I sette killer dello Shinkansen
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I sette killer dello Shinkansen

  1. 552 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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I sette killer dello Shinkansen

Informazioni su questo libro

Chi sopravviverà?
Il thriller dell'anno arriva sparatissimo dal Giappone.Un intreccio alla Agatha Christie e un'ironia alla Tarantino.Da questo romanzo il film con Brad Pitt e Lady Gaga. Un treno partito da Tokyo e lanciato a trecento all'ora nella campagna giapponese. Una valigia piena di soldi nascosta in una delle carrozze. E sette assassini pronti a entrare in azione. Un meccanismo narrativo micidiale, in cui tensione e adrenalina si susseguono fino all'ultimo, straordinario, colpo di scena.Oji ha la faccia innocente di uno studente per bene, in realtà è un pericoloso psicopatico. È lui ad aver mandato in ospedale il figlio di Kimura, che ora si trova sullo Shinkansen - il treno proiettile - per vendicarsi. Ma Kimura e O?ji non sono gli unici passeggeri pericolosi. Nanao, a suo dire l'assassino piú sfigato del mondo, e la letale coppia formata da Mikan e Lemon sono sullo stesso treno. Chi o che cosa li ha riuniti in una manciata di vagoni? E chi arriverà vivo all'ultima stazione?«Divertente e incalzante, pieno di colpi di scena e di sorprese, I sette killer dello Shinkansen sembra una miscela di Tarantino e fratelli Coen».
The Times «Se quello che volete è un romanzo intelligente, ben scritto e pieno d'azione, non cercate oltre».
The Japan Times

