Linda era dentro casa, al telefono – con chi, a quell’ora del mattino? John, nella vasca idromassaggio, la guardava fare avanti e indietro in accappatoio con sotto un vecchio costume da bagno che aveva un disegno tropicale sbiadito e probabilmente apparteneva a una delle figlie. Che bello farsi trasportare un po’ dall’acqua, scivolare sul lato opposto della vasca tenendo il caffè sollevato, tra lo spumeggiare dei getti. Il fico era spoglio oramai da un mese, i cachi invece erano carichi di frutti. Quando vengono i ragazzi dovrebbero preparare i biscotti, pensò, i biscotti ai cachi. Linda non li faceva sempre quand’erano piccoli? Oppure, cos’altro… la marmellata, magari? Tutta quella frutta che andava a male, era uno schifo. Avrebbe chiesto al giardiniere di raccogliere qualche cassetta di cachi prima che arrivassero i figli, cosà a loro non sarebbe rimasto che prepararli. Sapeva Linda dove scovare la ricetta.
Sentà sbattere la zanzariera. Linda ripiegò l’accappatoio, entrò nella vasca idromassaggio.
– Il volo di Sasha è in ritardo.
– Di quanto?
– È probabile che non atterri prima delle quattro o delle cinque.
Tornare dall’aeroporto con il traffico natalizio sarebbe stato un incubo: un’ora all’andata e due al ritorno, se non di piú. Sasha non aveva la patente, non poteva noleggiare un’auto; non che si sarebbe offerta di farlo.
– E ha detto che Andrew non viene, – disse Linda con una smorfia. Con Sasha non ne aveva mai fatto parola, ma secondo lei il ragazzo della figlia era sposato.
Tolse una foglia dall’acqua e la lanciò in cortile, poi si mise comoda col libro che aveva portato. Linda leggeva tantissimo: leggeva libri sugli angeli, i santi, le riccone bianche d’altri tempi dalle abitudini stravaganti. Leggeva i libri scritti dalle madri di chi aveva commesso stragi nelle scuole e i libri scritti da guaritori convinti che il cancro in realtà fosse un problema di autostima. Adesso era alle prese con le memorie di una ragazza che a undici anni era stata rapita e tenuta segregata per quasi dieci in un capanno da giardino.
– I denti erano in buone condizioni, – disse Linda. – Tutto considerato. Racconta che se li raschiava ogni sera con le unghie. Poi lui si è deciso a darle uno spazzolino.
– Dio santo, – disse John, che sembrava la reazione giusta, ma Linda era già tornata al libro, ondeggiando placidamente. Quando i getti si spensero, John si portò in silenzio sul lato opposto e li riaccese.
Sam fu il primo dei figli ad arrivare da Milpitas, a bordo della berlina di seconda mano certificata che aveva comprato l’estate precedente. Prima di acquistarla aveva telefonato un’infinità di volte per valutare i pro e i contro – il chilometraggio di quel modello usato rispetto a un leasing su un modello piú recente, e dopo quanto le Audi dovevano fare il tagliando – e John si stupiva che Linda trovasse il tempo per certe cose, per le fisime automobilistiche del figlio trentenne, e invece lei rispondeva sempre alle telefonate, andava nell’altra stanza e lasciava John dov’era, da solo con quello che stava facendo. Negli ultimi tempi John aveva cominciato a guardare una serie televisiva su due vecchiette che vivevano insieme, una tutta d’un pezzo, l’altra uno spirito libero. Il bello era che sembrava esserci un numero infinito di episodi, un infinito resoconto delle loro piccole peripezie in una non meglio precisata cittadina balneare. Le due sembravano fuori dal tempo, come se fossero già morte, anche se secondo lui la serie era ambientata a Santa Barbara.
Poi arrivò Chloe, da Sacramento, e disse che aveva guidato almeno mezz’ora con la spia del carburante accesa. Forse di piú. Stava facendo un internato. Non retribuito, naturalmente. L’affitto glielo pagavano ancora loro; era la piú piccola.
