
- 136 pagine
- Italian
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eBook - ePub
La fattoria degli animali
Informazioni su questo libro
Tutti gli animali sono uguali ma alcuni animali sono piú uguali degli altri. È questa l'amara lezione che le umane bestie della Fattoria Padronale imparano dopo aver detronizzato il fattore Jones, e aver instaurato il loro governo. In poco tempo infatti una grufolante élite, guidata dal maiale Napoleone, trova il modo di salire sullo stesso trono che prima era stato del fattore. Cosà gli altri animali scoprono che uguaglianza e libertà , in bocca a chi desidera il controllo assoluto, sono soltanto parole, e si ritrovano sotto il giogo di una nuova tirannia dal volto diverso ma identica alla precedente. Perché come è accaduto sempre nella Storia, e come continuerà ad accadere, a un potere immancabilmente se ne sostituisce un altro.
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Informazioni
Print ISBN
9788806248192eBook ISBN
9788858435502Capitolo ottavo
Un paio di giorni dopo, quando il terrore causato dalle esecuzioni svanÃ, qualche animale si ricordò – o gli sembrò di ricordare – che il Sesto Comandamento recitava: «Nessun animale dovrà mai uccidere un altro animale». E anche se nessuno si avventurò a dirlo in presenza di maiali e cani, la sensazione era che le uccisioni a cui avevano assistito non s’accordassero a questo principio. Trifoglia chiese a Beniamino di leggerle il Sesto Comandamento e quando Beniamino, come al solito, si rifiutò di immischiarsi in quelle faccende, Trifoglia andò a recuperare Mariolina. La capretta le lesse il Comandamento. Recitava: «Nessun animale dovrà mai uccidere un altro animale senza motivo». Chissà come quelle ultime due parole erano svanite dal ricordo degli animali. Si accorsero quindi che il Comandamento non era stato violato: perché ovviamente c’era un valido motivo per uccidere i traditori che si erano alleati con Palladineve.
Per tutto l’anno gli animali lavorarono ancora piú duramente di quanto non avessero fatto l’anno prima. Ricostruire il mulino a vento, con i muri due volte piú spessi, e finirlo per la data prestabilita, insieme alle faccende quotidiane, fu uno sforzo inenarrabile. C’erano momenti in cui agli animali sembrava di lavorare di piú e mangiare di meno anche rispetto ai tempi di Jones. Ogni domenica mattina Trombetta, reggendo con la zampa un foglietto, leggeva un elenco di cifre per dimostrare che la produzione di ogni genere alimentare era aumentata del duecento per cento, del trecento per cento o del cinquecento per cento, a seconda dei casi. Gli animali non trovavano motivo di non credergli, soprattutto perché non riuscivano piú a ricordare chiaramente quali fossero le condizioni prima della Rivolta. Tuttavia c’erano giorni in cui avrebbero sicuramente preferito ricevere piú cibo e meno cifre.
Tutti gli ordini adesso venivano impartiti attraverso Trombetta o uno degli altri maiali. Napoleone non appariva in pubblico piú di una volta ogni due settimane. Quando lo faceva, era accompagnato non soltanto dalla muta dei molossi ma anche da un galletto nero che marciava davanti a lui e faceva funzione di araldo, aprendo ogni discorso con un tonante «chicchirichû. Si narrava che Napoleone, anche nella casa colonica, si fosse riservato un’ala tutta per sé. Consumava i pasti da solo, con due cagnacci di guardia, e mangiava sempre dal raffinato servizio di porcellana conservato nella credenza in salotto. Fu anche annunciato che il fucile non avrebbe detonato soltanto nelle due ricorrenze rivoluzionarie, ma anche al compleanno di Napoleone.
Adesso Napoleone non veniva mai chiamato semplicemente «Napoleone». Ci si riferiva a lui sempre con l’appellativo formale di «il nostro Comandante, il Compagno Napoleone» e gli altri maiali amavano inventare per lui titoli come Padre di Tutti gli Animali, Terrore del Genere Umano, Protettore dell’Ovile, Amico degli Anatroccoli e cosà via. Nei suoi discorsi Trombetta parlava con le lacrime agli occhi della saggezza di Napoleone, della sua bontà e del profondo amore che nutriva verso tutti gli animali, perfino e soprattutto verso gli animali infelici delle altre fattorie che vivevano ancora nell’ignoranza e nella schiavitú. Era diventato normale attribuirgli il merito di ogni successo raggiunto e di ogni colpo di fortuna. Si sentiva spesso una gallina dire all’altra: «Sotto la guida del nostro Comandante, il Compagno Napoleone, sono riuscita a deporre cinque uova in sei giorni!» Oppure due mucche si stavano abbeverando ed ecco che esclamavano: «Grazie alla guida del Compagno Napoleone, quest’acqua ha un gusto eccellente!» L’umore generale della fattoria lo esprimeva bene una poesia intitolata Compagno Napoleone, scritta da Minimo, che recitava quanto segue:
Amico dei senza papà !Fonte di ogni felicità !Signore della mangiatoia! Io vado in confusionequando pongo lo sguardosul tuo occhio gagliardocome nel cielo il dardo,Compagno Napoleone!Tu elargisci con munificenzaciò di cui non puossi far senza,ben due pastoni al giorno e un pulito paglione,e cosà ogni bestiaccia giacenella stalla dorme in pace,d’ogni miracol sei capace,Compagno Napoleone!E se avessi un maialettoun lattonzolo piccolettopoco piú d’un barattolo quanto a dimensionegià apprenderebbe a menaditofedeltà assoluta al partitointonando fin dal primo vagito:«Compagno Napoleone!»
