
- 168 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Informazioni su questo libro
«Per loro individuò un rimedio che poteva definirsi contemporaneamente sanzione e cura: il calcio in culo».
In questa raccolta di leggi immaginarie, decreti e piccoli editti, architettati mentre fa la fila alla posta o risolve un caso, la Piemme piú chiacchierata di tutto il Centro Sud esprime la sua visione del mondo. Non com'è, naturalmente, ma come dovrebbe essere. Almeno secondo lei. Dalle misure per i proprietari di cani agli incentivi per chi è capace di starsene zitto, dal patentino per diventare madre alla lettera di motivazione per i turisti in visita nei Sassi di Matera, la Tataranni ne ha per tutti. Paradossale, insofferente, allergica ai luoghi comuni, ma anche capace di autocritica e autoironia, Imma si colloca di prepotenza fra i grandi pensatori di ogni epoca, da Platone a Cesare Beccaria. Immagina cosí una sua Società Ideale, un po' dispotica, certo, ma con una profonda aspirazione alla giustizia. Legge dopo legge, intanto, prendono vita i personaggi che l'hanno accompagnata nei libri precedenti, il marito Pietro, la figlia Valentina, il bel Calogiuri, le compagne di scuola e tutta la Procura. Emergono in filigrana pensieri e desideri inconfessabili, idiosincrasie, debolezze, aneddoti inediti e segreti del Sostituto Procuratore che passando dai romanzi alla fiction di Rai 1 ha conquistato tanti cuori. Imma salta fuori dalla pagina grazie a una scrittura briosa, dissacrante, personalissima e letteraria, che attraversando il genere poliziesco e la commedia racconta la nostra società, le sue storture e il coraggio di tante straordinarie donne comuni.
In questa raccolta di leggi immaginarie, decreti e piccoli editti, architettati mentre fa la fila alla posta o risolve un caso, la Piemme piú chiacchierata di tutto il Centro Sud esprime la sua visione del mondo. Non com'è, naturalmente, ma come dovrebbe essere. Almeno secondo lei. Dalle misure per i proprietari di cani agli incentivi per chi è capace di starsene zitto, dal patentino per diventare madre alla lettera di motivazione per i turisti in visita nei Sassi di Matera, la Tataranni ne ha per tutti. Paradossale, insofferente, allergica ai luoghi comuni, ma anche capace di autocritica e autoironia, Imma si colloca di prepotenza fra i grandi pensatori di ogni epoca, da Platone a Cesare Beccaria. Immagina cosí una sua Società Ideale, un po' dispotica, certo, ma con una profonda aspirazione alla giustizia. Legge dopo legge, intanto, prendono vita i personaggi che l'hanno accompagnata nei libri precedenti, il marito Pietro, la figlia Valentina, il bel Calogiuri, le compagne di scuola e tutta la Procura. Emergono in filigrana pensieri e desideri inconfessabili, idiosincrasie, debolezze, aneddoti inediti e segreti del Sostituto Procuratore che passando dai romanzi alla fiction di Rai 1 ha conquistato tanti cuori. Imma salta fuori dalla pagina grazie a una scrittura briosa, dissacrante, personalissima e letteraria, che attraversando il genere poliziesco e la commedia racconta la nostra società, le sue storture e il coraggio di tante straordinarie donne comuni.
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Informazioni
1. Le battute che non fanno ridere
L’idea di questa legge, alla dottoressa, era venuta durante gli innumerevoli viaggi che era stata costretta a fare e ancora faceva con il brigadier Capozza. Perché mica tutti possono essere come l’appuntato Calogiuri, che poi era diventato maresciallo, e questa era la prova che a stare zitti si ha sempre da guadagnare, tanto che poi le era venuta l’idea di un’altra legge: l’incentivo per chi riesce a tenere la bocca chiusa. Ma se ne parlerà da un’altra parte (vedi Gli incentivi). Il fatto è che mentre guidava, il brigadier Capozza non la smetteva di voltarsi verso il sedile di dietro, dove lei si piazzava appunto nella speranza di sottrarsi alla conversazione, e ogni volta rischiavano l’incidente mortale.