– Dove hai fatto benzina?
– Non l’ho ancora fatta, – disse lei. – Ci penso dopo.
– Dovevi fermarti, – disse John. – È pericoloso guidare con il serbatoio vuoto. E hai una gomma anteriore quasi a terra, – proseguÃ, ma Chloe non gli dava ascolto. Si era già inginocchiata sul vialetto di ghiaia, e abbracciava forte il cane.
– Amore mio piccolino, – disse, gli occhiali appannati, stringendo Zero al petto. – Tesoruccio.
Zero tremava sempre, che era normale per i Jack Russell, aveva detto uno dei figli dopo essersi documentato, ma a John dava lo stesso sui nervi.
Andò Linda a prendere Sasha perché era meglio che John non passasse tanto tempo al volante con la schiena che si ritrovava – a stare seduto gli venivano le fitte – e comunque le faceva piacere, disse. Le faceva piacere stare un po’ da sola con Sasha. Zero cercò di seguirla in macchina, sbattendole contro le gambe.
– Non può uscire senza guinzaglio, – disse Linda. – Trattalo bene, okay?
John trovò il guinzaglio, attento, quando lo agganciò alla pettorina, a non toccare i fili sporgenti dei punti. Erano ragneschi, sinistri. Zero aveva il fiatone. Per altre cinque settimane dovevano assicurarsi che non si rotolasse, non saltasse, non corresse. Ogni volta che usciva doveva stare al guinzaglio, sempre accompagnato. Altrimenti c’era il rischio che il pacemaker si staccasse. John non sapeva che mettessero pacemaker ai cani, non gli piaceva nemmeno avere cani per casa. Invece eccolo lÃ, ad arrancare dietro Zero che annusava un albero, poi un altro.
Zero zoppicò lentamente fino alla recinzione, s’immobilizzò un istante, poi proseguÃ. Misurava due acri il cortile dietro casa, quanto bastava a farti sentire isolato dai vicini, anche se una volta uno aveva chiamato la polizia perché il cane abbaiava. Certa gente ficca il naso negli affari altrui, vuole il controllo pure sui cani che abbaiano. Zero si fermò a esaminare un pallone, cosà vecchio da sembrare fossilizzato, poi tirò dritto. Alla fine si accovacciò, triste, girandosi a guardare John mentre deponeva una cacatina cremosa. Di un verde sorprendente, innaturale.
Dentro di lui c’era una macchina invisibile che lo teneva in vita, che faceva battere quel suo cuore animale. Cane robot, canticchiò fra sé John, calciando un po’ di terra sopra la cacca.
Le quattro. L’aereo di Sasha doveva essere appena atterrato, mentre Linda girava in macchina intorno al terminal degli arrivi. Non era troppo presto per un bicchiere di vino.
– Chloe? Ti va?
Non le andava. – Sto preparando un po’ di domande di lavoro, – disse, a gambe incrociate sul letto. – Vedi? – Girò un attimo il portatile verso di lui, sullo schermo un documento in primo piano, anche se in sottofondo si sentiva una serie televisiva. Chloe si era laureata da quasi due anni, ma aveva ancora l’aria di un’adolescente. Alla sua età John lavorava già per Mike, e a trent’anni aveva già una squadra sua. Aveva trent’anni quand’era nato Sam. Ora i ragazzi avevano dieci anni buoni in piú per… che cosa? Gingillarsi, fare internati.
Ci riprovò. – Ne sei sicura? Possiamo sederci fuori, non si sta male.
Chloe non alzò lo sguardo dal portatile. – Ti spiace chiudere la porta? – disse con voce atona.
Certe volte erano di una maleducazione che lo lasciava senza fiato.
