Vita segreta delle emozioni
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Vita segreta delle emozioni

  1. 152 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Vita segreta delle emozioni

Informazioni su questo libro

«Pensavo alla frase di Epicuro: "è vano il discorso del filosofo che non curi qualche male dell'animo umano"; e mi sono detta: proviamo! Ho pur sempre studiato filosofia; tanto vale che metta quello che ho imparato, quello che ho pensato, al servizio di chi vorrà. Ho ascoltato; ho amato piú di prima, perché intorno al mio amore era cambiato, come il panorama quando arriviamo in una radura, il paesaggio delle mie paure».

Quante volte ci forziamo a reprimere un'emozione? Lo facciamo perché ci vergogniamo dello sguardo degli altri. O perché siamo abituati a diffidare delle emozioni, analfabeti del discorso emotivo. Eppure, è proprio quello che sentiamo a permetterci di conoscere il mondo. Ognuna delle emozioni che proviamo ha una storia: la storia di tutte le persone che l'hanno provata, detta, cantata, rivelata, studiata. Una storia di vita segreta e di metamorfosi, legata alla filosofia, che ne ha costruito paradigmi di osservazione e di studio; ma anche alla letteratura e alla poesia. Questo libro è un viaggio emotivo per tappe: ricostruendo le vicende delle parole con cui diciamo i nostri stati d'animo, traccia, un pezzetto alla volta, un autoritratto - frammentario, imperfetto. Perché nel nostro essere vulnerabili ci somigliamo tutti; e riconoscerci emotivi significa prendere coscienza del fatto che abbiamo dei bisogni e che proprio questi bisogni ci rendono umani.