Avoglia lei a dirgli: Capozza guarda avanti, senza nemmeno alzare gli occhi dalle carte che si stava studiando, o meglio spesso faceva finta di studiare, per non dargli corda. Sí, dottoressa, rispondeva Capozza, e premeva il piede sull’acceleratore, che sembrava si stesse allenando per la Formula Uno.
Rallenta, Capozza, era costretta a grugnirgli lei di lí a breve, e quello rallentava di colpo. Inchiodava quasi, e poco ci mancava che andassero a spiaccicarsi tutti e due contro il vetro davanti, come mosche.
Non pago, il brigadiere si girava di nuovo verso il sedile di dietro, col braccio e tutto. Dottoressa, la sapete quella dei quattro carabinieri… Me l’hai già raccontata, Capozza – interveniva prontamente lei, anche quando non era vero, prima che il brigadiere potesse attaccare la sillaba successiva, perché a quel punto sarebbe stato troppo tardi.
I movimenti oculari, le facce espressive, i sospiri persino, non sarebbero serviti a niente: avrebbe dovuto sorbirsi la barzelletta fino alla fine, vecchia o nuova che fosse. Ma che bisogno c’era?, avrebbe voluto sapere. Sinceramente.
Anche di quelle altre battute che Capozza spruzzava a pioggia, tentando invano di stabilire una complicità ammiccante.
“Questa somiglia precisa precisa al bilocale di mia sorella, eh, dottoressa!”, se ne usciva, riferendosi alla villa di un mafioso, un edificio sterminato con tanto di campi da tennis, piscina, maneggio e terrario per il boa. Oppure: quasi quasi me la faccio regalare per il compleanno, però sono indeciso. Che ne dite? indirizzandosi all’ultimo modello sportivo di non si sa quale marca di automobile che vedevano sfrecciare sulla strada, uno di quei mostri di lamiera che costavano come un appartamento in centro. Che poi, fosse stato l’unico! Neanche il procuratore Vitali lesinava le battute, con quel suo umorismo stucchevole come una torta con troppa panna, che sottintendeva: quanto siamo simpatici noi napoletani! Eh, come sappiamo prendere la vita… È un’arte, non c’è niente da fare. Eh, come sappiamo sdrammatizzare. Eh.
Ma perché volevano rendersi simpatici a tutti i costi? Che magagna avevano da nascondere? Che fregatura cercavano di rifilare? E ancora peggio, se non c’era il doppio fine, a che serviva sprecare neuroni in quell’attività che faceva perdere tempo a chi la propinava e affliggeva chi era costretto a subirla?
Una multa, avrebbe messo, decideva fra sé. Ecco. Il carcere era troppo, d’accordo. La sanzione pecuniaria però doveva essere di quelle che aumentano esponenzialmente a ogni nuova battuta che non fa ridere. Vuoi provarci?, pensava guardando il medico legale, che ogni volta si sentiva in dovere di dispensargliene qualcuna delle sue, forse nel tentativo di imitare gli innumerevoli medici legali che si vedevano nelle fiction in tivú. Va bene, accomodati, però rischi e paghi di tasca tua.
Se la battuta non faceva ridere l’importo sarebbe stato detratto direttamente dallo stipendio. E certi, a fine mese, si sarebbero ritrovati pieni di debiti.
La cosa piú preoccupante, in realtà, è che c’era chi si sganasciava per certe arguzie fritte e rifritte, rifilate chissà quante volte durante una riunione di ex compagni di scuola, rimbalzate sui social, inviate a tappeto nei gruppi di whatsapp e spiattellate infine fresche fresche, come un uovo di Colombo appena uscito dal sedere della gallina.