Domande frequenti

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Informazioni

Kimura

Nella mente di Kimura continuavano ad affiorare in successione ricordi legati a Ōji.
Quando l’aveva incontrato la prima volta al grande magazzino, aveva pensato che non gli sarebbe mai piú capitato di incrociare quello studentello delle medie.
Ma come per la forza di attrazione di un magnete invisibile, non erano passate nemmeno due settimane che Kimura aveva avuto di nuovo a che fare con lui.
Anche allora era con Wataru. Tornavano dopo aver accompagnato i nonni alla stazione piú vicina. I genitori di Kimura erano venuti a Tōkyō il giorno prima in occasione di una rimpatriata tra vecchi compagni di classe e avevano preso alloggio in un piccolo albergo vicino all’appartamento dove viveva il figlio. Quando Wataru era rientrato dall’asilo, l’avevano portato in un negozio di giocattoli, dove l’avevano coccolato dicendogli che gli avrebbero comprato quello che voleva. Il bambino era di carattere riservato, e chiaramente sotto pressione per gli insistenti inviti dei nonni a scegliere qualcosa. Alla fine era sembrato accontentarsi di un semplice palloncino che gli avevano regalato all’ingresso del negozio. Il nonno ne aveva dato la colpa al figlio lamentandosi teatralmente: – È diventato cosí schivo perché tu non gli compri mai niente, poverino! Ah, povero piccolo!
– Wataru è cosí di natura! – aveva cercato di spiegare Kimura, ma i genitori l’avevano ignorato. Poi, alludendo alla ex moglie, il padre aveva proseguito sarcastico: – Quando c’era lei, Wataru era piú innocente, gli piacevano i giocattoli! Se n’è andata perché tu sei un fallito, o sbaglio?
– No! Anche lei era piena di debiti, e diceva di non avere altra scelta se non scappare.
– Di’ piuttosto che non ne poteva piú di un ubriacone come te!
– Guarda che all’epoca non bevevo ancora cosí tanto –. Non era una bugia. Finché la moglie non se n’era andata, pur nella sua cronica pigrizia, Kimura non conduceva una vita in cui l’alcol era una presenza irrinunciabile. Se per ipotesi già allora lui avesse bevuto come in seguito, di sicuro anche la moglie, preoccupata per Wataru, non gli avrebbe delegato del tutto le proprie responsabilità genitoriali.
– Tu pensi solo e sempre a bere!
– E tu che ne sai?
Il padre allora si era fatto serio, dicendogli: – Basta guardarti! E poi si sente dall’odore!
A pensarci bene era un’espressione che il padre usava regolarmente, fin da quando era bambino: «Basta guardare! I difetti di una persona puzzano, e si scoprono subito!» proclamava in tono pomposo. In quanto figlio, per lui non era altro che una specie di superstizione da persone anziane, e non gli piaceva. Quand’era bambino anche Shigeru, il tizio che si recava spesso a casa da loro, una volta aveva detto al padre con un sorriso ironico: «Tu dicevi sempre che questo puzza, quell’altro puzza…» «Sí, e pensare che invece è lui che scorreggia in continuazione!» aveva ribattuto la moglie.
Dopo aver acquistato un giocattolo, erano passati per un grande parco dov’erano installati molti giochi per bambini. Seduto su una panchina, Kimura osservava Wataru che, in compagnia della nonna che lo seguiva col fiatone, si era arrampicato in cima a uno scivolo su una collinetta. Aveva sospirato, sollevato dal fatto di non dover badare al figlio come al solito. Stava per tirare fuori dalla tasca la bottiglietta con il brandy, ma il padre, che improvvisamente gli si era seduto accanto, gli aveva bloccato la mano.
– Che cazzo fai? – aveva protestato risentito a bassa voce; il padre non si era mosso. I capelli bianchi erano quelli di un uomo anziano, ma il corpo era ancora robusto e ben piantato, e la sua stretta, sempre salda e vigorosa. Quando Kimura non riuscí piú a resistere e lasciò andare la bottiglietta, il padre la prese in mano e gli disse: – Ma tu hai un’idea di cosa vuol dire essere alcolizzati?
– È quello che sono io, no?
– Be’, nel tuo caso sei ancora agli inizi, ma se continui cosí lo diventerai di sicuro. E sai di che condizione sto parlando? – Gli ridiede la bottiglietta, e Kimura la prese in mano.
– Insomma, di quelli a cui piacciono gli alcolici e che bevono tanto, no?
