La nuvola in calzoni
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La nuvola in calzoni

Tetrattico

Vladimir Majakovskij, Remo Faccani

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  1. 152 pagine
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La nuvola in calzoni

Tetrattico

Vladimir Majakovskij, Remo Faccani

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La nuvola in calzoni è il capolavoro della stagione «prerivoluzionaria» di Majakovskij, e uno dei testi più significativi del futurismo russo e della letteratura russa del Novecento. Composto tra il 1914 e il 1915 da un Majakovskij poco più che ventenne, il poemetto trabocca di una forza lirica tesa, appassionata, che vuole essere dissacrante, antiborghese, antifilistea, ed è soprattutto intensamente libertaria.
Majakovskij vuol portare dentro l'arte della parola la carica dirompente di una visione nuova o rinnovata della realtà, dei sentimenti, dell'idea stessa della poesia e della scrittura. E lo fa ricorrendo a un'incalzante sequela di immagini provocatorie, a un'orchestrazione sonora aspra e dissonante, a un'arditezza compositiva frutto di una maturità sbalorditivamente precoce. L'«eroe lirico» della Nuvola cerca disperatamente l'amore di una donna, l'amore tra gli uomini della Terra, l'amore universale tra l'uomo e il cosmo. Sogna di vedere cancellata la sofferenza dei reietti e degli oppressi; esalta la ribellione, il tumulto popolare. Ma davanti a sé non trova che il rifiuto, la desolazione, il silenzio dell'universo (e di Dio).
Così, nella colata lavica del poemetto confluiscono via via la passione amorosa, lo spirito di rivolta contro una società ingiusta e violenta, la polemica letteraria, l'ossessiva «lotta con Dio», il doloroso vagheggiamento di una rivoluzione che il poeta sa utopica, perché incapace di riscattare l'uomo nella sua totalità di «cuore» e di «anima». L'unico fragile scampo sta nell'accettazione di una propria «terrestrità» profondamente creaturale e nella ricerca spasmodica di un amore che - come Majakovskij dirà in seguito - sia «il cuore di tutte le cose». Remo Faccani

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2021
ISBN
9788858437896
Argomento
Letteratura
Categoria
Poesia

LA NUVOLA IN CALZONI

Prologo

Il vostro pensiero che fantastica
a galla del cervello rammollito
come un lacchè straimpinguato disteso su un sofà unto di grasso,
io lo stuzzicherò contro un brandello insanguinato di cuore;
me n’arcibefferò a sazietà, impudente e caustico.
La mia anima non ha un capello bianco,
e non c’è in lei tenerezza senile!
Intronando l’universo con la mia voce possente
avanzo – bello,
ventiduenne.
Teneri,
dell’amore voi fate musica di violini.
Ne fa cadenze di timpani il rozzo.
Ma come me non potete rovesciarvi
per essere labbra e soltanto labbra!
Dal salotto venite a istruirvi –
tutta di candida batista
voi, compita funzionaria della lega angelica.
E venga colei che senza turbarsi sfoglia labbra
come una cuoca le pagine del libro di cucina.
Se volete –
sarò frenetico di carne
e, come il cielo, variando i toni –
se volete –
sarò di una tenerezza inappuntabile,
non uomo sarò, ma – nuvola in calzoni!
Non credo esista una Nizza fiorita!
Da me nuovamente è reso omaggio
a uomini lasciati in abbandono come un ospedale
e a donne fruste come un vecchio adagio.

1.

Voi pensate sia la malaria che farnetica?
È accaduto,
accaduto a Odessa.
«Verrò alle quattro», aveva detto Maria.
Le otto.
Le nove.
Le dieci.
Ecco, la sera
dalle finestre
s’è dileguata nell’orrore notturno,
cupa,
dicembrale.
Alle sue decrepite spalle sghignazzano,
ridono sguaiati i candelabri.
Nessuno ora mi riconoscerebbe:
una montagna di nervi
geme,
si contorce.
Che può volere questa massa informe?
Di tante, tante cose avrebbe voglia!
Poco importa
che uno sia di bronzo,
che abbia per cuore un gelido grumo di ferro.
I propri rintocchi di notte uno vorrebbe
seppellirli in qualcosa di morbido,
di femminile.
Ed ecco,
enorme,
ingobbirmi alla finestra,
struggerne il vetro con la fronte.
L’amore ci sarà, non ci sarà?
E come –
grande o minuscolo?
Da dove prenderà quel corpo un grande amore?
Sarà, vedrai,
un amoruccio piccolo, mansueto.
Un amore che scarta allo strombettare delle automobili.
Che adora i campanellini dei tranvaietti a cavalli.
Ancora e ancora,
immerso con il viso
nel viso butterato della pioggia,
aspetto, lasciandomi spruzzare
dallo scroscio della risacca cittadina.
Mezzanotte, brandendo un coltello,
l’ha raggiunta
e sgozzata, –
guarda lí!
E` caduta la dodicesima ora
come dal patibolo la testa di un giustiziato.
Larghe gocce di pioggia ai vetri, grigie,
si danno a torciurlare
enormificando smorfie e ghigni,
quasi che ululassero a Parigi
le mostruose chimere di Notre-Dame.
Maledetta!
E dunque, non basta ancora?
Un grido sta per stracciarmi la bocca.
Mi accorgo
che senza far rumore
come un infermo giú dal letto
è balzato a terra un nervo.
Ed ecco –
prima si muove
appena appena,
poi si mette a correre
eccitato,
ritmico.
Ora lui e due nuovi sopraggiunti
s’agitano in uno sfrenato tip tap.
È crollato l’intonaco al piano di sotto.
I nervi –
grandi,
piccoli,
in folla! –
saltellano rabbiosi,
e ai nervi
già si pie...

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