Fingevano, per una sorta di patto scellerato, di divertirsi. Ma com’è? È una congiura? Cos’altro se no? Non sei piú intelligente di me, volevano comunicarsi a vicenda, e io non sono piú intelligente di te, insomma nessuno di noi è stupido, casomai sono quegli altri a essere matti, mentre noi andiamo d’amore e d’accordo. E l’unione, si sa, fa la forza. Oppure soffrivano tutti di amnesia, un generale intorpidimento della materia cerebrale, che funzionava a basso regime come se si stesse scaricando. A meno che non avessero semplicemente paura del silenzio.
Comunque fosse, stabilí un giorno che aveva accompagnato Pietro a un pranzo con i colleghi d’ufficio, avrebbe esteso la multa a quelli che ridevano. Solo cosí si poteva sperare di sradicare il malcostume. Conniventi, andavano considerati questi che si sbellicavano a sproposito. Fiancheggiatori, favoreggiatori, complici, altrettanto colpevoli se non piú di quegli altri, in quanto erano loro a fomentarli, o almeno a permettere che continuassero indisturbati. Cento euro alla prima battuta insipida, duecento per quella copiata, per quella troppo apparecchiata quattrocento, e per chi ride… mille!, ipotizzava fra sé e sé.
Imma, si può sapere a che pensi?, la richiamava il marito, nel mezzo dell’interminabile simposio. Niente, niente, io salto il secondo, sto a posto cosí, si riprendeva lei dicendo la prima cosa che le veniva in mente, mentre intorno, soprattutto fra le signore, ancora serpeggiavano risolini per la freddura di qualche spiritoso.
Ma sí, mille, decretava, crepi l’avarizia. Mille per chi la dice e mille per chi ride. Ci avrebbero pensato due volte – si fregava interiormente le mani osservando il capufficio di Pietro che stava per attaccarne un’altra – prima di aprir bocca e dare fiato alle trombe.
2. Gli impiegati che scaldano la sedia
In qualunque azienda, ufficio pubblico o istituzione – si diceva Imma un lunedí di quelli da cancellare, salendo a testa bassa le scale della Procura – c’è una cosa che conviene fare a qualunque impiegato di qualunque categoria: niente.
Niente – ribadiva fra sé e sé imboccando il corridoio con un passo dei suoi peggiori – è la parolina magica che innesca il processo del quieto vivere. Che esorcizza ogni anelito allo squilibrio e al turbamento dello status quo. Mettendo al riparo da ogni rischio di insuccesso. Ma anche di successo. Soprattutto di successo, anzi, perché in Italia, in particolare da Roma in giú, è quest’ultimo che viene mal tollerato risultando spesso indigeribile – concludeva tirandosi dietro la porta dell’ufficio con su scritto Dottoressa Immacolata Tataranni. E lei ne era la prova vivente.
Niente – si accaniva dando un’occhiata alla pila di documenti che l’aspettava – è quello spirito contagioso che suggerisce l’imboscamento, la latitanza e lo sbadiglio anche all’ultimo arrivato, il giovanotto pieno di buona volontà, impaziente di rompere le scatole con una richiesta di fabbisogno o di un timbro da apporre, pronto a scompagnare allegre riunioni, piacevoli chiacchiere o placide sieste acquattati dietro un computer.
Niente, cari miei – insisteva mettendosi all’opera – è il piccolo segreto sul quale si fondano imprese straordinarie che non hanno mai visto la luce, è la boa dove aggrapparsi quando non si sa che pesci prendere, l’atollo dove fioriscono ciambelloni incartati nella stagnola e macchinette del caffè, in un oceano infestato di capuffici squali e colleghi pescecani. Niente – decretava cercando invano un verbale di cui aveva fatto richiesta la settimana precedente – è la vanga per smantellare castelli di legalità. La fessura che fa crollare la diga. Il cemento dell’associazione a delinquere, piú efficace di qualunque mitra o testa di cavallo infilata sotto le lenzuola.
Gli impiegati devoti alla filosofia del niente erano i suoi eterni nemici: nei loro confronti aveva iniziato a nutrire un’avversione sconfinante nell’odio già in tempi non sospetti.
