Certi bambini
eBook - ePub

Certi bambini

  1. 184 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Certi bambini

Informazioni su questo libro

Una mattina, in una città mai nominata ma perfettamente riconoscibile, Rosario, un bambino di undici anni, si alza, prepara la colazione alla nonna, si affaccia alla finestra e guarda vivere i suoi vicini. Poi prende la borsa degli allenamenti, si veste da calciatore ed esce di casa per compiere il suo primo omicidio. Pedinando Rosario, spiandone i gesti e i pensieri come in una semisoggettiva, De Silva è riuscito a raccontare, con una lingua ricca, affabulante, ipnotica ma priva di pathos, una storia terribile sull'inconsapevolezza delle proprie scelte, sulla casualità del bene e del male. Un romanzo intenso, tragico e bellissimo su quel mondo spaventoso che è il nostro mondo.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2021
Print ISBN
9788806249915
eBook ISBN
9788858436943

15.

– Che ti sei fatto? – domandò Caterina.
– Ma che cosa? – rispose Rosario.
– Come Ma che cosa. Chi t’ha vattuto?
Rosario piegò appena la testa. Se se n’è accorta, significa che ci tiene, pensò. E per non farsi guardare in faccia strinse gli occhi fingendo un improvviso interesse per la borsa degli attrezzi di Sciancalepore, che in quel momento passava dietro di lei. Caterina infatti si voltò. Pure Sciancalepore s’interruppe. Sollevò la borsa degli attrezzi per vedere che c’era che non andava, poi li fissò tutt’e due come a dire e che cazzo mi guardate.
Caterina tornò a Rosario con un sorriso furbetto. Gli rifece la domanda quasi uguale.
– Nisciuno, – disse Rosario.
– Sé. Vedi qua, – e gli prese la mano, strofinandogli dolcemente con il pollice la bruciatura della sigaretta sul dorso.
Quel gesto lo confuse. Come se Caterina lo avesse toccato mille volte prima. Come se di lui sapesse ogni cosa. Come se fosse stata presente quando giocava nella terra. Quando si lavava e si asciugava. Quando cadeva dalla bicicletta.
Tirò via la mano e si voltò di lato. Caterina si ammorbidí, pure mantenendo la stessa autorevole intimità.
– E poi non fare a vedere. Gli altri non se ne accorgono ma io sí. Ho visto come ti tiri la gamba appresso.
Rosario spinse la lingua contro i denti. Sentiva tutto un prurito che avrebbe voluto seguire con la schiena.
– Ma che, oggi manca Lucia?
Caterina fece sí con la testa e poi continuò a fissarlo, come a dirgli che era inutile che cambiava discorso.
– Ti fa male?
Gullit gli aveva tolto le sigarette. Una dopo l’altra le accendeva e le buttava, senza fumarle.
– Allora, – cominciò Dieci e Dieci guardando il divieto di sosta come fosse un’opera d’arte, – parliamo un poco. Quanto vi dà Casaluce?
– Chi?
Gli occhi storti di Dieci e Dieci degnarono Rosario per la prima volta. Con una fissità innaturale che, se possibile, riuscí addirittura a storpiarli.
– Fai poco lo stronzo, – disse.
Ragazzi, diceva Casaluce, le male parole, dette da un certo tipo di gente, vanno dritte alla dignità, e la sfregiano. Affondano e lasciano un rancore che si rivolge subito a se stessi. Non sono semplici insulti. Sono ordini.
Rosario abbassò la testa. Davanti ai piedi di Gullit c’erano tutte le sue sigarette schiacciate appena accese.
– Che è, ci vuoi pensare un poco? – tornò colloquiale Dieci e Dieci ricominciando a guardarsi intorno come un turista.
Rosario non disse niente. Del resto, qual era la domanda?
– Allora, quanto vi dà?
Ah, mò sí, pensò Rosario.
– Né. Ma che è, non ci senti? O non capisci?
Si mi vuo’ vattere fà ampressa, si disse Rosario.
Gullit non sembrava partecipare troppo al numero del collega. Aveva in mano l’ultima sigaretta di Rosario. Questa, però, la stava fumando.
– No, aggio capito, – disse finalmente Rosario. – Solo che quello sí e no saccio chi è.
Strano. Non aveva nessuna paura di loro.
