– Achille, qual buon vento.
– Ma se c’è l’afa, dà i. Dove sei stato?
– Oggi solo un controllino. Sono andato a cercare alleati, forze fresche, ho buone notizie. Abbiamo rinforzi, per la cura, dopo la defezione ingloriosa di alcuni combattenti. Non parlo del Foruncolatumimab ma del Pierinotukano, che non ha dato poi cosà buona prova di sé. Alla fine l’abbiamo radiato dai ranghi, erano piú il danno e la beffa che la capacità di contrasto sul campo. Ma lo sai bene, non dirmi che i tuoi Uccellini non conoscono le decisioni di Gentili.
– Hai dovuto assoldare mercenari?
– Molto meglio. Mentre Gentili studia il nuovo protocollo d’attacco, e mi fa disintossicare dal veleno accumulato che è tanto e genera stanchezza e confonde un po’ le idee…
– Sà perché adesso le tue idee sono confuse per colpa dei chemioterapici. Bella scusa. Allora anch’io. Dammene un po’, cosà ti faccio compagnia e mettiamo su uno spettacolino pietoso il giusto.
– Pensala come ti pare. Non vorrei sottolineare che anche Socrate…
– SÃ, nel Fedone dice, il phármakon, la medicina, che è nello stesso tempo veleno e salvezza. Ma lui lo diceva perché pensava che la morte, che la buona e riconoscente città di Atene aveva decretato per lui, comandandogli di bere il phármakon, in forma di cicuta, sarebbe stata la sua vera salvezza, l’evasione definitiva dagli impicci affannosi, in compagnia degli dèi e non dei petulanti cittadini di Atene. L’immortalità dell’anima invece dei litigi con la moglie.
– Guarda che la figura di Santippe io la riabilito, secondo me era prossima alla santità . Ora però, senza scomodare il tuo Platone, me l’ha detto anche Sebastiano che è farmacista, che il phármakon è medicina e veleno insieme, e la parte che è veleno il mio corpo non la smaltisce con la singola terapia, per quanto il corpo possa abituarsi il veleno si accumula negli anni, intossica, indebolisce, rende alla fine inefficace la cura, persino.
– Eh, che noioso, come la fai lunga, pensa allora a me, che me ne sto qui a succhiare tutti i veleni che mi scaricate nell’aria e nel terreno, e resisto. Altro che phármakon. Ma se non hai assoldato truppe mercenarie per proseguire la cura, mentre Gentili studia il nuovo piú efficace protocollo, mi sai dire quali sono le buone notizie? Ho trovato forze fresche, hai detto. Nuovi alleati.
– Alleate, per la verità . Un Corpo speciale.
– E sarebbe?
– Achille, lo sai mantenere un segreto?
– No, dovresti saperlo. Sennò con me, che ci parli a fare? Sono un buon pino da comunicazione, invece. «The pine is the message», diceva un amico mio. Parla pure, o ti faccio assumere una dose di phármakon, per inalazione. Nella ciotola di Socrate ne è giusto rimasto un po’, e potremmo farne aerosol. Non è vero che pestavano nel mortaio solo la quantità necessaria per una persona, come scritto nel Fedone. Ne avanzava sempre un po’, e l’ho conservato. I libri non dicono tutta la verità . Nemmeno quelli di Platone. Noi pini della Tradizione alta lo sappiamo. Ma non andiamo in giro a sbandierarlo ai quattro venti. Te lo assicura il tuo amico Achille, detto anche «Pine di Pinewood». Anche se tu non mi frequenti molto cosa credi, qualcosina da fare la trovo comunque nel frattempo, nei… tempi morti. Cose nostre. Io mantengo solo i segreti miei, non i tuoi. Allora, chi sono mai questi alleati, questi soccorritori, addetti alla cura mentre la cura di necessità è un po’ sospesa, per smaltire il phármakon? Ma quale Corpo speciale?
– Non sono alleati, Achille. Sono alleate. Soccorritrici, non soccorritori. Un Corpo molto molto speciale.
– E sarebbe?
– Le Guardatrici della Luna.
– Le Guardatrici…
– … della Luna, sÃ. Prendono nome da un vecchio libro dimenticato…
– … di Tonino Guerra, lo conosco, non è dimenticato affatto, I guardatori della luna, Bompiani 1981, dice l’archivio di Pinewood. Tonino Guerra, un gigante di buon fusto. Ma le Guardatrici?
