Veronica e il diavolo
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Veronica e il diavolo

Storia di un esorcismo a Roma

  1. 296 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Veronica e il diavolo

Storia di un esorcismo a Roma

Informazioni su questo libro

È il 23 dicembre 1834 quando due gesuiti bussano a una porta di via di Sant'Anna. Sono stati chiamati al capezzale di una giovane donna «ritenuta ossessa», Veronica Hamerani, per liberarla dagli assalti del demonio. Inizia cosí questa vicenda inquietante, di cui la storica Fernanda Alfieri compie un'accuratissima ricostruzione partendo dal ritrovamento di un manoscritto nell'Archivio generale della Compagnia di Gesú. È il diario che gli esorcisti hanno tenuto durante i mesi in cui si è protratto il rito: non solo è un racconto disturbante, in cui "il diavolo", tra violenti improperi e battute in romanesco, prende direttamente la parola, ma è anche la testimonianza straordinariamente viva delle tensioni di un'epoca. Da una parte lo sguardo della Chiesa, la convinzione che il Maligno abbia preso possesso del corpo della ragazza e la volontà di riportarlo, quel corpo, sotto il proprio controllo; dall'altra quello della medicina che vede le convulsioni di Veronica come una malattia curabile, l'isteria. Dall'anziano padre Kohlmann, che aveva attraversato i continenti, fuggendo dalla Francia in Rivoluzione e approdando, attraverso l'Impero russo, negli Stati Uniti, e ogni volta vedendo il mondo, il suo mondo di antico regime, distrutto da un tempo presente ingovernabile; al giovane malinconico padre Manera, il piú colto e dubbioso (e se la ragazza stesse solo fingendo?) E poi i medici, la famiglia, il Vaticano, la Roma papalina, tesa tra la superstizione e la modernità, fra la chiusura e il cosmopolitismo. Tutti sguardi e volontà di controllo che si stringono intorno al corpo di Veronica. Lo scrutano, lo misurano, lo interpretano. Lo zittiscono. A questo corpo conteso, a questo nome cancellato, a questa parola sottratta, Fernanda Alfieri restituisce la dignità di una storia. Veronica e il diavolo è uno spaccato affascinante e perturbante della nostra storia, del nostro rapporto con la scienza e col soprannaturale, dell'intreccio violento fra saperi e poteri.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2021
Print ISBN
9788806211066
eBook ISBN
9788858435946
XI