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Informazioni

L’ansia è una domanda

L’uomo non sa come misurarsi; i suoi specchi distorcono;
Le sue arcadie piú verdi pullulano di spettri;
Le sue utopie cercano l’eterna giovinezza
O l’autodistruzione.
WYSTAN H. AUDEN
Sono stata bocciata cinque volte all’esame per la patente B. Cinque, esatto; alla sesta prova la patente l’ho presa, ma purtroppo non guido. Le ripetute bocciature hanno lasciato il segno; io non mi fido di me, e comunque nessuno, nella cerchia degli amici e dei parenti, oserebbe prestarmi la macchina per fare esercizio. Non li biasimo. All’epoca della scuola guida, il mio istruttore, un omone pisano d’indole coriacea che doveva aver passato i sessanta da un pezzo e non aveva l’aria di lasciarsi sconfiggere facilmente, in seguito all’ennesimo tentativo di patentarmi lasciò intendere in maniera piuttosto inequivocabile di non volermi piú vedere – e lo capisco, ero stata la sua croce per troppi mesi, aveva persino minacciato di andare dallo psicologo, lui, per riprendersi dalle delusioni che gli davo. Ma la vera ragione di questo rapporto conflittuale con la guida, di tutte le bocciature, della paralisi che mi prende non appena mi si affaccia il pensiero di provare, una volta o l’altra, a mettermi al volante di una stupidissima automobile e schiacciare la frizione, l’acceleratore o quel che è, è una sola: l’ansia.
Si potrebbe pensare che io sia una persona viziata, che non guida perché non ha mai avuto bisogno di farlo; se solo sapeste, invece, quanti disagi sono nati da questa mia inettitudine. Quanta fatica in piú, quante situazioni al confine con il pericolo o comunque con la spiacevolezza; quanto sforzo, e quanto dispendio di energia! L’unica cosa che mi consola è la sostenibilità ambientale del, diciamo, difettuccio. Ma, appunto, è tutta questione di ansia. Solo ansia, come mi sono sentita ripetere tante volte, di fronte al mio sgomento per il cuore che mi balzava in gola, che batteva troppo forte e troppo presto; per il respiro che non sembrava capace di scendere né di salire, né su né giú – eppure respiravo, malgrado il nodo in gola. Perché non era un nodo vero, era un’illusione: era ansia.
Con l’ansia coltivo una lunga relazione, cominciata nell’infanzia; credo di ricordare persino il momento in cui l’ho scoperta, con un dolore che come uno spillo mi trafiggeva il petto. Ero seduta sul pavimento del bagno, la vasca piena d’acqua, mi aveva presa un terrore senza nome. Mi ero resa conto di avere quasi cinque anni e mi sembrava un’età inaccettabile; poi sarei stata grande e non ne avevo nessuna intenzione. Da quel momento in poi, avrebbe pesato sull’altra metà della mia infanzia una paura incredula, e prematura, di doverla abbandonare. Gli adulti la trovavano molto divertente, mi prendevano in giro, il che mi faceva apparire ancora piú minacciosa l’ipotesi di diventare un giorno una di loro, una come loro: incapace di capire una bambina che non vuole avere cinque anni. Oggi chiudo gli occhi e la vedo, lei che non era me benché io sia anche lei, seduta sulle piastrelle grigio ghiaccio del bagno, un pomeriggio tardo di settembre, e mi viene da sorridere della sua disperazione per i cinque anni che stava per compiere; in effetti, so cosí che la sua paura si è avverata. Ma quella sensazione di una spina nel petto, che avevo scoperto allora e accuratamente tenuto nascosta fino a quando non ce l’avevo fatta piú e mi ero confidata con il mio papà che mi aveva spiegato – era un piccolo dolore intercostale – ecco, quella sensazione la prendo ancora molto sul serio. Qualche volta penso che proprio lei – la mia ansia – mi abbia impedito di diventare in tutto e per tutto simile agli adulti che allora mi sembrava non potessero capire, ma in realtà, lo so oggi, capivano benissimo, solo che non potevano impedirsi di sorridere di una bambina che mostrava una tanto precoce e teatrale inclinazione alla malinconia. L’ansia che conobbi per la prima volta sulle piastrelle di un bagno grigio ghiaccio ora la conosco tanto bene da non potermi impedire di considerarla una vecchia amica; in qualche modo, quasi, le voglio bene. Mi è stato detto che dovrei vincerla, cercare di estirparla, curarla, che dovrei liberarmene. Ma io, ormai, non ne ho piú voglia. Voglio solo imparare a vivere con lei, riconoscere i segni del suo linguaggio, che sí, è piuttosto brusco, coercitivo; eppure, da quando ho cominciato, a modo mio, a starla a sentire, mi sono accorta che aveva delle cose da dirmi. Cose che, in qualche circostanza, mi hanno persino un po’ salvata.