Quando andava al liceo, l’attuale sostituto procuratore veniva bersagliata da richieste assurde, oltre che illegali. Carmela Guarini voleva copiare il compito di greco. Percoco la implorava di suggerire durante l’interrogazione di Storia. Paternoster si metteva addirittura a piangere.
Marinella ci provava con l’astuzia e le lusinghe, a farsi dire che diavolo significasse quell’enigmatica frase in latino, o come si risolveva un’equazione. Perché colei che un giorno sarebbe stata chiamata la Dottoressa, senza eccellere in nessuna materia a tutte si dedicava con scrupolo, applicando alla lettera regole e procedure e raggiungendo invariabilmente il risultato. Loro no. Loro parlavano di maschi. Ammucchiandosi negli ultimi banchi, dove, ridacchiando, si scambiavano informazioni su quello che all’epoca si chiamava petting, del quale sempre all’epoca lei ignorava tutto, non essendo materia che si studia a scuola. Che poi, di lí a breve avrebbe recuperato anche in quel campo (vedi Ti è piaciuto?)
Ai tempi delle superiori, comunque, quando la sollecitavano per ricevere l’imbeccata, Imma nicchiava, in modo che le poveracce si umiliassero implorandola in maniera sempre piú smaccata, fin quando lei non si decideva a distruggere ogni speranza con un’impercettibile alzata di sopracciglio.
Te ne vai alla festa di compleanno, alla gita, alla settimana bianca, stava a significare, e io devo farmi il mazzo al posto tuo? Per poi prendere un voto piú basso, tanto siete tutte raccomandate? E no, cornuta e mazziata non ci sto.
Per questo era stata bollata come stronza, epiteto che portava con fierezza, come i vestiti di seconda mano rimediati qua e là da sua madre e poi riadattati con abbinamenti determinati piú dalla necessità che dalla moda o dal buon gusto. Il buon gusto di chi, poi?
Per gli impiegati che non fanno niente, naturale evoluzione della studentessa raccomandata, in certe giornate trascorse in Procura a scontrarsi con l’indolenza generale, la dottoressa Tataranni aveva elaborato fra sé e sé una punizione dal sapore vagamente dantesco, perché nulla escludeva che anche al sommo Vate gli girassero: riuniti in squadra, gli sfaticati avrebbero dovuto percorrere di corsa tutti i piani della Procura, attraversare i corridoi, salire e scendere le scale a ritmo crescente senza fermarsi né per un caffè né per andare in bagno o a fare una chiacchiera nel corridoio, con l’obbligo invece di entrare in ogni ufficio e spostare le carte da una parte all’altra senza motivo logico.
Voleva vederli accaldati e stressati, fino a implorare di essere riammessi ai loro posti, Maria Moliterni in prima fila, la moglie del Prefetto addetta all’Ufficio del Registro, che veniva in Procura solo perché a casa temeva di rompersi le scatole. Nel corso del tempo l’aveva perseguitata in tutti i modi senza mai ottenere un risultato degno di nota.
A lei, anzi, stabilí con una legge speciale promulgata d’emergenza il giorno che la sorprese a sferruzzare un paio di babbucce, non avrebbe fatto fare niente di niente, manco le attività senza senso che destinava ai suoi colleghi.
A meno che, con gusto piú efferato, non l’avesse condannata a giocare a burraco fino a morire di noia, permettendole di interrompersi giusto quando stava lí lí per venir meno, ma solo per parlare di cani con le amiche (vedi Il miglior amico della donna), finché lei stessa non le avesse chiesto in ginocchio il permesso di archiviare un documento, supplicandola di assegnarle anche degli extra e casomai di fornirle uno scopo nella vita. Solo a quel punto sarebbe stata riabilitata, e avrebbe potuto tornare a essere ammessa nel civile consesso. E sí, cara mia, mi dispiace ma è cambiata la musica. Ecchecavolo.