1° gennaio 1835

ESORCISAZIONE
Il primo dell’anno fu scelto come giorno opportuno a farla comunicare e ad esorcizzarla. Alle 13 si comunicò, con qualche difficoltà alla gola. Alle ore 14 incirca andarono i Padri Kohlmann e Manera. Alle 14 e tre quarti iniziarono gli esorcismi.
Litanie dei Santi.
Ab insidiis diaboli: strida orrende, gambe in aria, corpo ripiegato in modo che le ginocchia venivano a stare un buon palmo dietro la testa e le gambe molto piú ora contro il muro, ed ora fuori della sponda del letto, e sempre in aria. Fetore in camera uscito dalla bocca della creatura. Strida, risate simulate, urli, lamenti, disperazione indi vomito e strette alla gola e impulsi di soffocazione.
Padre Kohlmann le mette addosso l’immagine di Maria. Infame, vattene via, mi hai rotto il cLa divozione di quella [a lato: Queste ultime parole furono dette dopo qualche intervallo e si conobbe chiaro che il demonio voleva dire che la devozione della Madonna lo tormentava piú di ogni cosa].
Sei sporco tu, vecchiaccio, io ti voglio minchionar, tu sei una carogna. Strapazzi e affanni, come sopra. Ah mio Dio, ah dentro, sto stretta.
Ipsa Dei Mater imperat.
Urli. Non voglio risponder piú, basta cosí: non voglio risponder piú. Io ti voglio minchionar.
[a lato: Il medico introdotto da qualche tempo in camera esaminò il polso, lo trovò naturale, e non corrispondente agli sforzi della macchina ed agli insulti nella gola e nel corpo].
Dignare me laudare te, ripetuto piú di cento volte.
Vattene via. Segni di rabbia e di dispetto. Urli risa e fremiti poi pianto accorato. Fremiti alla testa di sí e di no. Strapazzi della creatura, urli fieri, fischi nascondendosi il viso e turandosi le orecchie, pugni in fronte nascondendosi la faccia.
Si scrisse e si spedí subito una seconda relazione al Cardinale Vicario.
Ritornata la creatura in sé in un punto con meraviglia degli astanti, ridendo modestamente e ringraziando con semplicità e candore chi aveva sofferto per lei. E facendo affettuose preghiere al Padre esorcista di baciargli il suo crocifisso, avutolo se lo pose subito nella parte destra sotto il petto, ove provava piú fieri dolori.
A cercare nella vita di padre Kohlmann, si direbbe non fosse mai stato esorcista prima di allora. Cose da non menzionare nelle biografie ufficiali? Eppure come tale, nella stanza di via di Sant’Anna, era riconosciuto. Per ore aveva parlato a chi – ne era convinto – era nella ragazza dandogli ordini, con il mandato di espellerlo. E cosí aveva cominciato a parlargli la prima volta, il 23 dicembre: «Ti ordino di uscire». Centinaia di brevi battute riempiono i fogli della Esorcisazione. Sono litanie, passi del Rituale ufficiale della Chiesa cattolica, dei Vangeli, formulari di preghiera di cui non riesco a rintracciare l’origine, e frasi latine che padre Kohlmann produceva sul momento. Lanciava strali di parole, nella lingua della sua Chiesa, per affermare la sua autorità e cosí mortificarlo, infuriarlo, avvilirlo, domarlo. In risposta riceveva parole nel volgare piú basso. Quello era un diavolo incolto (o cosí fingeva?), e che agiva soprattutto nel corpo. Parlava coi suoi lagni, i suoi contorcimenti, e uno strano fetore. Di corpi sofferenti padre Kohlmann ne aveva visti molti. Ne aveva sentito l’odore, i suoni incontrollati, il respiro esalato prima della fine.
Era l’anno 1799, l’ultimo del secolo in cui era nato, e si era aperto con un rossore straordinariamente marcato all’orizzonte. Quel primo gennaio, nel colore mai visto del cielo si era letto un segno premonitore del sangue che si sarebbe ancora sparso in Europa. Anche il gelo che per mesi avrebbe avvolto fiumi, piante, uomini e animali in tutta l’Italia, poi oltre, da Vienna a Parigi, e tutto il mondo conosciuto, prometteva morte a venire. Il Reno era ghiacciato, le strade postali dell’Impero interrotte, gli alberi si squarciavano nei boschi. A febbraio, a un lieve aumento della temperatura, la terra aveva dischiuso i suoi pori e lasciato che i vapori trattenuti a lungo nei suoi visceri si sprigionassero fuori. Una scossa di terremoto aveva accompagnato il rilascio delle caligini dalle piú cupe profondità del suolo. Poi erano arrivate le piogge ed erano durate fino all’estate, rendendo i campi ricolmi di acqua stagnante.
