
- 176 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Borgo Sud
Informazioni su questo libro
È il momento piú buio della notte, quello che precede l'alba, quando Adriana tempesta alla porta con un neonato tra le braccia. Non si vedevano da un po', e sua sorella nemmeno sapeva che lei aspettasse un figlio. Ma da chi sta scappando? È davvero in pericolo?
Adriana porta sempre uno scompiglio vitale, impudente, ma soprattutto una spinta risoluta a guardare in faccia la verità . Anche quella piú scomoda, o troppo amara. Cosà tutt'a un tratto le stanze si riempiono di voci, di dubbi, di domande.
Entrando nell'appartamento della sorella e di suo marito, Adriana, arruffata e in fuga, apparente portatrice di disordine, indicherà la crepa su cui poggia quel matrimonio: le assenze di Piero, la sua tenerezza, la sua eleganza distaccata, assumono piano piano una valenza tutta diversa.
Anni dopo, una telefonata improvvisa costringe la narratrice di questa storia a partire di corsa dalla città francese in cui ha deciso di vivere. Inizia una notte interminabile di viaggio - in cui mettere insieme i ricordi -, che la riporterà a Pescara, e precisamente a Borgo Sud, la zona marinara della città . È lÃ, in quel microcosmo cosà impenetrabile eppure cosà accogliente, con le sue leggi indiscutibili e la sua gente ospitale e rude, che potrà scoprire cos'è realmente successo, e forse fare pace col passato.
Donatella Di Pietrantonio torna dopo L'Arminuta con un romanzo teso e intimo, intenso a ogni pagina, capace di tenere insieme emozione e profondità di sguardo.
Adriana porta sempre uno scompiglio vitale, impudente, ma soprattutto una spinta risoluta a guardare in faccia la verità . Anche quella piú scomoda, o troppo amara. Cosà tutt'a un tratto le stanze si riempiono di voci, di dubbi, di domande.
Entrando nell'appartamento della sorella e di suo marito, Adriana, arruffata e in fuga, apparente portatrice di disordine, indicherà la crepa su cui poggia quel matrimonio: le assenze di Piero, la sua tenerezza, la sua eleganza distaccata, assumono piano piano una valenza tutta diversa.
Anni dopo, una telefonata improvvisa costringe la narratrice di questa storia a partire di corsa dalla città francese in cui ha deciso di vivere. Inizia una notte interminabile di viaggio - in cui mettere insieme i ricordi -, che la riporterà a Pescara, e precisamente a Borgo Sud, la zona marinara della città . È lÃ, in quel microcosmo cosà impenetrabile eppure cosà accogliente, con le sue leggi indiscutibili e la sua gente ospitale e rude, che potrà scoprire cos'è realmente successo, e forse fare pace col passato.
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Informazioni
Argomento
LetteraturaCategoria
Letteratura generale1.
La pioggia si è rovesciata sulla festa senza il preavviso di un tuono, nessuno tra gli invitati aveva visto le nuvole addensarsi sopra le colline scure di boschi. Eravamo seduti alla lunga tavola sul prato quando l’acqua ha cominciato a colpirci. Mangiavamo gli spaghetti alla chitarra, le bottiglie erano già smezzate. Al centro della tovaglia ricamata odorava la corona di alloro che Piero si era tolto dopo le fotografie. Alle prime gocce ha guardato il cielo e poi me che gli stavo accanto. Si era liberato di giacca e cravatta, aveva aperto il collo della camicia e arrotolato le maniche fino ai gomiti: la sua pelle irradiava salute, splendore. Aveva dormito poco, e io con lui, solo verso il mattino. Per qualche istante al risveglio non avevo piú saputo chi ero, chi amavo, e che iniziava un giorno felice.
Piero mi ha guardata, stupito del maltempo. Un chicco di grandine ha centrato il vino nel suo bicchiere. Alcuni continuavano a muovere le mascelle, incerti sul da farsi. Mia sorella era già scattata in piedi, raccoglieva i piatti ovali con la pasta avanzata, i cestini del pane, e li metteva in salvo nella cucina al piano terra. Ci siamo riparati sotto una tettoia, mentre Adriana continuava a correre tra dentro e fuori, presa dal vento. Contendeva il cibo al temporale, non era abituata allo spreco.