Certo, l’etimologia non è particolarmente rassicurante in questo caso. «Ansia» viene dal latino tardo anxia, a sua volta derivato del verbo angere, che significa «stringere», «soffocare» (ed è anche la radice di angoscia). Non ci vuole molto per intuire il legame fisico, palpabile, fra ansia e aria, fra ansia e l’atto istintivo, vitale, involontario di respirare, che nella crisi d’ansia diventa improvvisamente una difficoltà insormontabile: per illusione ottica, certo, ma si tratta di un’illusione perfettamente convincente, tanto che a sua volta alimenta l’ansia, l’accresce, le dà spago.
La parola greca che noi traduciamo con «ansia», invece – μέριμνα, mérimna – è connessa a μερίζω, merìzo: che significa «essere divisi in due parti». Un po’ come nel famoso verso del Faust, Zwei Seelen wohnen, ach! in meiner Brust: «Ah! Due anime abitano nel mio petto»1. E come succede agli eroi tragici, i quali, da che mondo è mondo, sono tanto combattuti da avere l’impressione di sdoppiarsi, di spezzarsi.
Una descrizione sorprendentemente accurata dei sintomi dell’ansia, raccontata come un peso che schiaccia, come fanno certi massi negli incubi, compare nel primo monologo sulla scena di una delle eroine tragiche con cui la sorte fu piú ingenerosa (per quanto la competizione, per questo primato, sia bella agguerrita). Elettra, «la brillante», che porta il nome dell’ambra, la pietra preziosa nel cui cuore è imprigionato un insetto fossilizzato, è figlia di Agamennone e Clitennestra. La figlia nubile, la vergine destinata, progenie di una madre che di uomini ne ha fin troppi; quanto al padre, l’ha visto sacrificare sua sorella Ifigenia, per propiziarsi il viaggio che lo portava in guerra. Elettra, la figlia femmina rimasta in casa con le altre sorelle mentre il padre combatteva la sua guerra, ha visto sua madre schiumare d’odio per il marito che le ha sgozzato la figlia come un capretto; la stessa madre che ha sorpreso insieme all’amante Egisto, forzuto come uno spaccalegna, e come uno spaccalegna rozzo agli occhi della principessa. E giusto con un colpo d’ascia ben assestato, Egisto e Clitennestra, quando Agamennone torna dalla guerra, gli spaccano la testa senza troppi complimenti, per vendicare Ifigenia; un altro anello alla catena di sciagure che imprigiona la stirpe degli Atridi. Elettra, reclusa nella rocca di Micene, medita una vendetta contro la madre, che a sua volta si è vendicata su suo padre; la voce del sangue urla dentro di lei, urla contro un’altra voce, e altro sangue.
Elettra è un’adolescente in rivolta, odia sua madre ma sa bene che il legame fra loro è indissolubile; medita un piano per vendicare l’uomo che le ha ucciso la sorella. Insomma, una situazione tutt’altro che invidiabile; difatti, il suo primo discorso (ῥῆσις [rhèsis], come lo chiama il lessico teatrale), nella tragedia a cui Sofocle ha dato il suo nome, è il monologo di una dark lady, uno fra i piú cupi e oscuri usciti dalla bocca di un’eroina greca. Perché Elettra è forse la piú disperata di tutte, rinchiusa nel palazzo arrampicato sul monte brullo, in attesa, in «ferrea attesa», come dice, del fratello Oreste, lontano – lei, «sterile, vergine, stanca, randagia marcia di pianto»; lei che avvera il suo nome di ambra in un destino avviluppato da una «catena stregata di mali».
La vediamo arrivare sulla scena smorta, esausta dalla notte insonne:
Luce innocente!
Aria, erede di uguali orizzonti
senti, che canto di morte
che vibrare di colpi
sui miei lividi seni
quando il buio del cielo dilegua.
Notti bianche! Complice conscio
il mio amaro giaciglio, tra mura dolenti,
sa la sofferta canzone di morte
che dedico al padre. Guerra scarlatta
non fu cortese con lui, nella terra lontana.
Mia madre e quello che dorme con lei
Egisto – spaccalegna col tronco –
gli spaccano il cranio con ascia cruenta.
Nota di lutto non nasce da altre:
da me sola, padre, su te desolato
– ah quanto – oscenamente morto.
Ah no, non soffoco il canto
di morte, le lacrime amare
finché notte striata di luci
mi palpita, brilla negli occhi,