– A spiegarlo in parole povere è cosí, ma è un’intossicazione, e quindi una malattia. È diverso da chi lo fa per piacere o è un gran bevitore. Quando cominci a bere un sorso, continui all’infinito. Non è che ti manchino la forza o la capacità di resistenza. Quello che non ti fa smettere è la dipendenza. È anche una questione di predisposizione, e se chi ce l’ha comincia a bere è la fine.
– Se fosse un problema genetico, dovrebbero averlo anche i genitori. O forse no, solo da parte di madre?
– Noi non beviamo. E sai perché? Perché sappiamo che dall’alcolismo non si guarisce mai.
– Ma figurati, è impossibile!
– Nel nostro cervello pare ci sia un gruppo di neuroni che si chiama A10…
Kimura si era messo a pulirsi le orecchie, come a dire «Ma che palle, eccolo con le sue lezioncine!»
– Hanno fatto un esperimento. Hanno utilizzato un dispositivo che, se si spinge una leva, stimola la zona A10. E sai come si comportano i soggetti in questo caso?
– Mah, chissà…
– Continuano a spingere la leva.
– E con questo?
– Quando i neuroni A10 vengono stimolati, nel cervello si produce un senso di benessere. In pratica, premendo la leva si raggiunge facilmente uno stato di godimento. E quindi, si continua a farlo senza interruzione. Un po’ come le scimmie, che non smettono mai di masturbarsi. E pare che questa sensazione di piacere sia simile a quella che si ottiene mangiando bene, o una volta portato a termine il proprio lavoro.
– Che vorresti dire?
– Che quando si beve, quei neuroni A10 vengono stimolati.
– E allora?
– Quando si beve, si arriva a provare quel senso di soddisfazione pur non facendo nulla. Comodo, no? È comodo e piacevole. E poi cosa pensi che succeda? Non resta che continuare a bere, proprio come si continua a spingere la leva. E in questa infinita ripetizione, il nostro cervello cambia forma.
– Il cervello si modifica?
– Già, e una volta avvenuto il cambiamento non si può piú tornare indietro. Quando l’alcol entra in circolo si attiva subito un interruttore. Mettiamo per esempio che un alcolizzato sia riuscito a smettere di bere per un lungo periodo. Che siano scomparsi i sintomi della dipendenza, e sia in grado di condurre una vita normale. Ma prova a fargli bere anche un solo sorso! È sicuro che da quel momento in avanti non riuscirà a smettere, perché il cervello sarà tornato alla condizione iniziale. Non è una questione di capacità di resistenza o di solidità psicologica. È il cervello che ormai è, diciamo, programmato cosí. Come quando ti si spalancano istintivamente gli occhi se vedi una donna nuda! È uguale: non ci puoi fare nulla, è un meccanismo di dipendenza.
– «Meccanismo», quanto ti piace usare parole difficili, eh? E allora, in conclusione? Guarda che il brandy c’è dai tempi delle civiltà mesopotamiche, è una bevanda di antiche e nobili origini!
– Non si sa con certezza se sia davvero cosí! A dare per buona qualunque storia ti renderai ridicolo! Una volta per tutte, l’unico metodo per uscire dall’alcolismo è continuare a stare sobri, chiaro? Se bevi anche un solo goccio è la fine! Che poi, il senso di appagamento non bisogna procurarselo con gli alcolici o le droghe: l’unica è lavorare seriamente! Quando si ottiene il piacere senza sforzo, il corpo umano sviluppa dipendenza.
– «Sviluppa dipendenza», ancora paroloni!
– Dovresti prendere anche tu esempio da me e metterti a lavorare! La soddisfazione che regalano le proprie fatiche è l’unica sana! – aveva insistito il padre con veemenza.
– Parli tanto di lavoro, tu che non hai mai fatto altro che il magazziniere al supermercato! – Da quando Kimura aveva ricordi, i genitori erano già prossimi alla pensione. Lavoravano in un supermercato del quartiere, con una specie di impiego part-time; era un lavoro modesto, per una vita semplice. Una vita che Kimura detestava dal profondo del cuore.
– Non devi disprezzare il lavoro di magazziniere! Ci si deve occupare dell’inventario, e di fare gli ordini! – era sbottato il padre, dilatando le narici. – Al confronto, tu non hai mai fatto un lavoro serio, dico bene?
– Perché, quello che faccio adesso per la ditta di sorveglianza non lo è?
– Ah, già, in effetti per quello ti stai impegnando. Scusa, – gli aveva detto il padre con aria sincera. – Ma prima non lavoravi.
– Non tirare in ballo il passato! Se vogliamo proprio dirla tutta, nessuno lavora quando va ancora alle medie, giusto? E comunque, ho lavorato anche prima di fare la guardia giurata!