3. Gli incentivi
Vai verso Miglionico, Bartolini. No, no anzi prendi la Basentana. No, torna indietro. Prendi il dossier. Lascialo. Prendilo. Certi giorni andava cosí. Un ordine contrastante dopo l’altro, un ripensamento seguito da un controripensamento, sempre impartiti con perentorietà, come uno che preme a manetta sull’acceleratore e intanto tira il freno a mano. Una caratteristica della Tataranni.
E la Bartolini eseguiva. Calma e silenziosa imboccava la Basentana, al primo contrordine procedeva senza commentare fino a raggiungere uno spazio dove fosse possibile effettuare l’inversione di marcia, e la eseguiva con fluidità, salvo essere interrotta nel bel mezzo da un nuovo contrordine, che accoglieva senza batter ciglio.
Fosse stato un altro, Jessica, Capozza, Cagnazzo, e insomma uno qualunque dei suoi, addirittura Calogiuri, e sí, il maresciallo, che pure fra tutti era il piú discreto, sai quante domande le avrebbero fatto? Sai quante osservazioni si sarebbero sentiti in obbligo di scodellare? Sai quanto si sarebbero impicciati, in parole povere? Piú o meno timidamente, o educatamente, magari sotto forma di scherzo, piú o meno, eddai, facendole saltare i nervi.
Perché già non sai bene che fare, già la soluzione che scarti ti sembra immediatamente meglio di quella che hai scelto, già hai cavoli tuoi, porcamiseria, con tutto quello che una cosa del genere può significare, e no, si devono mettere anche loro. Eventualmente dandoti anche un parere. O un consiglio. Un consiglio! Come se qualcuno gliel’avesse chiesto. E ti dirò di piú. A volte anche certi silenzi pesavano. Parlavano piú esplicitamente di mille parole. Bastava guardarli in faccia per leggervi un giudizio inappellabile. Il motivo? Erano meridionali. Non si scappava.
Mentre la macchina di servizio sfrecciava senza intoppi con la Bartolini alla guida, non poteva impedirsi di pensarlo, la dottoressa Tataranni. Pur appartenendo anche lei alla stessa razza. O forse proprio per quello.
Sempre, in ogni circostanza, gli abitanti del Sud sentivano il bisogno di classificare il mondo in giusto o sbagliato, e comunicarlo al diretto interessato anche solo con un’occhiata. Dopo secoli di dominazioni e soprusi non si tenevano piú: le cose te le dovevano dire in faccia. O almeno fartele capire inequivocabilmente.
Ma non erano meglio quegli altri, i settentrionali, i nor...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Introduzione
- 1. Le battute che non fanno ridere
- 2. Gli impiegati che scaldano la sedia
- 3. Gli incentivi
- 4. La mordacchia
- 5. L’autodafé
- 6. E basta
- 7. Ti è piaciuto?
- 8. Otto marzo
- 9. Katane
- 10. Gli smontatori
- 11. Lettera di motivazione
- 12. Gli scrocconi del Nord
- 13. Fratelli e sorelle
- 14. Il miglior amico della donna (e dell’uomo)
- 15. I sacchi dell’immondizia
- 16. L’Ufficio per le Idee geniali
- 17. Il Ministero della Rivincita
- 18. Diritto di sbotto
- 19. Antilobby
- 20. Il Decreto salvamadri
- 21. Il Decreto spostasuocere
- 22. Tesoro
- 23. La zuppetta
- 24. Quando ti posso richiamare?
- 25. Secondo: non vantarti
- 26. Pranzo della domenica
- 27. Le Spa
- 28. Il coccodrillo
- 29. Nouvelle cuisine
- 30. Il brutto carattere
- 31. Arancia meccanica
- 32. Tollerare
- 33. L’Ufficio Reclami dei sogni
- 34. L’omicidio dell’arpa
- 35. Il bacio della Mutua
- 36. Ti voglio bene
- 37. In materia d’amore
- Ringraziamenti.
- DETTA LEGGE ANCHE TU
- Il libro
- L’autrice
- Copyright