Le memorie del futuro
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Le memorie del futuro

Musei e ricerca

  1. 144 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Le memorie del futuro

Musei e ricerca

Informazioni su questo libro

I musei sono spesso percepiti come entità statiche, nascoste nei magazzini o intrappolate all'interno di vetrine chiuse. In realtà generano nel tempo una complessa rete di relazioni e una forte influenza sulla società civile. Speranza e ricordo sono alla base del concetto stesso di museo. L'interazione fra i visitatori, gli oggetti e le istituzioni che li hanno acquistati, collezionati, studiati ed esibiti ha generato nel tempo una complessa rete di relazioni e una forte influenza sulla società civile. La cultura lega quindi l'uomo al suo prossimo creando uno spazio comune di esperienze, di attese e di azioni, ma connette anche il passato al presente, modellando e mantenendo attuali i ricordi fondanti, oltre a includere le immagini e le storie di un altro tempo entro l'orizzonte del presente. Si generano cosí speranza e ricordo: questo aspetto della cultura è alla base del concetto stesso di museo.

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Capitolo secondo

La storia

Gli scribi pieni di saggezza, dal tempo che venne dopo gli dèi,
e quelli che predissero il futuro,
il loro nome dura eternamente:
(eppure) sono andati, hanno compiuto il loro tempo e tutti
i loro contemporanei sono obliati.
Essi non hanno costruito piramidi di bronzo con stele di ferro,
non hanno progettato di lasciar come eredi (dopo di loro)
i figli (della loro carne) che pronunciassero il loro nome:
essi si sono fatti come eredi i libri
e gli insegnamenti che hanno fatto.
Si sono fatti come sacerdote ritualista
il rotolo di papiro;
della paletta di scriba
han fatto il loro figlio diletto.
Gli insegnamenti sono le loro piramidi,
il calamo è il loro figlio,
la lastra di pietra la loro sposa:
dal grande al piccolo, tutti son dati loro per figli,
perché lo scriba è alla loro testa.
Furon costruiti portici e case: sono crollati.
I loro sacerdoti funerari sono andati,
le loro stele son coperte di terra,
le loro tombe obliate.
Ma è pronunciato il loro nome a causa dei libri che han fatto,
perché erano buoni,
e il ricordo di colui che li ha fatti rimane eternamente
e per sempre.
«Miscellanee» scolastiche di età ramesside.