Napoleone approvò il componimento e lo volle scritto sul muro del grande fienile, davanti a quello dove c’erano i Sette Comandamenti. Era sormontato da un suo ritratto, di profilo, eseguito da Trombetta con la vernice bianca.
Intanto, grazie alla mediazione di Whymper, Napoleone avviò complessi negoziati con Frederick e Pilkington. La catasta di legna non era ancora stata venduta. Dei due, Frederick sembrava il piú desideroso di aggiudicarsela, ma la sua offerta era fuori mercato. Nel frattempo girarono nuove voci sul fatto che Frederick e i suoi uomini stessero complottando per invadere la Fattoria degli Animali e distruggere il mulino, perché quel progetto aveva suscitato in lui un’invidia divorante. Sembrava che Palladineve si nascondesse ancora nella Fattoria Pinchfield. A metà estate gli animali si preoccuparono parecchio nel sentire che tre galline si erano costituite confessando di aver preso parte, istigate da Palladineve, a un complotto per assassinare Napoleone. Furono subito condannate a morte, ma questo portò a nuove precauzioni per la sicurezza di Napoleone. Di notte quattro molossi montavano di guardia al suo letto, uno per angolo, e un maialetto di nome Rosino aveva l’incombenza di assaggiare prima di lui tutto quello che avrebbe dovuto mangiare, nell’evenienza che ci fosse qualcosa di avvelenato.
In quello stesso periodo saltò fuori che Napoleone aveva stretto accordi per vendere la catasta di legna a Pilkington; stava anche per stringere un accordo stabile per lo scambio di alcuni prodotti tra la Fattoria degli Animali e la Fattoria Foxwood. Ormai i rapporti tra Napoleone e Pilkington, per quanto sempre mediati da Whymper, erano quasi amichevoli. Gli animali non si fidavano di Pilkington, restava pur sempre un essere umano, ma lo preferivano di gran lunga a Frederick, che temevano e odiavano allo stesso tempo. Con il passare dell’estate, e il mulino prossimo al completamento, le voci di un attacco imminente divennero sempre piú insistenti. Si diceva che Frederick intendesse scatenare contro di loro venti uomini armati fino ai denti, e che avesse già corrotto magistratura e polizia, di modo che se fosse riuscito a mettere le mani sui titoli di proprietà della Fattoria degli Animali, quelli non avrebbero fatto storie. In aggiunta da Pinchfield arrivavano racconti tremendi sulle efferatezze che Frederick infliggeva agli animali. Aveva frustato a morte un cavallo, lasciava morire di fame le mucche, aveva ucciso un cane gettandolo nella caldaia, la sera si divertiva facendo combattere i galli con una lametta legata agli speroni. Agli animali ribolliva il sangue per la rabbia quando sentivano di azioni del genere commesse contro i loro simili, e a volte invocavano che venisse loro concesso di uscire in massa e attaccare la Fattoria Pinchfield, cacciare gli esseri umani e liberare gli animali. Ma Trombetta consigliava di evitare azioni avventate e di fidarsi della strategia elaborata dal Compagno Napoleone.