Dieci e Dieci lasciò cadere appena le spalle.
– Documenti.
– Ah? – fece Rosario.
Lo schiaffo gli tolse la vista per qualche secondo.
– Mi faccio come a un animale quando devo ripetere. Mò mi capisci, mò? – si piegò in avanti Dieci e Dieci reggendosi sulle ginocchia con le mani.
Rosario non gli diede la soddisfazione di tenersi la faccia.
– Documenti.
– Io undici anni tengo.
Dieci e Dieci trasalí per un momento. E si rimise diritto per guardarlo da un minimo di distanza, come se la risposta di Rosario lo avesse reso piú degno di considerazione.
– Aaah... e allora qua ci dobbiamo stare accorti, – disse riacquistando morbidezza nel muoversi. – Hai capito, Toni’, questo c’impara il mestiere, a noi. Capisce di legge, capisce. Ci spiega che gli possiamo chiedere e che no.
Rosario guardava fisso davanti a sé, sul muro, una striscia marrone, una ditata di merda.
– Documenti.
Rosario lo sapeva che si metteva nei guai. Però non gliene fotteva niente. Ma proprio niente.
– Io undici anni tengo.
Dieci e Dieci gli girò intorno. Rosario, senza voltarsi, s’indurí tutto quanto in attesa del colpo. Dieci e Dieci aspettò qualche secondo, prima. E quello fu il momento peggiore. Quando poi arrivò il calcio, fortissimo e maligno, Rosario rimase in piedi per scommessa. Quasi non sentiva piú la gamba. Ma fu piú la rabbia che il dolore. Quello stronzo portava stivaletti a punta, apposta.
– Tu si’ nu strunzo ’e mmerda, – disse Dieci e Dieci fra i denti, andandogli sotto l’orecchio. – Io lo so che vai facendo, strunzo –. E si fece passare la sigaretta da Gullit. – Prega la madonna che ti arresta qualcun altro, perché quando viene il momento, e statti tranquillo che arriva, se acchiappi a me, ti faccio mettere in un posto dove diventi femmina.
Gli afferrò la mano e se la tenne. Poi avvicinò la sigaretta. Rosario provò a divincolarsi, inutilmente. Si dibatteva come un cane in una tagliola mentre Dieci e Dieci gli faceva il segno.
Gullit, intanto, senza neanche voltarsi dall’altra parte, stava pisciando per terra.
– No, è cosa ’e niente, – disse Rosario.
Caterina stava per aggiungere qualcosa quando entrò Santino con un grosso specchio da parete in una cornice di legno malandato.
– Ué, Rosa’! – disse tutto sorpreso.
Rosario fece sí con la testa a occhi bassi, e subito gli guardò il portachiavi della moto che gli pendeva dalla tasca dei pantaloni.
– Finalmente ti vediamo, – aggiunse Santino. E poi, sistemandosi lo specchio sotto il braccio e reggendolo con l’altra mano: – Cateri’, per piacere, vuoi chiedere a Giacomo se tiene un chiodo a pressione?
Caterina si allontanò («Sísí», pensò Rosario).
– Come sta nonna Lilina?
– Buo’.
– Ma che te ne sei fatto tutto ’sto tempo?
Rosario alzò le spalle tenendo gli occhi nell’aria.
– Ah, senti, – si entusiasmò d’un tratto Santino, – ho trovato un negozio che ci vuole regalare una lavatrice. Usata una settimana, è nuova nuova. Perché domani non mi accompagni che l’andiamo a prendere?
Rosario dovette spingere indentro il sorriso brutto che gli stava venendo in bocca.
– Putimmo fa’.
– Ti vengo a pigliare alle otto, allora, – disse Santino con la faccia della riconquista. E andò incontro a Sciancalepore che da lontano gli stava mostrando il chiodo a pressione.
Anna passò davanti a Rosario con le mani impegnate dalla tovaglia. Come arrivò alla tavola si ricordò di lui.
– Ma tu mangi qua? – domandò voltandosi.
Rosario fece sí.
– E lo potevi dire prima, – disse lei afferrando i due pizzi piú vicini della tovaglia e lanciandola in avanti, – che buttavamo un altro poco di pasta.
Rosario uscí sul balcone annuendo ripetutamente. Ogni cazzo di volta che apriva bocca teneva da ridire, quella.
