Aveva sempre provato a immaginarselo, il primo bacio, Luca.
Addirittura, avrebbe potuto descriverne la consistenza, pur non avendola mai testata.
Ma tanto spesso era andato cosà in fondo a quel pensiero, che ormai gli sembrava potesse combaciare perfettamente con la verità .
Una volta, perfino davanti a una bottiglia che girava al centro di un cerchio immaginario, formato da ragazzini e ragazzine seduti a terra a stretto raggio, sovreccitati e impauriti per il gioco, si era finto un gran «baciatore», uno impratichito dal tempo, che conosceva tutto di quel gesto off limits per i suoi coetanei.
Mentre la bottiglia roteava inesorabilmente, Luca aveva tremato a lungo, temendo il peggio.
Un giro interminabile.
Sembrava non volesse proprio fermarsi, la bottiglia, e comunque lui era certo che quella sarebbe stata la fine delle sue bugie.
Chiunque avrebbe capito che mai le sue labbra avevano conosciuto altre bocche, se non quelle stampate sulle riviste dei grandi o sulle pagine di biancheria intima del «Postalmarket».
La bottiglia, per fortuna, non lo aveva tradito: si era fermata col tappo che indicava Maria Giulia, e il culo rivolto verso un Big Jim, abbandonato a terra, tra la gamba di Stefano e le mani di Francesco, carponi per l’ansia di conoscere l’esito di quel giro.
Maria Giulia, dopo aver sudato freddo, aveva baciato il suo salvatore in plastica, il muscoloso Big Jim calciatore, forse brasiliano, di certo vestito di un giallo simile a quello della maglia latinoamericana col numero 9 stampato in petto.
Sollevata dall’obbligo di baciare un ragazzino vero, aveva cosà tanto stretto a sé il piccolo eroe in plastica che aveva premuto la sua schiena meccanica e lui, per tutta risposta, aveva alzato il braccio come a dire: «Ce l’ho fatta! Almeno io ce l’ho fatta, stupidi sfigati!»
Francesco, intanto, si era spiaccicato al suolo, divaricando le braccia e le gambe con un gran sospiro, al limite perfetto tra la disperazione e la consolazione di non essere il prescelto.
Stefano era rimasto immobile, con i piedi un po’ umidicci per la paura. Grondava sudore anche il suo naso, ben evidenziato da un paio di occhiali rossi, con ammortizzatori incorporati sulle asticelle, una stranezza chic dell’epoca, pronta a salvare il culo ai «quattrocchieunabanana» (cosà li chiamavano, quelli come Stefano, occhialuti e impacciati) in giro per la scuola e per le strade del paese.
Luca, fortunatamente, era rimasto il solito esperto baciatore, almeno a parole.
Fino a prova contraria, fino al bacio rivelatore di quella che, per anni, era stata una comodissima bugia.
Chiudeva gli occhi e con un dito bagnato della sua stessa saliva si sfiorava le labbra.
Immaginava il bacio umido e un po’ duro come il suo indice. Si sarebbe asciugato subito e avrebbe dovuto intingerlo nella saliva diverse volte, perché non si seccasse.
I baci che aveva dato finora erano stati cosÃ: terribilmente secchi e duri.
Avevano l’odore del suo stesso alito.
Sapevano di qualcosa di familiare, ma nello stesso tempo avevano un non so che di estraneo.
Estranea era la paura di essere scoperto nei suoi baci solitari da apprendista, in cameretta.
Estraneo era il desiderio, fino a pochi mesi prima nascosto chissà dove, tra le gare in bicicletta con gli amici, le gambe sbucciate, incastrate tra le ruote di una Bmx e l’asfalto, gli ollies su tavole da skate poco americane e tanto plasticose e provinciali. Ne erano piene tutte le bancarelle delle feste patronali in zona, a dimostrazione del fatto che non erano poi cosà esclusive.
Non c’era molto tempo da dedicare a quel desiderio da grandi.
Le bambine per i maschi erano stupide, e fino al primo bacio tali sarebbero rimaste: stupide e inutili.
Un mondo di soli uomini, fino al primo bacio, era auspicabile, era possibile.
Ma dopo quello sfiorarsi di labbra, tutto sarebbe cambiato.
Il bacio e la sua dispensatrice avrebbero vinto su ogni cosa: avrebbero avuto la meglio su Commander e sui suoi Transformers.