Mi ero sporta a toglierle dalle mani gli ultimi vassoi quando un pezzo di grondaia ha ceduto su di me. Dallo zigomo ferito il sangue è colato sul petto, mescolandosi all’acqua piovana. Avevo scelto un vestito bianco, per l’occasione. Mi stava bene, aveva detto Adriana al mattino, era una specie di prova per l’abito da sposa. Eravamo arrivate in anticipo, per aiutare nei preparativi. Dalla finestra avevo visto il volo basso e silenzioso delle rondini, sentivano la pioggia. La mamma di Piero invece non se l’aspettava, aveva insistito per festeggiare la laurea nella loro casa di campagna.
Conservo una fotografia di noi due che ci guardiamo innamorati, Piero con l’alloro in testa, gli occhi della devozione. Su un bordo compare Adriana, è entrata nello scatto all’ultimo momento: la sua immagine è mossa, i capelli tracciano una scia bruna. Non è mai stata discreta, si è intromessa in tutto quello che mi riguardava come fosse anche suo, Piero compreso. Per lei non era molto diverso da un fratello, però gentile. Mia sorella rideva spensierata all’obiettivo, ignara di ciò che avremmo vissuto. Ho portato la foto in questo viaggio: siamo tre ragazzi chiusi in una tasca interna della borsa.
A distanza di anni io e Adriana abbiamo ritrovato il vestito tra quelli che non indossavo piú, sulla stoffa era rimasto l’alone leggero del sangue.
– Questo era un segno, – ha detto agitandolo davanti al mio viso.
2.
Non riesco a dormire, in questa camera d’albergo. Cedo alla spossatezza, ma presto sussulto, spalanco gli occhi nel buio. È trascorso molto tempo da allora e la festa di laurea di Piero è un ricordo infedele, o un sogno frammentario. Forse non potrò piú ristabilire la verità su niente, dopo la telefonata che ho ricevuto ieri. Sotto la porta filtra la luce tenue del corridoio, uno scalpiccio ovattato. Passano altri ricordi, affollati, in disordine. La memoria sceglie le sue carte dal mazzo, le scambia, a volte bara.
Ho viaggiato tutto il giorno, su diversi treni, ascoltando gli annunci degli altoparlanti prima in francese e poi in italiano. Sfilavano in un lampo i nomi delle stazioni piú piccole, dove non ci siamo fermati, alcuni non sono riuscita a leggerli. Di colpo nel pomeriggio il finestrino si è riempito di mare, l’Adriatico con le sue increspature, cosà vicino alla ferrovia in certi punti. Attraversando le Marche ho riprovato l’illusione ottica dei palazzi inclinati verso la spiaggia, come attratti dall’acqua. Adriana non sa che sono arrivata. Andrò da lei domani, ma non a Borgo Sud.
Qui in albergo mi hanno chiesto se volevo mangiare, ho detto che ero troppo stanca per scendere a cena. L’Abruzzo forte e gentile ha bussato mentre guardavo il telegiornale, mi ha portato per mano di una ragazza bionda biscotti e latte caldo. Non ho aggiunto lo zucchero, era dolce di suo. Il sapore dimenticato del primo nutrimento, l’ho bevuto a piccoli sorsi, non mi aspettavo tutto quel conforto. Christophe dice che da adulti il latte fa male, che soltanto l’uomo è cosà stupido da continuare a consumarlo dopo lo svezzamento. Però poi l’ho visto uscire sul pianerottolo pescando patatine dalla busta. È il mio dirimpettaio francese, lavora al sincrotrone di Grenoble. Condividiamo un gatto e la cura di alcune piante che vivono tra le nostre porte. Gli ho lasciato un biglietto prima di partire, adesso deve pensarci lui.
A Piero piaceva invece, alcune volte, quando rientrava tardi la sera: – Prendo solo latte e biscotti.
Ne avevamo sempre di tanti gusti, per la colazione. Li inzuppava uno a uno nella tazza tenendoli tra pollice e indice, e mi raccontava la giornata.