Padre Kohlmann non aveva ancora trent’anni. Insieme a un gruppo di uomini, molti dei quali preti francesi fuggiti dalla Rivoluzione, guidati dall’ex soldato tirolese Niccolò Paccanari sotto il nome di Compagnia della fede di Gesú, andava per l’Europa predicando e assistendo soldati feriti, accompagnandoli alla morte. In quel gennaio di fine secolo, nelle campagne intorno a Padova, dove padre Kohlmann era arrivato insieme ai suoi compagni di viaggio, soffrivano i bachi da seta, le viti, il sorgo turco, soffrivano gli uomini costipati dai catarri e dal ristagno degli umori che l’umido non consentiva di espellere. Come la terra, si impregnavano di piogge, e, senza poter mai traspirare, producevano «febbri reumatiche», «angine», «corizze», «flussioni dagli occhi» e «risipole». Migliaia di soldati feriti arrivavano dalle città venete e lombarde che si andavano strappando ai francesi. Si cercavano lenzuola e stracci per fermare le emorragie, ma le truppe di Bonaparte si erano prese tutto, prima di andarsene alla chetichella, alla fine di un’occupazione durata quasi due anni. Dopo di loro, gli austriaci erano stati accolti da una folla in festa, ma, come gli altri, presto avevano preteso materassi, calze, animali e pane in cambio di privilegi che non sarebbero stati mai concessi, o di denari che non sarebbero mai stati pagati. Poi si erano visti passare i cosacchi, diretti verso il Piemonte e, sebbene non si fossero fermati, era bastato vedere le loro facce stravolte e udire la loro lingua incomprensibile per provarne terrore. Fra giugno e agosto se ne attendevano altri undicimila, che sarebbero arrivati su quattromilacinquecento cavalli in quattro colonne, l’una dietro l’altra con due giorni di intervallo. Lí per lí, padre Kohlmann e i suoi compagni erano stati presi per francesi introduttori di novità e cacciati. Ma all’ospedale civile, alla fine, li avevano tenuti. Andavano a raccogliere confessioni da bocche ansimanti dialetti veneti, vite che uscivano da corpi irrigiditi dai reumatismi, stremati dalla stagione umida della terraferma. In estate, mentre l’Italia centrale crollava sotto una potente scossa di terremoto, e un’iride celeste compariva all’orizzonte, padre Kohlmann ripartiva per Pavia, dove si era trasferito il comando generale degli ospedali militari imperiali. Ci trovava piú di diecimila soldati, austriaci, russi, ungheresi, boemi, slavi, valacchi e francesi prigionieri, i feriti stesi a terra, perché la paglia per preparare giacigli era finita. Per poterli ascoltare, bisognava sdraiarsi e avvicinare l’orecchio alle loro bocche. Difficile intendere qualcosa di umano fra quei versi indistinti. Se non si poteva indurli a confessare o rinnegare in estremo la loro fede eretica, bisognava almeno guidare la mano sul petto e farla battere in un mea culpa. Bastava un piccolo cenno, o anche un piccolo pianto di pentimento per i peccati passati e di gioia per la prossima liberazione. Che importava che il dolore, in quegli ultimi istanti di vita, fosse insopportabile. La vita qui non valeva nulla, bisognava pensare a quella dopo. In due mesi padre Kohlmann aveva convertito cosí quaranta protestanti, una conquista che aveva reso lui e gli uomini del suo gruppo cappellani dell’esercito a servizio dell’imperatore Francesco II d’Asburgo-Lorena. Nelle terre d’Italia, delle sole truppe imperiali, si contavano quasi cinquantamila feriti. Erano uomini che venivano dal freddo, abituati a estati temperate, ora messi alla prova non solo dalle fatiche della battaglia, ma soprattutto dal caldo umido che ristagnava nelle trincee, dove trascorrevano notte dopo notte. Per farsi forza, bevevano vino, loro che erano abituati alla birra. Nel giro di cinque giorni morivano, le carni seccate dalle febbri e dalle dissenterie. Morivano fra i loro escrementi e fra quelli degli altri. Morivano di fame. La fame era ovunque, fra militari e civili. Presto si sarebbe venduto pane impastato con lo sterco dei topi.
Intanto, a fine agosto in Francia anche il papa moriva dopo dieci giorni di dissenteria, ma solo a ottobre suonavano le campane in tutte le città per le sue esequie. L’autunno portava con sé nuovi prigionieri e il freddo, e mancava la legna, tutta requisita per i carri. L’esercito francese perdeva terreno e bisognava tornare a Padova, dove erano acquartierati sedicimila uomini e undicimila cavalli. Molti erano preda delle febbri maligne castrensi che si trasmettevano per traspirazione, aliti che uccidevano piú delle battaglie. Sotto la pioggia, anche i buoi venivano decimati da un male che improvvisamente interrompeva il loro ruminare pacifico. Iniziavano a tremare, gli occhi lacrimavano, umori liquamosi fluivano dai loro corpi, in un fetore irrespirabile. Padre Kohlmann si ammalava, la scabbia prendeva lui e i suoi confratelli. Nell’autunno si grattavano come forsennati fra uomini e animali in agonia. Ma il male sarebbe passato e, una volta guarito, sarebbe ripartito per la Prussia, all’inizio dell’anno 1800. Con l’inizio del nuovo secolo, sarebbe andato a conquistare anime luterane nella capitale.
C’era stato un tempo in cui riusciva nell’impresa, la tenacia e il sacrificio erano premiati. Ora, di fronte alle convulsioni dell’ultima Hamerani padre Kohlmann non poteva tirarsi indietro. Avrebbe resistito agli insulti, alle menzogne, alle botte se necessario. Doveva sapere che quella non era che una delle forme attraverso cui il male si manifestava. Lo aveva già incontrato molte volte in passato, vincendolo.
XII