Nulla avrebbe potuto, contro quel bacio, Voltron, neanche fossero stati tutti e cinque i leoni che lo compongono a supplicare attenzioni, mentre venivano fuori dalla terra, dal cielo, dal mare e dal fuoco per un’ultima reunion in cantina.
Neppure Emiglio Robot in persona avrebbe potuto farcela, neanche se fosse riuscito a risolvere un problema di matematica o fosse stato capace di portare un bicchiere, ancora pieno, da una parte all’altra della stanza senza versare una goccia, come prometteva la pubblicità .
Nemmeno He-Man e tutto il potere di Grayskull ce l’avrebbero fatta.
Per non parlare del valore che avrebbe perso, in un attimo, addirittura un intero album di figurine Panini, completo di tutti i calciatori.
Avrebbero vinto lei e la sua bocca. Sempre!
Dal primo bacio in poi, le femmine non sarebbero piú state inutili o stupide.
Grazie a loro si perdevano i sensi, ci si sentiva innamorati e smarriti, si ascoltavano le canzoni romantiche di Claudio Baglioni, «accoccolati ad ascoltare il mare»; si soffriva a dismisura per amore; si cercava il profumo dell’amata e lo si spruzzava su tutte le cose che potevano ricordarla; si imparava a fumare e imitare i gesti tipici dei grandi; si gettavano via i vecchi amici non ancora approdati al primo bacio; ci si sentiva meno soli e meno brutti il sabato sera, si fingeva che un sabato sera esistesse anche per i quattordicenni (prima era un tempo come un altro da distribuire bene tra i vari robot, in battaglie lunghissime che terminavano, quasi sempre, in una rassicurante zuppa di latte… tutto affondava nella zuppa di latte del sabato sera); si sceglieva una t-shirt con lo smile grande e vistoso, magari abbinata a una bandana stravagante, si cambiava il taglio dei capelli sempre piú spesso, affidandosi finalmente a un vero e proprio barbiere (prima di quel bacio si andava incuranti dal parrucchiere della mamma per un taglio qualsiasi purché ordinato e corto); si imparavano le canzoni in voga, cercando un passo speciale di danza che nessuno, ma proprio nessuno, avrebbe potuto replicare; ci si addormentava senza la luce accesa e senza piú tremare.
Anzi, quello non sarebbe cambiato neppure con il primo bacio… avremmo tremato di piú. Ma meglio nascondere le paure, da quel momento in poi.
Meglio fingere di essere grandi, e i grandi, si sa, fingono di non avere paura.
Luca faceva finta di non temere il buio di quella stanza in cui la bottiglia galeotta lo aveva rinchiuso, additandolo come prescelto insieme a Maria Giulia, per un nuovo pegno da pagare: sarebbero dovuti rimanere là dentro per almeno dieci minuti di fila.
A schiarire leggermente l’ambiente ci pensavano le grida degli amici e delle femmine fuori.
Tremava, Luca, ma stavolta il buio c’entrava poco.
Lo spazio era pieno della presenza rumorosa di Maria Giulia che, anche se non diceva niente, pareva urlare prepotentemente la sua esistenza.
Sudava, Luca, e balbettava parole che non avevano senso.
Impassibile, l’ombra di Maria Giulia.
Lui l’avvertiva immobile.
Gli occhi si abituavano sempre piú velocemente. Iniziavano a distinguere particolari, prima indifferenziati nel l’oscurità , che ora, sotto una luce quasi lunare, affioravano con precisione.
Gli occhi neri di Maria Giulia esplodevano incandescenti e finivano per illuminare gli angoli della bocca, le narici sottili di quel naso perfetto a ricamo di un profilo che sembrava nuovo, mai visto prima.
I capelli avevano un colore d’argento, come le mani.
Fuori dal buio di quella stanza, le grida erano scomparse. Non c’era piú nessuno a inneggiare alla loro solitudine coatta.
Dalla bocca di luna di quella visione argentea vennero fuori le primissime parole. Tagliarono il buio come lame gelide.
– Ti vergogni di me?
– Ehm, no, direi di no! È solo che fa un caldo incredibile e si suda, qui… Finirà , prima o poi, ’sto stupido pegno! Che poi, che cazzo di gioco è?!
– È proprio tutto qui, il gioco: resistere! Resistere a noi stessi, a quello che gli altri vorrebbero che facessimo, o a quello che loro stanno immaginando. Sta a noi decidere che cosa essere in questo buio e in quello accecante fuori da qui…
Luca non ci capiva piú nulla. Sudava ancora.
Maria Giulia aveva deciso per tutti e du...