La casa che abbiamo abitato da sposi non è lontana da qui. Ripasso a mente le traverse che dividono questa strada da via Zara. Di quell’appartamento mi resta un’impressione cosà esatta che ancora oggi potrei elencarne ogni dettaglio: la piastrella incrinata del bagno che suonava sorda a camminarci sopra, le evoluzioni della luce sui muri nelle ore diurne. La prima sveglia per noi era un piccolo botto alla finestra quando il sole arrivava a scaldarla, una dilatazione improvvisa del vetro. Piero cominciava a girarsi, protestava contro la necessità di alzarci. Respiravamo un’aria sempre un po’ azzurra, entrava dalla terrazza affacciata sul mare. Il mare evaporava in casa nostra.
Adesso il salmastro non si sente, e il rumore delle onde filtra appena da fuori.
Anche quella notte non dormivo, nel letto troppo largo. Era la nostra terza estate lÃ, l’odore di nuovo dei mobili era scomparso e in cucina i fornelli avevano perso la lucentezza. Piero assisteva il padre ricoverato in ospedale. Nel momento piú scuro prima dell’alba qualcuno ha tempestato il campanello con tutta la sua furia. Ha gridato il suo nome, in un attimo era al piano, mi arrivavano i passi nervosi oltre la porta, il respiro ansimante. Ho tardato un po’ a sbloccare la serratura dalle mandate della sera, di là lei borbottava contro di me. Non la vedevo da piú di un anno, mia sorella.
Da ragazzine eravamo inseparabili, poi avevamo imparato a perderci. Lei era capace di lasciarmi senza notizie di sé per mesi, ma mai cosà a lungo. Sembrava ubbidire a un istinto nomade, quando un posto non le conveniva piú, lo abbandonava. Nostra madre glielo diceva, ogni tanto: tu sei una zingara. Anch’io poi lo sono stata, in un altro modo.
È entrata in fretta, con una spinta del piede all’indietro si è richiusa la porta alle spalle. Cosà le è caduta una delle ciabatte che calzava ed è rimasta per terra a rovescio. Il bambino le dormiva in braccio, le gambe nude e inerti lungo il corpo magro di Adriana, la testa sotto il suo mento. Era il figlio, e io non sapevo che le era nato.
Non immaginavo la rivoluzione che stava per cominciare, se l’avessi prevista li avrei forse lasciati fuori. Adriana si credeva un angelo con la spada, ma era un angelo sbadato e feriva anche per sbaglio. Se non fosse arrivata, chissà , tutto il resto non sarebbe accaduto.
Il nostro ultimo incontro si era risolto in lite, dopo qualche settimana l’avevo cercata senza trovarla. Ero in attesa di una sua mossa. Nessuno dei conoscenti comuni l’aveva piú vista in città , ma ogni tanto spediva cartoline ai nostri genitori, su al paese. Me le mostravano quando andavo da loro: porto di Pescara, Pescara by night. Tanti saluti da vostra figlia, poi la firma svolazzante. Sapeva che le avrei lette, erano per me: la prova che era viva e vicina.
La sua mossa è arrivata alle tre di un mattino di giugno. Non so quanto sarei rimasta immobile e zitta, a guardarli. Cosà di schiena la creatura sembrava un grosso bambolotto, di quelli che sua madre non aveva mai posseduto da piccola.
Quasi non la riconoscevo, indossava un cappello di paglia mezzo sformato, con i fiori finti scoloriti sulla tesa larga, il bordo sfilacciato da una parte. Sotto però gli occhi erano i suoi, luminosi e pungenti, solo piú spalancati, come quando aveva paura.
Mi ha chiesto di Piero, le ho detto dove stava. Allora si è spazientita per quel rimanere in piedi tutte e due nell’ingresso, mi ha quasi attraversata. Non aveva dimenticato la casa dove era venuta poche volte, si è diretta sicura verso la camera matrimoniale. Ha messo il bambino sul letto e l’ha coperto con il lenzuolo, si è buttata a sedere accanto. Ero davanti a lei e non parlava, si teneva il viso sudato con le mani, i gomiti sulle ginocchia. Ai suoi piedi la sacca che aveva lasciato cadere da una spalla.
– Che è successo? – ho provato a domandarle.