2 gennaio 1835

ESORCISAZIONE
In una casa di buona famiglia si credeva d’aver scoperta indemoniata una giovane di anni 18, maritata da quattro mesi, la quale faceva atti e gesti stravagantissimi.
Un’altra ragazza romana mostrava segni di possessione. La prova era arrivata quando era stata portata in tavola acqua benedetta e lei aveva cominciato a gridare portate via quell’acquaccia! Era stato inutile condurla fuori Roma, anche lí non aveva avuto pace. Quindi non era una questione di cattiva aria di città, che si credeva col suo umidore ammorbasse i nervi, provocando convulsioni. Il cardinale vicario ne era stato informato mentre andava in San Pietro, un messo lo aveva raggiunto per strada. Eccoli fermi sul ponte, gli angeli svettanti sulla balaustra, la cupola di San Pietro sulla sinistra. Sotto, il fragore del fiume. E quando padre Kohlmann e padre Manera erano andati a fargli visita per riferirgli quanto accadeva in casa Hamerani, li aveva mandati da lei. I due avevano visto quanto bastava per crederla invasata. Cosí è scritto nell’Esorcisazione e non ho modo di smentire né di comprovare, né ho indizi per poter cercare notizie di lei. Resta l’immagine di una ragazza seduta alla tavola della buona famiglia e l’urlo improvviso che rompe le promesse di delizie future, un matrimonio celebrato da poco, un nuovo inizio, anzi, l’inizio per eccellenza nell’ordine che da secoli trasferiva le figlie dai padri ai mariti. Una rete di attese felicità coniugali a venire e gravidanze, una dopo l’altra, morivano in un giorno di gennaio. Neanche di lei posso immaginare il viso. L’invasata senza nome e volto era però importante per padre Kohlmann e per padre Manera, perché l’avevano vista e confermava che il male era tra loro. Bisognava continuare a esorcizzare la giovane Hamerani fino a liberarla. Non si trattava solo di liberare lei, ma anche di dimostrare chi era il piú forte. Tutta la Chiesa adesso era messa alla prova. Era tardi quel giorno, ma andavano a vedere come stesse e la trovavano in stato naturale. Quando era cosí era tutta un’altra cosa. Era quieta, era modesta, era accondiscendente e devota, come avrebbe dovuto esserlo sempre una donna, che fosse votata a Dio o a un marito.
XIII

