Sono una proiezione di me, sono il mio exit poll. Come è possibile che gli anni passino cosà in fretta, come può succedere che quella che mi vive dentro è una me che non invecchia, che io sia sempre lei, il piccolo essere felice che il giorno del suo decimo compleanno posa per la foto che sto guardando abbracciata alla compagna di banco.
Sono mia figlia e mia madre, sono una non mamma.
Mi educo e mi vizio. Mi compro quello che voglio.
Zampetta sulle punte un chihuahua, fa una cacca a virgola con aria guardinga poi si rilassa e sbadiglia stirando la lingua. Avrebbe un temperamento serio e un’indole coraggiosa, nonostante gli occhi a palla e quel tremore elettrico che gli parte dalle orecchie per scaricarsi sulle zampe, nonostante il collare di strass.
Conto gli abusi leziosi del quartiere – tre verandine, un garagetto, due finestrelle.
I nonni abitavano in uno dei condomini banali che trascorrono sul viadotto trafficato, vivevano proprio dopo la banca, al di là di finestre con inferriate tutte uguali. In motorino ci passo spesso. Sul tavolo per la canasta si posavano scacchi di luce, un raggio affilava la spada appesa vicino alla libreria, sul manico era inciso Souvenir de Toledo. Con quella una volta il nonno sfidò a duello un ladruncolo: un vecchio jedi in vestaglia sul terrazzo del secondo piano, il cerchio giallo della luna completava il manga notturno. Gli ci voleva un cane, e per annusare minacce da poco sarebbe bastato di piccola taglia. Il corpicino pulsante sul grembo del vecchio cavaliere, li ricordo cosÃ.
Se qualcuno arrivava Micrò lo sentiva e partiva come un razzo, il tic tic delle unghiette sul marmo del corridoio. In curva scivolava ogni volta e ogni volta, con orgoglio, dominava il gemito di stizza. «Buono buono Micrò, non è nessuno…» Il nonno sorrideva, aveva gli occhi chiari da siciliano normanno e sulla tempia una voglia a forma di Asia.
A proposito. Da Costantinopoli sbarcò nella prefettura dove lui era impiegato quella che sarebbe diventata sua moglie. In dote solo un tappeto e dentro, avvoltolati, una sorella, un fratello, una madre e una nonna che parlavano greco. Si sono amati per tutta la vita, fino a tarda età , fino all’ultimo. «Li sentivo divertirsi nel letto!» diceva impudica una zia ridacchiando.
Oggi vorrei citofonare, salire su, e a chi abita quelle stanze raccontargli di Toledo, di Costantinopoli e di quella voglia. Ma il semaforo è diventato verde, un tizio dietro di me suona e devo andare. Anche Micrò è partito, corre verso la solita curva.
In motorino mi viene in mente l’idea che può cambiarmi la vita, la soluzione geniale, la risposta giusta. La mail da scrivere al mio capo, in motorino, viene da dio, e lui mi risponde, e mi offre mille opportunità di carriera. In motorino invento app, trame di libri, poesie. E sempre vengo premiata, per il mio successo di pubblico, per una buona azione, e io ringrazio con un discorso che in motorino fila benissimo, non dimentico nessuno e tutti mi sorridono.
Arrivo a destinazione al momento del brindisi ma già quando parcheggio e levo il calice non ricordo piú il nome del protagonista del libro, e appena tiro su il cavalletto l’app non mi sembra poi cosà sensazionale.
Slaccio la fibbia del casco e lo sfilo via, tutte le idee da motorino si liberano in aria. Mi ravvio i capelli appiccicati sulla fronte per darmi un contegno.
Sono una motorinista anche quando vado a piedi. Mi rimangono addosso l’aria affannata e un po’ di vento. Non sono eco-chic, detesto i monopattini e per lo skate è passato il mio tempo – il motorino è il sogno ancora vivo dell’adolescenza finita. Noi motorinisti siamo i testimonial di una generazione poco interessante, i millennial non ci vedono neanche e quelli piú vecchi di noi ci sgonfiano le ruote pur di rimanere loro in sella.
I motorinisti quando entrano in un posto sorridono a tutti. Sono un po’ idealisti e un po’ fregati dalla vita, sono i veri supereroi di una sopravvivenza non solo stradale.
Le Scimmie di Mare, una vasca di felicità ! Le Scimmie di Mare, il miracolo della vita istantanea! Ho dieci anni e prendo ancora le cose sul serio, anche la pubblicità . Questi simpatici animaletti li vedrete nascere, crescere e riprodursi.
Ritaglio il talloncino, lo compilo, lecco il margine colloso della busta, lo faccio aderire al bordo con la meticolosità dell’infanzia e infilo la lettera nella buca ALTRE DESTINAZIONI.