– Un Corpo sceltissimo, ora ti racconto. Pensa, non si può nemmeno decidere di farne parte, mi hanno detto, a un certo punto una sa che è stata scelta e basta, sa di essere diventata una Guardatrice della Luna, lo sa e basta. Non si riuniscono nemmeno, non ci sono onorificenze né stemmi, ognuna porta addosso ciò che vuole, se lo vuole. Forse prima di diventare Guardatrice della Luna aveva un tatuaggio, un ciondolo, una Luna portatile? Bene, può continuare a portarli, anche dopo che è diventata Guardatrice della Luna davanti a Sua Immensa Radiosità , che lo comunica peraltro a lei sola, di essere diventata Guardatrice.
– Non si sa quante siano le Guardatrici, un numero immenso credo. Un tirocinio lunghissimo o molto breve, tu nel plenilunio guardi la Luna e forse l’hai fatto per anni, nella tua cameretta o nel tuo maniero fin da piccola aspettavi arrivasse quella bianca luce a bagnarti, e zac, all’improvviso sai di essere stata scelta, sei una Guardatrice, hai fatto il tuo giuramento.
– E scusa, che c’entra con la cura?
– Achille, non sei poi cosà esoterico. Potresti arrivarci. Ogni Guardatrice, comunicando con Sua Radiosità senza altro scopo che quello di far parte di questa comunione, diventa senza nemmeno volerlo una batteria, una pila, un concentrato di Energia bianca che è parte di un tranquillo oceano, al quale ognuno può attingere, al momento giusto, e trarne il debito giovamento e conforto, se sa aspettare l’arrivo della Luna, senza le distrazioni che… ma perché sorridi? Lo vedo sai, che sorridi.
– Certo voi umani siete straordinari, a scoprire le cose.
– …
– Secondo te, perché me ne sto fermo qui tutte le notti, ad aspettare?
– Vuoi dire che…
– Un Pino, una Pina, che differenza fa? Vieni piú vicino. Mi parlavi di segreti, di mantenere i segreti. Ecco, i miei sÃ, sono segreti. Voglio cominciare a svelarteli, visto che li stai sfiorando. Voglio dirti uno dei segreti di Achille.
– …
– Non è vero che tra le Guardatrici della Luna non ci sono onorificenze, riconoscimenti, gerarchie, pur alla presenza fluida e benefica di Sua Luminosità . Fluida e benefica non vuol dire incapace di riconoscere il merito. Sei pronto?
– …
– Guardami bene allora, e pensa alla mia chioma, alta e serena nel cielo, fatta apposta per…
– … per prendere meglio il nutrimento dall’aria, dalla luce del sole…
– Certo. E?
– …
– Ti presento Achille. Guardatrice scelta della Luna. Al servizio reverente di Lei, la Mai interamente conosciuta, la Dispensatrice di perenne gioia…
– …
– La dolcissima Luna. La Madre.
Forse anche nella vostra giornata, come nella mia, c’è un appuntamento importante, uno scoglio da affrontare, tale che scoprite di non riuscire a pensare ad altro.
Forse per voi lo scoglio non è, come per me, un appuntamento stasera dove i medici che vi hanno in cura vi diranno, valutando l’ultimo ciclo di terapia e gli esami ultimi, che cosa accadrà alla vostra vita nei prossimi mesi, ma è invece una diversa preoccupazione grave, su voi stessi o una persona cara. Prende comunque la forma di un pensiero dal quale non potete distogliervi, non riuscite a guardare da un’altra parte.
Non so se può aiutare.
Ma rileggo per caso, sembra uno scherzo e non lo è, le parole di un imperatore romano filosofo e vi trovo, come per la prima volta, una verità che mi era sfuggita.
Cercate di accogliere serenamente «ogni accidente», scrive Marco Aurelio Antonino nei suoi Ricordi (chiamato anche Colloqui con sé stesso, e in altri modi): forse appuntandosi una riflessione, con l’urgenza di scriverla, non appena uscito dalla battaglia in una qualche campagna sul confine danubiano dove ha rischiato la vita, perché erano poi questi gli «accidenti» che capitavano a lui in quegli anni, questi e altri, certo.
Accogliamo tutto ciò che succede, «ritenendolo necessario, amico e scaturito dalla stessa nostra sorgente».
Ecco il punto.
Scaturito dalla stessa nostra sorgente.
A pensarci, non nasce tutto da lÃ?
Come faccio a considerare davvero a me estraneo, Nemico, un male che mi è capitato, lo scoglio che mi ossessiona?