Non ha risposto, se n’è andata verso la finestra a nascondere le lacrime. Tremava un po’, le scapole in rilievo sotto la camicia da notte che mi era sembrata un abito estivo. Ha urtato il vetro con l’orlo del cappello, le è caduto. Sopra l’orecchio destro un solo colpo di forbici le aveva tagliato di netto la chioma lunga fino alle spalle, come in un gioco alla parrucchiera finito male. Si è ricoperta subito lo sfregio, ignorando lo stupore sulla mia faccia. Un debole fruscio, il bambino si è tolto il lenzuolo di dosso e si è girato verso la lampada accesa. Dormiva nella stessa posizione in cui era stato nella pancia di sua madre, le guance piene, le virgole umide della frangetta sulla fronte.
– Come si chiama? – ho chiesto piano.
– Vincenzo, – ha risposto Adriana dalla finestra.
Mi sono inginocchiata accanto al letto, ho annusato mio nipote. Sapeva di pulito, la testa di pane ancora tiepido. Ho rischiato una carezza, sfiorandolo appena.
– Devi tenerci qua un po’ di tempo, – ha detto Adriana.
Il tono grave mi ha spaventata piú della richiesta.
– Lo domando a Piero.
– Piero è bravo, vuole di sicuro. Forse tu non vuoi, – e si è voltata di nuovo a guardare fuori, i coni di luce bianca dei lampioni sulla strada.
L’ho lasciata là e ho scaldato l’acqua in cucina. Lei si è ribellata davanti alla tazza fumante di camomilla, ma poi ci ha soffiato sopra per raffreddarla e l’ha presa come uno sciroppo amaro, a sorsi rumorosi seguiti da una smorfia di disgusto.
Un breve lamento del bambino, ha allargato le mani a raggiera in un riflesso, ma senza svegliarsi.
– Siete in pericolo? – le ho chiesto.
– Qua no, – ha risposto pensosa.
Dopo è andata al bagno di servizio, sempre con un piede scalzo e uno infilato nella ciabatta. Mi sono avvicinata a Vincenzo in cerca di somiglianze, ma era difficile mentre dormiva, solo la bocca un po’ sfrontata sembrava di sua madre. E nel disegno del naso ricordava l’altro Vincenzo, lo zio che non avrebbe mai conosciuto.
Con il tempo è stato sempre piú simile a lui, in viso, nel modo di camminare e ridere gettando indietro la testa. Quando sua madre lo portava al paese, in piazza i passanti si fermavano a guardarlo, cosà uguale a chi non c’era piú. Anche la determinazione è la stessa, ma mio nipote sa dove applicarla. A sei anni si concentrava per ore sui mattoncini Lego: costruiva navi complete di ogni dettaglio. Adesso vuole diventare ingegnere nautico.
– Ti spacco la faccia se non studi, – lo minaccia in certi momenti sua madre, ma non ce n’è bisogno.
Adriana ha saputo crescere un ragazzo diverso da nostro fratello, diverso anche da lei.
Il nome del bambino mi ha impressionato, quella notte. A ripetermelo dopo, era ogni volta piú giusto. Vincenzo suona fresco e antico nelle stesse tre sillabe. Adriana ha legato la sua creatura a una storia di disgrazie e miracoli, morti e sopravvivenze: la storia disadorna della nostra famiglia. Questo Vincenzo mi sembra piú forte delle avversità , scommetto anche adesso sul suo futuro.
3.
Ieri mi hanno chiamato in segreteria nella tarda mattinata, durante la lezione. Mancava poco alla fine dell’ora, stavamo parlando di Francesco Biamonti. Le parole la notte è uno dei romanzi che ho scelto per questo semestre, non è facile per i miei studenti, ma si sono appassionati. Ho voluto sfidare la loro comprensione dell’italiano e qualche certezza sul loro Paese.
Alain era colpito dai «silenzi inquieti» del protagonista e dal paesaggio, le Alpi Marittime che innervano il racconto dalla prima all’ultima pagina. – Come una punteggiatura, – ha detto.
– Sembra proprio di starci in Liguria, – ha aggiunto la brunetta che siede i...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Borgo Sud
- 1.
- 2.
- 3.
- 4.
- 5.
- 6.
- 7.
- 8.
- 9.
- 10.
- 11.
- 12.
- 13.
- 14.
- 15.
- 16.
- 17.
- 18.
- 19.
- 20.
- 21.
- 22.
- 23.
- 24.
- Nota al testo.
- Il libro
- L’autrice
- Della stessa autrice
- Copyright