1. La definizione di museo1.

Una profonda riflessione sul ruolo sempre piú centrale dei musei nella società contemporanea si è svolta a Kyoto durante l’assemblea generale dell’International Council of Museums (ICOM), l’organismo che rappresenta i musei di tutto il mondo, nel settembre del 20192. La proposta di nuova definizione era la seguente: «I musei sono luoghi di democratizzazione, spazi inclusivi e polifonici per lo sviluppo del dialogo critico riguardo il passato e il futuro. Comprendendo e affrontando i conflitti e le sfide del presente, custodiscono artefatti e reperti per la società, proteggono la memoria per le generazioni future e garantiscono uguali diritti e accesso al patrimonio per tutti. I musei sono un’istituzione senza scopo di lucro. Sono partecipativi e trasparenti e lavorano in collaborazione attiva con e per diverse comunità per collezionare, preservare, studiare, interpretare, esporre e accrescere la comprensione del mondo, con lo scopo di contribuire alla dignità umana e alla giustizia sociale, all’uguaglianza globale e al benessere planetario».
Sebbene gran parte di coloro che lavorano nei musei si riconoscano in queste affermazioni e ne condividano le finalità, dopo un acceso dibattito la proposta non è stata adottata dall’assemblea generale. Le critiche riguardavano l’astrattezza delle affermazioni e il difetto di non essere riusciti a cogliere in modo netto e preciso in cosa si contraddistingua l’istituzione museale dalle altre entità che operano nella comunità. I delegati hanno anche messo in evidenza come vi fosse solo un generico riferimento a quello che costituisce l’elemento piú caratterizzante per i musei: la cultura materiale che custodiscono.
Rimane quindi in vigore la definizione del 2004: «Il museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che effettua ricerche sulle testimonianze materiali e immateriali dell’uomo e del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, le comunica e specificatamente le espone per scopi di studio, istruzione e diletto». Significativo è fare un ulteriore paragone e osservare la succinta definizione di museo che ICOM aveva dato nel 1946, al momento della sua fondazione: «I musei sono tutte le collezioni aperte al pubblico, di materiale artistico, tecnico, scientifico, storico o archeologico, inclusi zoo e giardini botanici, ma escludendo le biblioteche, a meno che mantengano sale di esposizione permanenti». Questo rapido confronto ci fa riflettere su come dal secondo conflitto mondiale a oggi i musei abbiano avvertito la necessità di guadagnare un ruolo sociale e una rilevanza3.
Ci si potrebbe chiedere se il desiderio dei musei di essere parte attiva della complessità della società contemporanea sia una risposta a impulsi esterni o costituisca, piuttosto, un’autoanalisi portata avanti dagli operatori del settore. È facilmente riscontrabile, comunque, che i musei siano sempre piú spinti ad analizzare in modo obiettivo il loro ruolo all’interno della società, e vogliano contribuire a contrastare le diseguaglianze sociali, le asimmetrie di potere e ricchezza, in un’ottica sia globale sia locale. Nel fare questo si interrogano con spirito critico su questioni importanti che riguardano le modalità in cui hanno acquisito e continuano a incrementare le loro collezioni, gli aspetti etici legati all’esposizione di materiale sensibile, come ad esempio i resti umani.
Negli ultimi anni si è assistito a progetti di restituzione a seguito di attente disamine, rapporti con le comunità di origine, studio critico dei documenti di archivio. Nel fare questo i musei partecipano ai crescenti impulsi che ricevono dalla società per contribuire a porre al centro della loro programmazione la questione dei diritti umani e delle opportunità di accesso alla vita culturale. I musei, nel loro ruolo chiave di testimoni del passato e custodi dei tesori dell’umanità per le generazioni future, svolgono una funzione essenziale e crescente nell’attività formativa e nello sviluppo di una società critica che sappia interrogarsi sulle sfide politiche, sociali e ambientali. Per fare questo devono essere in grado di rispondere con rapidità agli stimoli che ricevono e racchiudono in sé l’ossimoro di svolgere il loro compito di conservare il passato riuscendo contemporaneamente a innovare.
I musei sono un’evidenza tangibile di come una società organizzi il proprio sapere e di quali siano i principî che sottendono a tale processo. Per tentare di definire la funzione dei musei è opportuno tracciarne brevemente la storia, cominciando dalla necessità che si avvertí anticamente, già in Egitto, di preservare le testimonianze e la memoria delle generazioni precedenti.