Tuttavia l’ostilità verso Frederick non si attenuò. Una domenica mattina Napoleone si presentò al fienile e spiegò che non aveva mai nemmeno accarezzato l’idea di vendere la catasta di legname a Frederick: considerava indecente, disse, fare affari con canaglie di quella risma. Ai piccioni che venivano ancora mandati in giro a diffondere notizie sugli esiti della Rivolta venne vietato di posarsi in qualsiasi punto di Foxwood e fu anche ordinato loro di sostituire il vecchio motto «Morte all’Umanità » con «Morte a Frederick». Verso la fine dell’estate venne alla luce un’altra macchinazione di Palladineve. Il campo di grano era infestato dalle erbacce e si scoprà che in una delle sue visite notturne Palladineve aveva mescolato i semi di gramigna a quelli di granturco. Un papero, che era al corrente del complotto, confessò a Trombetta d’essere il responsabile e si tolse subito la vita ingoiando delle bacche letali. Gli animali appresero inoltre che Palladineve non era mai stato insignito dell’onorificenza di «Eroe animale di prima categoria», come molti di loro avevano creduto. Era solo una leggenda diffusa da lui stesso qualche tempo dopo la Battaglia delle Stalle. Altro che medaglie, Palladineve era stato invece biasimato per essersi mostrato cosà vile in battaglia. Ancora una volta qualcuno tra gli animali rimase perplesso, ma Trombetta fu abilissimo a convincerli che i loro ricordi erano fallaci.
In autunno, con uno sforzo tremendo e sfiancante, visto che nello stesso periodo c’era da occuparsi del raccolto, il mulino venne portato a termine. Bisognava ancora installare gli ingranaggi (Whymper stava negoziando l’acquisto), ma la struttura era finita. A fronte di tutte le difficoltà , nonostante l’inesperienza, i mezzi rudimentali, la sfortuna e i sabotaggi di Palladineve, l’opera era stata portata a termine nel giorno prefissato. Esausti ma orgogliosi, gli animali si aggirarono intorno a quel capolavoro, che ai loro occhi sembrava ancora piú bello di quello che avevano costruito prima. I muri, soprattutto, erano spessi il doppio. Stavolta per abbatterli ci sarebbero volute le bombe! E pensando alla fatica fatta, ai momenti di sconforto che avevano dovuto superare e agli enormi cambiamenti che sarebbero avvenuti nella loro vita quando le pale avessero cominciato a girare e le dinamo a funzionare, pensando a tutto questo, la stanchezza si dileguava e ricominciavano a saltellare intorno al mulino, lanciando grida di trionfo. Napoleone stesso, circondato dai molossi e dal suo galletto, si recò là a ispezionare il lavoro ultimato: si congratulò personalmente dell’impresa con gli animali e annunciò che il mulino sarebbe stato battezzato Mulino Napoleone.
Due giorni dopo gli animali vennero convocati per una riunione speciale nel fienile. Rimasero ammutoliti per la sorpresa quando Napoleone annunciò che aveva venduto la catasta di legname a Frederick. I carri di Frederick sarebbero arrivati l’indomani per cominciare a caricarla. Per tutto il periodo della sua apparente amicizia con Pilkington, in realtà Napoleone aveva stretto accordi segreti con Frederick.
Ogni rapporto con la Fattoria Foxwood era stato interrotto e a Pilkington erano stati spediti messaggi di insulti. Ai piccioni si era detto di evitare la Fattoria Pinchfield e di cambiare slogan da «Morte a Frederick» a «Morte a Pilkington». Allo stesso tempo Napoleone rassicurò gli animali: le storie riguardo a un imminente attacco alla Fattoria degli Animali erano del tutto infondate e i racconti sulla crudeltà di Frederick verso i suoi animali erano largamente esagerati. Tutte quelle dicerie probabilmente erano state diffuse da Palladineve e dai suoi emissari. A quanto sembrava in realtà Palladineve non s’era nascosto alla Fattoria Pinchfield, anzi non ci aveva mai messo piede: viveva – nell’agio e nel lusso, cosà si diceva – alla Fattoria Foxwood, e negli anni passati era stato sempre al soldo di Pilkington.
L’astuzia di Napoleone mandò in visibilio i maiali. Fingendosi amico di Pilkington aveva costretto Frederick ad alzare il prezzo di dodici sterline. Ma l’intelligenza sopraffina di Napoleone, diceva Trombetta, era dimostrata dal fatto che non si fidava di nessuno, nemmeno di Frederick. Costui voleva pagare il legname con una cosa che si chiamava assegno: si trattava, cosà pareva, di un pezzo di carta dove c’era scritta la promessa di un pagamento. Ma Napoleone era troppo sveglio per farsi fregare. Aveva chiesto un pagamento in biglietti da cinque sterline, che avrebbero dovuto essere consegnati prima del ritiro del legname. Frederick aveva già pagato la somma, che era proprio quel che serviva per l’acquisto dei macchinari per il mulino.
Intanto il legname veniva caricato sui carri ad alta velocità . Quando fu prelevato tutto, si tenne un’altra assemblea speciale nel fienile, affinché gli animali potessero vedere le banconote di Frederick. Con un sorriso beato e le due medaglie in bella mostra, Napoleone riposava su un giaciglio di paglia sopra il palco, con i soldi accanto, impilati con cura su un piatto di porcellana recuperato dalla cucina della casa colonica. Gli animali sfilarono lentamente, uno dopo l’altro, per rifarsi gli occhi. Campione allungò il naso per sniffare le banconote: le sue possenti sfiatate fecero tremolare i foglietti bianchi.