Il pacchetto arriva puntuale con l’allegra famigliola al suo interno – papà , mamma e figlioletti –, esserini rosei e simpatici tutti per me. Li alleverò io quei piccoli, basta seguire le istruzioni come dice il giornalino, un po’ d’acqua e un batuffolo di ovatta per mantenere nel tepore «il miracolo della vita istantanea». Eccoli qui: tra i grani di sale riposano minuscoli embrioni, cristalli di artemia marina.
Gli giro intorno in trepidante attesa, se solo potessi fumerei un pacchetto di sigarette ma l’ovatta scurisce e un odore acre, di pesce morto sul bagnasciuga, punge le narici. Apro il fagottino e la graniglia si appiccica ai polpastrelli: le mie scimmie di mare non ce l’hanno fatta.
Soffio sulla polvere il mio soffio di vita al contrario. La scia di artemia secca danza nella luce che filtra dalle tapparelle, le dita odorano di mare di notte e per non far accedere nessuno al mio dolore, rido forte.
Trent’anni dopo avrei abortito, nel bagno dell’ufficio quell’ultimo fiotto rosso. Mi alzo dalla tavoletta, la mia faccia che mi guarda dallo specchio. Tiro lo sciacquone e ciao.
Ma ero preparata.
Me ne vado a zonzo cercando un atomo di serenità . Mi appare, tra il Tevere e la vegetazione, la villa detta castellaccio. Nei ghirigori gaddiani la firma dell’ideatore che l’abitò, l’architetto Armando Brasini, sabotatore, con guglie e bestioni di travertino, dell’estetica razionalista.
Quel gotico da cartone animato lo ritrovo nei duecentocinquanta metri del ponte Flaminio, lo scorrere dei cippi e dei fusti cilindrici, le quattro aquile dall’aria ottusa sulle colonne. Le gialle lanterne, simili ai fari di un porto in secca, preludono alla chiesa di piazza Euclide dal pronao e frontone smisurati, immane fermacarte di un gigantesco notaio con studio ai Parioli. Piú in lontananza lo zoo, con l’ingresso degno di un tempio egizio. Il gorilla vi trascorreva i suoi giorni ascetici, fissando il visitatore che si avvicinava di piú al suo gabbiotto, ponderando, la schiena appoggiata alla roccia farlocca, il murales di palme e banani tutt’intorno e quel pallone sgonfio nell’angolo. Se cerchi bene, il nero delle sue pupille è ancora impresso nelle mie.
Gli incubi s’incuneano nella razionalità , il sogno sfida le leggi della ragione e la parola «ingegni» ha senso anche se letta al contrario.
Aggiungo o tolgo un ponte, cambio itinerario, svolto alla prima o alla seconda traversa ma sempre, a terra, trovo gli stessi pezzi di legno. Sono rami riportati al padrone da cani fedeli, rami umidi e storti, nerastri, piú o meno di uguale lunghezza. Ce ne sono anche di chiari, lisci come fossero stati levigati da un fiume o da un mare e che, tra le foglie bagnate e le cartacce, attendono un nuovo lancio.
Sulla mia strada ogni giorno diversa, le tracce del medesimo gioco invisibile.
(calcoli)
Ho un doppio lavoro, dopo la radio faccio l’agrimensora urbana. Il mio compito? Misurare il quartiere. Oggi devo controllare gli androni e le portinerie, contare gli scuri e le tapparelle; domani tocca agli alberi e alle aiuole. Sono una ronda, una ronda pacifica. Dalle finestre dei salotti pendono lampadari? Non mi sfuggono, conto anche quelli. Valuto i passanti (come vivranno, chi ameranno, cosa voteranno), gli odori (pizza bianca, caffè, umidità , ma anche piscio, sudore, merda), classifico le buche (lunghe, profonde, frastagliate, asciutte, fangose) e le dato (recenti, antiche, future).
I negozi spariti mi provocano una macchia blu nel visus: dura qualche ora, è l’effetto di questa professione, una tecnopatia localizzata nell’occhio destro. Qui c’era questo, qui quello, ogni definitiva chiusura, ogni cartello SVENDO TUTTO lo annoto nella sezione lutti, insieme agli alberi capitozzati e alle fontane secche.
Politici e giornalisti, le facce ultrapiatte nell’HD, ora anche abbronzate, e i denti bianchi, mi disgustano, per sfregio ci dormo davanti: la mia resistenza pacifica.
Le serie non fanno per me. Salto e ballo col telecomando su canali a tre cifre, ecco una bella televendita, guaine contenitive invisibili da indossare sotto gonne e pantaloni, materassi sopra doghe natur...