Non c’è nulla di quanto ci appare come male che non nasca da noi, a pensarci.
O da molto, molto vicino a noi.
Che non nasca «dalla stessa nostra sorgente».
Ciò che non mi è estraneo, che non mi è Nemico, che nasce dalla stessa sorgente, posso pensare che può cambiare, che posso modificarlo.
Anche il mio cancro, che viene dalla mia sorgente.
Se me ne prendo cura.
Oggi però non parliamo di notizie.
Ci sono luci e ombre e io sono qui e ne scriverò, come è normale, con le parole che arriveranno giuste.
Oggi non le ho.
Serve anche a me riuscire a riparare, riparare.
Riparare le energie, e non solo.
Riparare gli strappi che senza nemmeno volerlo il nervosismo violento e inutile di questi giorni ha disseminato.
Riparare, ricostituire, ricostruire.
– Ajò.
Non appena arrivo a Quantico per una Mas (Manutenzione accurata semplice) noto che Achille, l’amico pino che fronteggia, con Ettore e altri quattro, l’ingresso della clinica, e che dalla stanza numero 60 vedo molto bene, parla con accento impercettibilmente diverso.
Si direbbe, una sfumatura di sardo campidanese.
Be’ ecco, forse non proprio, impercettibile.
Chissà perché ho un presentimento.
Non arrivo a intuire che Achille, a Cagliari, ha scoperto le tigri.
Forse Achille ce l’ha con me, in cuor mio non ho creduto davvero alle Guardatrici della Luna, ecco cosa succede quando te ne stai soltanto in una posizione, a chioma in su.
Magari, le Guardatrici della Luna, ma forse è solo un sogno di Achille.
Per questo oggi è risentito, addirittura mi parla in sardo.
E poi, come sarebbe a Cagliari?
Ecco mi stupisce, come quasi sempre.
– Chi non muore si rivede. A che dobbiamo l’onore?
– Tu piuttosto. Non sapevo che parlassi sardo.
– Ti sei dimenticato che da questo martedà in tutte le librerie del continente, inteso Italia, per non parlare di quelle sarde, è in vendita Mia madre e altre catastrofi, di Francesco Abate, che ti ricordo è di Cagliari. CosÃ, era un modo per rendergli omaggio. Scritto in buonissimo italiano si capisce, il libro.
– E tu che sei un pino che ne sai, che esce il libro di Abate con il personaggio della madre… un duetto di puro veleno e puro amore.
– Me l’ha detto Gavino. Un pino marittimo di Porto Pino trapiantato in tenera età a Cagliari, che sa tutto di Frisco fin da quando faceva il deejay e si tirava mattina nella pineta. «Bei tempi, – dice Gavino, – voi non potete capire». Ma tu con queste frasi fatte. E non far finta, lo so benissimo che ce l’hai nella borsa il libro, non fare il noioso, che ti riesce molto bene.
– L’ho portato perché fa ridere troppo, cosà volevo rileggere qualche pagina prima di telefonargli. Ecco, te l’ho detto. E poi è raro trovare un libro che fa cosà ridere e… e però…
– Non tirarmi fuori che fa riflettere, sei noioso sà ma non fino a questo punto.
– Se dico che ha una bella anima pulita e commovente che viene fuori insieme alla risata e te ne accorgi un secondo dopo avere riso, della nota piú amara, va meglio?
– Contento tu. Per noi si chiama «La BalentÃa».
– E cos’è, una antica divinità sarda?
– Non fare il noioso, come dice la Mamma di Abate, visto che ti devo spiegare tutto a quanto pare. Per Bachisio Bandinu, scrittore, giornalista e antropologo, il Balente è «colui che riesce a resistere e vivere in un ambiente povero, aspro, duro e violento». Ecco chi è un Balente. Il riso in questo libro nasce sempre, se ci pensi un poco, e ammesso tu l’abbia letto davvero…
– Ora non puoi mettere in…
– … sÃÃÃ, sÃ. Ti dicevo, se permetti, senza offesa, il riso nel libro di Abate nasce proprio in reazione a un ambiente «aspro, duro e violento». Mamma educa a sberle e pizzicotti perché i figli si irrobustiscano soffrendo un po’ visto che già devono soffrire, ma proprio questo genera comicità grazie alla lingua di Abate, e se l’è inventata nella sfida quotidiana, scusa la parola, della scrittura su Facebook…
– Che c’entra Facebook?
– Vedi come sei, che non sai niente. La lingua cosà diretta ed efficace dei dialoghi tra lui e ...