4 gennaio 1835

DIARIO DI PADRE MANERA
Visita alla medesima. Tranquilla al solito. Varie domande e risposte: Sento dentro di me come se ci fosse una persona fina fina che mi batte per ogni parte.
Parte superiore dell’anima intatta nei parossismi. In essa raccolta, prega Iddio e resiste non pure a tutto quello che di sconcio e di empio adopera il demonio, ne’ moti vari del corpo, e nella favella, ma anche a’ vari affetti che si destano nella parte inferiore: di rabbia, dispetto, tristezza. Per quanto l’anima si conservi unita a Dio, non può fare a meno che non patisca agitazione, e trambusto, come chi si truovi adagiato in seno ad una navicella battuta in alto mare da fierissima burrasca.
Padre Manera chiedeva a Veronica di dire la verità su se stessa, di raccontare di quando era spezzata nella sua interezza, per trovare in lei la parte buona e quella malvagia, quella innocente e quella complice. Ma come poteva dire di sé quando non era in sé? E con che parole poteva dirlo? Sento dentro di me come se ci fosse una persona fina fina che mi batte per ogni parte. Queste suonano come parole sue, il modo di descriversi di una ragazza di diciannove anni. Ma se non avesse avuto in prestito le parole dei padri, forse non avrebbe potuto parlare di parte superiore e di parte inferiore (dell’anima o del corpo? e dove finiva la prima e dove cominciava la seconda?) Qui a parlare era padre Manera, e con lui il vocabolario maschio di una cultura antica, parole da dispute in aula e trattati di teologia, che l’ordine religioso di cui faceva parte aveva pronunciato e messo per scritto per secoli, cercando di decifrare il mistero fitto che abita la persona. I padri stessi con quegli strumenti dovevano osservarsi e riferire al loro superiore, sin dal momento in cui decidevano di essere uomini di sant’Ignazio. Cosí voleva la loro regola.
Prima di tutto, bisognava scrutarsi e raccontare di sé. Per farlo, c’erano mappe pronte dell’anima, parole, immagini preparate nel lavorio di altri uomini su loro stessi, da utilizzare per leggersi...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Veronica e il diavolo
  4. I. Roma, una data vicina a oggi. MIEI APPUNTI
  5. II. 23 dicembre 1834. ESORCISAZIONE
  6. III. Senza data, prima che tutto cominciasse. ESORCISAZIONE
  7. IV. 24 dicembre 1834. RACCONTI DI STRANIERI DI PASSAGGIO
  8. V. 24 dicembre 1834. ESORCISAZIONE
  9. VI. 25 dicembre 1834. ESORCISAZIONE
  10. VII. 27 dicembre 1834. DIARIO DI PADRE MANERA
  11. VIII. 28 dicembre 1834. DIARIO DI PADRE MANERA
  12. IX. 29 dicembre 1834. DIARIO DI PADRE MANERA
  13. X. 31 dicembre 1834
  14. XI. 1° gennaio 1835. ESORCISAZIONE
  15. XII. 2 gennaio 1835. ESORCISAZIONE
  16. XIII. 4 gennaio 1835. DIARIO DI PADRE MANERA
  17. XIV. 8 gennaio 1835. ESORCISAZIONE
  18. XV. 9 gennaio 1835. ESORCISAZIONE
  19. XVI. Roma, gennaio 1827. «PROCESSUS» PER LA CAUSA DI BEATIFICAZIONE E CANONIZZAZIONE DEL VENERABILE SERVO DI DIO FRANCESCO SAVERIO MARIA BIANCHI
  20. XVII. 14 gennaio 1835. ESORCISAZIONE
  21. XVIII. 15 gennaio 1835. DIARIO DEL DOTTOR ANDREA BELLI
  22. XIX. 15 gennaio 1835. ESORCISAZIONE
  23. XX. APPUNTI NOTTURNI DI MARIA VITTORIA HAMERANI, ESORCISAZIONE
  24. XXI. Ancora il 15 gennaio. DIARIO DI PADRE MANERA
  25. XXII. Fra 16 e 17 gennaio 1835. APPUNTI NOTTURNI DI MARIA VITTORIA HAMERANI, ESORCISAZIONE
  26. XXIII. 17 gennaio 1835. ESORCISAZIONE
  27. XXIV. Senza data. FASCICOLO PERSONALE DI PADRE TOMMASO MASSA
  28. XXV. 18 gennaio 1835. ESORCISAZIONE
  29. XXVI. 19 gennaio 1835. DIARIO DI PADRE MANERA
  30. XXVII. 20 gennaio 1835. DIARIO DI PADRE MANERA
  31. XXVIII. 24 gennaio 1835. DIARIO DI PADRE MANERA
  32. XXIX. 28 gennaio 1835. DIARIO DI PADRE MANERA
  33. XXX. Ancora il 28 gennaio 1835. DIARIO DI PADRE MANERA
  34. XXXI. Senza data. ESORCISAZIONE
  35. XXXII. 29 gennaio 1835. ESORCISAZIONE
  36. XXXIII. Notte fra 30 e 31 gennaio 1835. APPUNTI DI MARIA VITTORIA HAMERANI, ESORCISAZIONE
  37. XXXIV. 5 febbraio 1835. ESORCISAZIONE
  38. XXXV. 18 febbraio 1835. DIARIO DI PADRE MANERA
  39. XXXVI. 2 marzo 1835. ESORCISAZIONE
  40. XXXVII. 9 marzo 1835. ESORCISAZIONE
  41. XXXVIII. 12 aprile 1835. ESORCISAZIONE
  42. XXXIX. 22 giugno 1835. ESORCISAZIONE
  43. XL. 23 aprile 1836. ESORCISAZIONE
  44. XLI. 20 agosto 1836. DALLE CARTE DELLA SEGRETERIA DI STATO
  45. XLII. DA SENIGALLIA, INVIATA AL CARDINALE VICARIO DALL’INQUISITORE, CONTRO IL PAPA
  46. XLIII. 12 aprile 1871. TESTAMENTO DI MARIA VERONICA HAMERANI
  47. XLIV. 26 febbraio 1883. CONSEGNA DEL TESTAMENTO DI MARIA VERONICA HAMERANI
  48. XLV. Roma, di recente. MIEI APPUNTI
  49. XLVI. Qualche settimana piú tardi. MIEI APPUNTI
  50. Ringraziamenti
  51. Appendice
  52. Note e fonti
  53. Il libro
  54. L’autrice
  55. Copyright