– E cosa facevi? – Il padre si era messo a scrutarlo con un’espressione serissima, e Kimura si era ritratto. Il suo era stato un lavoro brutale: a richiesta, lui disponeva a suo piacimento delle vite altrui usando la pistola. Se gliene avesse parlato, anche il padre si sarebbe di sicuro sentito responsabile in quanto genitore.
Stava quasi per rendergli la pariglia, ma poi aveva esitato. In fondo non c’era necessità di infierire sul padre, che aveva superato la sessantina e viveva ormai l’ultima parte della sua vita, con un’altra brutta notizia.
– Tanto, non sarà un lavoro di cui si può parlare apertamente…
– Ecco. Il solito «basta guardarti»?
– Esatto!
– E allora farò a meno di dirtelo, visto che un padre potrebbe rimanerci secco a sentirlo raccontare!
– Guarda che anch’io da giovane ne ho fatte tante…
– Mica siamo a quel livello! – aveva ribattuto Kimura con un sorriso ironico. Non c’era niente di piú noioso di una persona avanti con gli anni che raccontava le piccole trasgressioni e i guai passati in gioventú.
– Comunque sia, tu non devi bere!
– Grazie che ti preoccupi per la mia salute…
– Non è per la tua salute che mi preoccupo! È per Wataru. Tu sei uno tosto, uno di quelli che non muoiono neanche se li calpesti e li spiaccichi per terra.
– Ma che sono, uno scarafaggio? Certo che morirei anch’io, se mi montassi sopra con le scarpe! – si era messo a ridere Kimura.
– Capito, allora? Se ti sta a cuore Wataru devi assolutamente smettere di bere.
– Se è per questo ci penso spesso anch’io, che per lui lo vorrei fare… – Mentre lo diceva, Kimura aveva iniziato a svitare il tappo della bottiglietta.
– Meno male che l’avevo appena detto… – si era lamentato il padre. – Lo ripeto per l’ultima volta, l’unico modo per sconfiggere una dipendenza è starne alla larga. Non puoi far altro che smettere di bere.
– Tanto sarò sempre uno che puzza di alcol…
Il padre allora l’aveva guardato fisso, e tirando su col naso gli aveva detto: – Se fosse solo per la puzza di alcol non sarebbe un problema. Ma se puzzerai di marcio come essere umano, allora sarà la fine.
– Sí, sí, va bene… – Kimura aveva avvicinato la bottiglietta aperta alla bocca. Forse per effetto dell’avvertimento del padre, aveva esitato e ne aveva preso solo un rapido sorso. Si era spaventato, perché aveva avuto la sensazione che la componente alcolica fosse penetrata nel suo cervello e gli stesse cambiando forma come a una spugna che si dilata.
Quel giorno, dopo aver salutato i genitori alla stazione, Kimura si era avviato verso casa insieme a Wataru percorrendo la stessa strada dell’andata. Superata la vecchia galleria commerciale, avevano raggiunto la zona residenziale.
– Ehi, papà, c’è qualcuno che piange! – Cosí se n’era uscito Wataru mentre passavano vicino a un distributore di benzina che ormai aveva chiuso. Kimura lo teneva per mano ma era sovrappensiero, tutto preso da riflessioni sulle parole del padre. In particolare, gli era rimasta impressa l’affermazione che dalla dipendenza dall’alcol non si guariva. Fino ad allora era stato convinto che, anche in presenza dei sintomi, se si fosse curato, dopo avrebbe potuto ricominciare a bere tranquillamente. Nelle malattie veneree, per esempio, l’organo sessuale magari si gonfiava e per un po’ no...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. I sette killer dello Shinkansen
  4. Nota.
  5. Kimura
  6. Agrumi
  7. Coccinella
  8. Ōji (il Principe)
  9. Agrumi
  10. Coccinella
  11. Kimura
  12. Agrumi
  13. Coccinella
  14. Ōji (il Principe)
  15. Kimura
  16. Asagao
  17. Agrumi
  18. Coccinella
  19. Ōji (il Principe)
  20. Agrumi
  21. Coccinella
  22. Kimura
  23. Agrumi
  24. Coccinella
  25. Ōji (il Principe)
  26. Asagao
  27. Agrumi
  28. Coccinella
  29. Kimura
  30. Agrumi
  31. Coccinella
  32. Ōji (il Principe)
  33. Agrumi
  34. Coccinella
  35. Kimura
  36. Ōji (il Principe)
  37. Asagao
  38. Agrumi
  39. Coccinella
  40. Kimura
  41. Agrumi
  42. Ōji (il Principe)
  43. Coccinella
  44. Kimura
  45. Ōji (il Principe)
  46. Coccinella
  47. Ōji (il Principe)
  48. Coccinella
  49. Ōji (il Principe)
  50. Asagao
  51. Kimura
  52. Coccinella
  53. Coccinella
  54. Il libro
  55. L’autore
  56. Copyright