Prima, senz’altra ragione che ubbidire agli ordini che si dava da sé, guardò la cabina del telefono sotto il palazzo di fronte. Di quelle corte per gli handicappati, fresca messa, nuovissima. L’aveva provata prima di salire, pigliava perfino le schede. Trattenne lo sguardo sulla cabina il piú possibile e finalmente (quando il corpo, innervosito da quell’inutile imposizione, cominciò a ribellarsi lanciando pruriti dappertutto) si concesse di cercare la moto di Santino. Era proprio davanti al portone, sul marciapiede, la ruota anteriore legata al tubo del gas da una catena rivestita di gomma trasparente.
Rientrò. Anna era tornata in cucina. Il rumore delle ragazze che trafficavano tra i fornelli e la piattaia. Un lembo della tovaglia si era ripiegato sulla tavola.
– Un poco piú su... no, no... Giacomo? Un altro poco, sali un altro poco, – diceva don Alfonso al piano di sopra. Poi il rumore del trapano e Santino che diceva bastabasta.
Uscendo, lasciò la porta socchiusa.
Fece le scale ripetendo continuamente il numero per paura di dimenticarselo proprio all’ultimo.
Avevano quasi finito il secondo quando Sciancalepore tornò. Aveva fatto le scale di corsa.
– Uè. E che è successo, non parte la macchina? – disse sorpreso don Alfonso.
Sciancalepore si fermò a riprendere fiato. Tutti lo guardarono in silenzio.
Rosario aveva appena bevuto. Riprese il bicchiere vuoto e se lo portò alla bocca, infilandoci pure il naso.
– Santi’, non vorrei dire, ma è meglio che t’affacci, – disse Sciancalepore buttandosi il pollice alle spalle.
Santino succhiò l’aria. Poi si portò le dita alla fronte.
– La moto sul marciapiede, mannaggia.
Si alzò da tavola.
– Che ci stanno, i vigili?
Sciancalepore fece un no con la testa che aveva tutta l’aria di un magari. Le ragazze si guardarono l’un l’altra, lasciando le posate sospese sui piatti.
– Ma che è, che sta succedendo? – si alzò pure don Alfonso.
Santino uscí sul balcone e subito rientrò.
– Chiamate la polizia, – disse. E si leccò le labbra.
Rosario guardò Caterina. Forse le vide proprio la faccia che si aspettava. Anna e Stefania si buttarono sul telefono quasi contendendoselo.
– Che c’è, che c’è? – domandò Gemma, mentre Ninetta si aggrappava al suo braccio come una criatura. Le cotolette nei piatti, tutte ancora a metà o poco piú, avevano già preso un aspetto estraneo, quasi disgustoso.
Sciancalepore e don Alfonso raggiunsero Santino sul balcone. Due piani piú sotto, Qui Quo Qua erano al lavoro. E Santino aveva già l’impressione che la moto non gli appartenesse piú.
Uno stava inginocchiato sulla ruota (dall’alto si potevano riconoscere i manici della tenaglia); una foltissima peluria rossiccia spiccava dal retrocollo della maglietta bianca. Curvo su di lui, Rino Mezzacapa (dal secondo piano, la porzione di cranio mancante pareva un budino dopo la prima cucchiaiata) gli porgeva la catena allentandola. Oltre il marciapiede, quasi in mezzo alla strada, le braccia lungo i fianchi, camminava lentamente il piú giovane dei tre.
– Che state facenno là abbascio, né? – gridò Santino, fingendo, innanzitutto con se stesso, di essersene appena accorto.
Il primo a guardare in alto fu Mezzacapa. Lo fissò dritto negli occhi. Pure da quella distanza, San...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Rosario, undici anni. di Domenico Starnone
  4. Certi bambini
  5. Capitolo primo
  6. Capitolo secondo
  7. Capitolo terzo
  8. Capitolo quarto
  9. Capitolo quinto
  10. Capitolo sesto
  11. Capitolo settimo
  12. Capitolo ottavo
  13. Capitolo nono
  14. Capitolo decimo
  15. Capitolo undicesimo
  16. Capitolo dodicesimo
  17. Capitolo tredicesimo
  18. Capitolo quattordicesimo
  19. Capitolo quindicesimo
  20. Capitolo sedicesimo
  21. Capitolo diciassettesimo
  22. Capitolo diciottesimo
  23. Capitolo diciannovesimo
  24. Capitolo ventesimo
  25. Il libro
  26. L’autore
  27. Dello stesso autore
  28. Copyright