Tre giorni dopo si scatenò un altro putiferio. Pallido come un cencio, Whymper arrivò alla fattoria pedalando a tutta velocità , buttò a terra la bicicletta in cortile e si infilò di corsa nella casa colonica. Un attimo dopo dagli alloggi di Napoleone arrivò un grido soffocato di rabbia. La notizia dell’accaduto si propagò per la fattoria come un incendio. Le banconote erano false! Frederick si era preso il legname in cambio di un bel niente!
Napoleone radunò subito tutti gli animali e con voce tonante pronunciò la condanna a morte di Frederick. Una volta arrestato, disse, sarebbe stato bollito vivo. Allo stesso tempo li mise in guardia: dopo quel gesto vile bisognava aspettarsi il peggio. Frederick e i suoi uomini avrebbero potuto sferrare l’attacco tanto temuto. Vennero posizionate sentinelle su ogni via d’accesso alla fattoria. In aggiunta quattro piccioni vennero spediti a Foxwood con messaggi conciliatori, che – si sperava – avrebbero aiutato a ristabilire buoni rapporti con Pilkington.
La mattina dopo fu sferrato l’attacco. Gli animali stavano facendo colazione quando le sentinelle accorsero con la notizia che Frederick e i suoi compari avevano già varcato il grande cancello. Temerariamente, gli animali si lanciarono fuori per fermarli, ma questa volta non ottennero vittoria facile come nella Battaglia delle Stalle. C’erano quindici uomini, con una decina di fucili, che aprirono il fuoco non appena furono a una cinquantina di metri. Gli animali non riuscirono ad andare incontro alle violente esplosioni e ai pallini roventi: nonostante i tentativi di serrare le file da parte di Napoleone e di Campione, batterono subito in ritirata. Molti di loro erano stati feriti. Si rifugiarono negli edifici della fattoria e prudentemente sbirciarono fuori da buchi e spiragli nel legno. Tutto il grande pascolo, compreso il mulino, era già nelle mani del nemico. Per un attimo, perfino Napoleone sembrò smarrito. Camminava avanti e indietro senza fiatare, la coda rigida e tremolante. Lanciava occhiate di speranza in direzione di Foxwood. Se Pilkington e i suoi uomini fossero accorsi in loro aiuto, gli animali avrebbero ancora potuto avere la meglio. Ma in quel momento fecero ritorno i quattro piccioni che erano stati spediti in avanscoperta il giorno prima e uno di loro recava un messaggio di Pilkington. Sopra c’era scritto a matita: «Ti sta bene».
Intanto Frederick e i suoi uomini si erano fermati davanti al mulino. Gli animali li guardarono e lasciarono partire un mormorio di sgomento. Due uomini avevano tirato fuori un piede di porco e una mazza. Avevano intenzione di distruggere il mulino!
– Impossibile! – gridò Napoleone. – Abbiamo costruito muri troppo spessi e solidi. Non riuscirebbero ad abbatterlo nemmeno in una settimana. Animo, compagni!
Ma Beniamino scrutava con aria pensosa i loro movimenti. I due con la mazza e il piede di porco stavano scavando un buco alla base del mulino. Lentamente, quasi divertito, Beniamino annuà col suo muso lungo.
– Lo immaginavo, – disse. – Non capite cosa stanno facendo? Fra un attimo in quel buco infileranno dell’esplosivo.
Terrorizzati, gli animali temporeggiarono. In quel momento era impossibile avventurarsi fuori allo scoperto. Dopo qualche minuto videro gli invasori correre di qua e di là . Ci fu un boato assordante. I piccioni si alzarono in volo e tutti gli animali, con l’eccezione di Napoleone, si gettarono pancia a terra e si coprirono la testa. Quando si rialzarono, dove un tempo c’era stato il mulino videro aleggiare un’enorme nuvola di fumo nero. Lentamente venne soffiata via dal vento. Il mulino non esisteva piú!
Davanti a quello spettacolo, gli animali ritrovarono ardimento. La paura e la disperazione che avevano provato un momento prima vennero cancellate dalla rabbia per quel gesto vigliacco e spregevole. Partà un grido possente di vendetta e, senza nemmeno att...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- La fattoria degli animali
- Capitolo primo
- Capitolo secondo
- Capitolo terzo
- Capitolo quarto
- Capitolo quinto
- Capitolo sesto
- Capitolo settimo
- Capitolo ottavo
- Capitolo nono
- Capitolo decimo
- Postfazione di Christopher Hitchens
- Nota di Marco Rossari
- Il libro
- L’autore
- Dello stesso autore
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