Si preparò uno spuntino. Schegge di formaggio, intaccando la forma tutt’intorno. Salame. Le ultime olive rimaste ad avvizzire nella salamoia. Portò fuori il piatto di carta e si accomodò su una sedia del patio. I cuscini erano umidi, probabilmente stavano marcendo dall’interno. Era in jeans, calzini bianchi, scarpe da ginnastica bianche, pullover fatto a mano, di Linda, ridicolmente e chiaramente femminile. Non si preoccupava piú di certe cose, di sembrare buffo. A chi importava? Zero andò ad annusargli la mano; lui gli diede un pezzo di salame. Quand’era calmo e tranquillo, il cane non era poi tanto male. Avrebbe dovuto mettergli il guinzaglio, ma erano a casa, e poi Zero sembrava pacifico, non c’era pericolo che cominciasse a scorrazzare in giro. Il cortile sul retro era verde, verde muschio. Sotto la grande quercia c’era il pozzo del fuoco che uno dei tre figli aveva scavato ai tempi del liceo e circondato di pietre, solo che adesso era pieno di foglie e rifiuti. Doveva averlo fatto Sam, pensò, e non sarebbe toccato a Sam dare una ripulita, togliere tutta quella robaccia? La rabbia lo infiammò all’improvviso, poi si dissipò con altrettanta velocità . Che doveva fare, sgridarlo? Ormai i figli si mettevano a ridere se si arrabbiava. Un altro pezzo di salame per Zero, uno per sé. Era freddo e sapeva di frigorifero, della vaschetta di plastica da cui l’aveva preso. Zero lo fissava con occhi marmorei, esalando quel suo fiato famelico, carnoso, finché John non lo cacciò via.
Anche tenendo conto del traffico natalizio, Linda e Sasha rientrarono piú tardi del previsto. Sentendo la macchina, John si affacciò sul portico. Al giardiniere aveva fatto montare le lucine natalizie lungo la recinzione, lungo il tetto, intorno alle finestre. Erano del nuovo tipo al led, gelidi fili di luce bianca che colavano dalla grondaia. Ora, al blu del primo crepuscolo, erano graziose, ma lui sentiva lo stesso la mancanza delle lucine colorate della sua infanzia, di quelle lampadine da cartone animato. Rosse, blu, arancioni, verde. Probabilmente inquinavano.
Sasha aprà lo sportello dell’auto, una borsa e una bottiglia d’acqua vuota in grembo.
– La compagnia aerea mi ha perso la valigia, – disse. – Scusa, è che ho un diavolo per capello. Ciao, papà .
Lo strinse con un solo braccio. Sembrava un po’ triste, un po’ ingrassata dall’ultima volta che lui l’aveva vista. Aveva dei pantaloni che non le donavano, ampi sulle gambe, e le guance sudate sotto l’eccesso di trucco.
– Hai parlato con qualcuno?
– Non importa, – disse lei. – Cioè, sÃ, ho lasciato i dati e tutto. Mi hanno dato un numero da chiamare per il reclamo, un sito web. Non la troveranno mai, ne sono sicura.
– Vedremo, – disse Linda. – Tanto ti rimborsano, lo sai.
– Com’era il traffico? – chiese John.
– Congestionato lungo tutto il tratto fino alla 101, – disse Linda. – Ridicolo.
Ci fosse stato il bagaglio, almeno John avrebbe saputo cosa fare con le mani. Indicò il vialetto d’accesso, il buio oltre la luce del portico.
– Bene, – disse, – ora ci siamo tutti.
– Cosà è meglio, – disse Sam. – Non è meglio?
Sam era in cucina, stava collegando l’iPad di Linda a un altoparlante comprato da lui. – Ora puoi sentire tutta la musica che vuoi.
– Ma non è rotto? – disse Linda, ai fornelli. – L’iPad, dico. Chiedi a tuo padre, lui lo sa.
– Ha solo la batteria scarica, – disse Sam. – Vedi? Basta infilare...