2. Lo studio e il recupero del passato nell’antico Egitto4.

Nell’antico Egitto il rispetto, la conoscenza e il restauro dei monumenti appartenenti a epoche precedenti erano strettamente connessi ai compiti del sovrano incentrati sul mantenimento di maat, l’ordine che deve sorreggere il cosmo. Nella società egizia, come in tutte le civiltà premoderne, i beni e i materiali erano scarsi e venivano spesso reimpiegati. Nel rapporto, quindi, con la cultura materiale possiamo essenzialmente distinguere tre fasi: il riutilizzo di materiale da costruzione da parte dei sovrani, il restauro dei monumenti e il reimpiego da parte dei privati di corredi funerari e tombe.
Il reimpiego del materiale lapideo trova la sua giustificazione nella comodità di poter evitare il ricorso a cave lontane per reperirne di nuovo. Attestazioni scritte, come ad esempio l’Insegnamento per Merikara5, dimostrano disapprovazione per queste pratiche: «non spogliare il monumento di un altro ma procurati le pietre [nella cava di Tura]. Non costruire la tua tomba di rovine utilizzando ciò che è già stato costruito per ciò che deve essere costruito»6. A volte, però, l’uso di parti di monumenti antichi serviva anche a conferire, dal punto di vista ideologico, una componente di legittimazione. Ne costituisce un esempio la piramide di Amenemhat I (1991-1962 a. C.) a Lisht che conteneva centinaia di blocchi iscritti provenienti dai complessi piramidali in rovina dell’antico Regno (2575-2134 a. C.)7.
Una delle giustificazioni primarie che venivano fornite dai faraoni per il restauro, la ricostruzione e il ripensamento di monumenti esistenti era quella di averli trovati «ridotti in rovine». All’inizio del regno di Sesostris I (1971-1926 a. C.), un testo, preservato sull’isola di Elefantina, ci informa su come il sovrano intervenne nel restauro del tempio dedicato alla dea Satet dopo averne constatato la precaria condizione: «Egli trovò la grande cappella ridotta a un cumulo di terra senza che vi fosse il ricordo di essa»8. Documenti simili che lamentano lo stato di abbandono in cui erano ridotti i monumenti antichi risalgono all’epoca della regina Hatshepsut (1473-1458 a. C.). Sull’architrave del piccolo tempio rupestre di Speos Artemidos, nel Medio Egitto, leggiamo: «Il tempio è ridotto in rovine, la terra ha ricoperto il suo nobile santuario, i bambini danzano sul tetto del tempio»9. Ecco quindi che l’intervento del sovrano è fondamentale per ripristinare lo splendore dei monumenti, per ristabilire la purezza dei luoghi e permettere lo svolgimento del culto.
Esemplare, a questo proposito, è la stele della sfinge di Tuthmosi IV (1401-1391 a. C.):
Uno di questi giorni avvenne che il principe Tuthmosi era venuto a passeggiare, sull’ora di mezzodí. Si ristorò all’ombra di questo dio grande (ovvero sotto la grande sfinge di Giza) e il sonno di sogno si impadroní di lui nel momento in cui il sole è al suo culmine. Troviamo che la Maestà di questo dio parlava con la sua stessa bocca, come un padre parla al proprio figlio, dicendo: «Guardami, volgi gli occhi su di me, o figlio mio Tuthmosi! Io sono tuo padre Harmakhi-Khepri-Atum. Io ti concedo la mia regalità sulla terra, a capo dei viventi. Tu porterai alta la corona bianca e la corona rossa sul trono di Gheb, il dio principe ereditario; a te apparterrà il paese quanto è lungo e quanto è largo, e tutto ciò che illumina l’occhio del Signore Universale [ovvero il dio Sole]. Riceverai gli alimenti delle Due Terre, e un abbondante tributo di tutte le contrade straniere, e una durata di vita di un grande numero d’anni. A te è il mio volto, a te il mio cuore, tu sei mio. Vedi lo stato in cui sono e come il mio corpo è dolorante, io che sono il signore dell’altopiano di Giza!
Avanza sopra di me la sabbia del deserto, quella su cui io sono: devo affrettarmi a fare che tu realizzi ciò che è nel mio cuore, perché io so che tu sei mio figlio, il mio protettore. Avvicinati, ecco io sono con te, io sono la tua guida»10.
Interessante è il caso del sovrano Akhenaton (1353-1335 a. C.) nella XVIII dinastia (1550-1307 a. C.). Egli infatti, volendo fondare e costruire dei templi dedicati al nuovo culto del dio Sole, non riutilizzò materiale da costruzione appartenente a periodi precedenti, ma fece sviluppare una tecnica costruttiva basata sull’impiego di agili blocchi di pietra, i cosiddetti talatat, che potessero essere facilmente trasportati. Con la fine del suo regno e la conseguente damnatio memoriae, i monumenti voluti da Akhenaton vennero sistematicamente demoliti e letteralmente smontati, impiegando i talatat come materiale di fondazione e di riempimento. In questo caso, quindi, si fusero le esigenze economiche e la necessità di trovare materiale da costruzione con una modalità efficiente atta a far scomparire tutte le vestigia del «faraone eretico»11.
Importante è l’opera condotta dai sovrani successivi, a partire da Tutankhamon (1333-1323 a. C.) per arrivare a Seti I (1306-1290 a. C.). I monumenti attaccati e vandalizzati dagli emissari di Akhenaton vennero riparati, le iscrizioni contenenti i nomi di Amon-Ra e di altre divinità del pantheon egizio ripristinate. Nel decreto della restaurazione di Tutankhamon leggiamo che in tutto l’Egitto, dall’Elefantina al Delta, i templi sono in rovina, trasformati in colline ricoperte di erba. Gli interventi tesi al recupero dei luoghi di culto antichi proseguirono anche con i sovrani Ay (1323-1319 a. C.) e Horemheb (1319-1307 a. C.). Quest’ultimo sostituí molte delle iscrizioni di smAwy-mnw, «rinnovo dei monumenti», apponendo il suo nome al posto di quello dei suoi predecessori. Cospicua fu anche l’opera di Seti I che intervenne nelle vie processionali e negli ingressi monumentali modificando, anche dal punto di vista stilistico, alcuni dei restauri effettuati da Tutankhamon, per condannare definitivamente all’oblio l’epoca di Amarna12.
In età ramesside troviamo uno dei personaggi piú significativi per la considerazione e il recupero dei monumenti antichi. Un figlio di Ramses II (1290-1224 a. C.), il principe Khaemwaset, effettuò infatti lavori di scavo a Giza, vicino alla grande piramide, e portò alla luce una s...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Le memorie del futuro
  4. I. La memoria
  5. II. La storia
  6. III. Il presente
  7. IV. Gli oggetti
  8. V. Il futuro prossimo
  9. Bibliografia
  10. Il libro
  11. Gli autori
  12. Copyright