoltura con cui parlava di lui, di me, di lei, come fossimo seduti a chiacchierare tutti e tre al tavolo, mentre io ero innamorata di Pietro e non volevo sapere della sua vita precedente con lei. Per rassicurarmi mi figuravo spesso che la moglie fosse una donna sola, tradita dal marito e gelosa della mia giovinezza.
– E lei si è informata su di me? – Continuavo a darle del lei.
Aveva sbuffato via il vapore. – Informata? Io ho vissuto con te ogni giorno, come un sorella minore odiata, invidiata… Ho indagato su di te, sulla tua famiglia. Ti ho chiesto l’amicizia sotto falso nome e ci siamo scambiate molte riflessioni, sulla vita, l’amore, il lavoro, i figli che non vuoi avere, quelli che ho avuto e soprattutto su di lui, sulle sue abitudini e sul modo di amarvi.
Mi ero alzata di scatto. – Lei mi ha avvicinata sui social sotto falso nome? È un reato, lo sa?
– Siediti, non ho usato in nessun modo le informazioni che mi hai dato e ti ho raccontato anche molte cose vere su di me, su di noi. La maggior parte. Se ti avessi detto la verità, non mi avresti dato la tua amicizia, e io avevo bisogno di conoscerti.
– Perché?
– Per essere libera, – aveva risposto subito, come fosse un bisogno sentito da molto tempo.
Mi guardava dritta negli occhi. Era magra, senza seno. Io mi vergognavo sempre del mio fuori misura.
Mi ero seduta di nuovo con l’intenzione di andarmene. False erano le fotografie su Facebook, il mestiere, il nome. Ma sosteneva di aver raccontato la verità su di sé. E all’improvviso avevo associato: era arrivata a me tramite un’amica comune, forse la stessa che ci aveva fatto incontrare.
– Il nome che mi hai dato è Sara Trovato?
– Sí, come hai fatto a capirlo?
Quel mattino Pietro era rientrato molto presto da Bruxelles, aveva lasciato la valigia all’ingresso.
– Ciao, arrivo! – gli avevo urlato.
Ma lui mi aveva sorpreso davanti allo schermo del computer, tirandomi su i capelli e dandomi un bacio sulla nuca.
– Chi è Sara Trovato? – aveva chiesto un secondo prima che si chiudesse la pagina.
Mi ero voltata verso di lui, gli avevo restituito il bacio sulla bocca. – Un’amica di Facebook, perché?
Si era allontanato. – È il cognome della madre della mia ex moglie.
Avevo riso. – Che coincidenza!
Maria aveva corso un piccolo rischio, forse voluto.
– «Trovato» è il cognome di sua madre, vero? – le avevo detto nel bar.
Aveva annuito.
Mi ero alzata di nuovo, questa volta lentamente, volevo pensasse che ero distaccata e tranquilla. – Pietro e io siamo felici insieme, lei gli ha messo contro i figli e ha sbagliato. Il vostro matrimonio era finito in ogni caso, lui era sempre fuori e lei non pensava ad altro che al suo lavoro, al successo. Lui non si sentiva amato, litigavate spesso.
Sorrideva come una madre pietosa. – Ti ha detto tutto questo?
– Sí, e gli credo. Comunque non ho nessuna intenzione di ascoltare la sua versione, né di fare amicizia. L’altra l’ha avuta con l’inganno.
– Ha ragione, l’unicità è la base dell’amore.
Mi ero allontanata senza voltarmi. Ma la sua ultima frase mi era rimasta in testa come un verme nella mela.
Non sono piú cosí legata ai fatti, cercate di seguirmi, di non esserlo neanche voi. È tutto finito: la storia con Pietro, il sesso, l’amicizia con Maria, i figli che non volevano avere rapporti con lui, la faccenda di Francesco. No. Voglio scrivere di quello che abbiamo scoperto insieme, e credo che vi interesserà, perché siamo tutti nella tempesta, alla ricerca di un porto tranquillo. Bisogna però prima distruggere la cattedrale che abbiamo eretto intorno all’amore. Poi forse si potrà ricostruirla, una chiesa di dimensioni piú contenute, sulla porta un cartello: LAVORI IN CORSO.
L’incendio di Notre-Dame ha riavvicinato tutti all’idea del volo che l’aveva edificata, la tireranno su di nuovo ma non sarà piú come prima. Era già successo dopo la Rivoluzione francese, con la decapitazione delle statue che annunciava quella degli uomini. Animali ricoperti dalle toghe dei preti pascolavano nella chiesa, tra gli schiamazzi delle prostitute chiamate dee della ragione. Poi ci incoronarono l’imperatore ma tutto era cambiato. Dopo una distruzione, si ha nostalgia del tempo passato, sembra perfetto e felice, si cerca di rimetterlo in piedi, sembra possibile ma non lo è, bisogna andare avanti verso l’ignoto.
Qualche mese dopo il nostro incontro, ho stampato tutte le conversazioni con Sara Trovato. Avevo deciso di non dire nulla a Pietro, di non pensarci, di fare come se non ci fossimo mai conosciute. Ogni volta che aprivo il computer, resistevo al desiderio di digitare il suo falso nome e rileggere quello che ci eravamo scritte per un anno. Cercavo di non avere ricordi delle nostre conversazioni. Di dissociare Sara da Maria, ma mi venivano in mente episodi della sua vita, la fine dell’amore con il marito che l’aveva fatta soffrire. Ora sapevo che l’uomo con cui stavo ne era la causa. Le due voci di donna si fondevano in una. Mi pentivo di averle rivelato aspetti della mia storia con Pietro, parlavamo dello stesso uomo e io non lo sapevo. Lo stringevo la sera con...