o mattino di sole. Sono usignolo:
il mio piccolo è morto, strascico
balbettio doloroso, monotono annuncio
dalle porte antiche: «Persefone,
Abisso, Ermes del baratro, Esecrazione
che stremi, arcigne potenze, o Vendette,
guardiane di assassini assurdi
di subdoli amori frodati,
fatevi vivi, a castigo del sangue paterno
e quel fratello mio, inviatelo a me!»:
non ho forza da sola
non so equilibrare
prepotente carico d’ansia2.
L’esclusa Elettra, sola in una casa troppo piena e troppo vuota, descrive perfettamente la sintomatologia dell’ansia, in termini che non potrebbero essere piú moderni. E, come spesso succede agli ansiosi, rimane incompresa: il coro per tutta risposta le dà dell’esagerata, le ribatte, non senza paternalismo, che non è certo l’unica al mondo a soffrire di angoscia. Anzi: le sue sorelle che dovrebbero dire? E invece loro vivono serene, senza fare tante storie. Persino Oreste, lontano, se ne sta tranquillo:
Figlia, non sei sola nel mondo spettatrice d’angoscia.
Ma eccedi. Guarda i tuoi della casa
– stesso ceppo, identico sangue paterno – pure vivono:
Crisòtemi,
Ifianassa. E negli anni raggianti, ignari
d’angosce, vive colui che col tempo Micene bella riavrà,
principe vero
di ritorno alla patria – missione benedetta da Zeus –
Oreste!3.
Eppure, anche se non può contare nemmeno sul coro per essere presa sul serio, la principessa di Micene illustra fin troppo bene i suoi sintomi. L’ansia è un conflitto; è insonnia, e soffocamento. È il carico sotto cui Elettra si sente schiacciare; è l’odio per il letto in cui non troviamo pace, e la frustrazione di un peso da portare in solitudine; è girarsi e rigirarsi nel buio, mentre tutti dormono; ed è lacrime, palpiti di cuore tachicardico, e balbettio insensato, doloroso; è rimuginare parole come litanie che Elettra paragona al canto del piú infelice degli uccelli, Procne l’usignolo, costretta a piangere la morte del suo piccolo in un eterno cinguettio di dolore.
Il battito accelerato, la sensazione del fiato che si arresta in gola: l’ansia assorbe in sé i sintomi della paura, perché è, in fondo, una forma della paura, è un modo di avere paura. Solo che la paura è un’emozione immediata: si attiva di fronte a un pericolo, reale o qualche volta immaginato, ma in ogni caso presente. Un bambino che si sveglia nel cuore della notte perché è sicurissimo che dal suo armadio stiano spuntando i tentacoli di un mostro, quella presenza la sa, la avverte: anche se erano solo le maniche di un maglione scivolato per terra, lui le chele le ha viste, le ha davanti agli occhi nebbiosi di sonno mentre urla ai genitori di correre da lui e quelli, nel cuore della notte, si alzano per tranquillizzarlo.
Il pericolo che scatena l’ansia, invece, è come se fosse riassorbito in chi la prova: è un pericolo costante ma invisibile, indefinito. È un pericolo che abita l’ansioso, che vive nella sua testa e nel suo cuore e litiga con chi avrebbe il diritto di occupare quelle stanze segrete, le stanze della memoria, della vita quotidiana. Quando siamo in ansia, l’inquilino abusivo si prende tutto lo spazio che può, cresce a dismisura, scaccia il resto. Non entra il sole dalla finestra aperta, non entra il canto degli uccelli, neppure le buone notizie: c’è posto solo per la piú stolida ansia, per l’ansia che cresce quando ci accorgiamo che è arrivata, qualche volta persino per l’ansia che nasce dalla constatazione di non essere abbastanza in ansia. Ma è tutto invisibile, tutto nascosto, tutto rinchiuso nelle recondite profondità del povero soggetto ansioso; non possiamo nemmeno puntare un dito e indicare le maniche scomposte del ma...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Le emozioni hanno ragione
  4. Vita segreta delle emozioni
  5. Nostalgia. L’emozione dal passato morboso
  6. Rimpianto e rimorso, ovvero: confesso che ho vissuto
  7. L’ansia è una domanda
  8. Compassione, ovvero: scoprirsi umani
  9. Antipatia, l’emozione inconfessabile
  10. Ira funesta o ira molesta?
  11. Invidia: l’occhio e il malocchio
  12. Gelosia, paradosso e supplizio
  13. Meraviglia, da cui nasce la filosofia
  14. «Felicità raggiunta, si cammina | Per te sul fil di lama»
  15. Gratitudine, il senso di essere al mondo
  16. Bibliografia
  17. Il libro
  18. L’autrice
  19. Della stessa autrice
  20. Copyright