Il caso Potenzoni
eBook - ePub

Il caso Potenzoni

  1. 240 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il caso Potenzoni

Informazioni su questo libro

Mercoledí 10 giugno 2015. Daniele Potenzoni è a Roma per partecipare a un'udienza del papa. Ha trentasei anni, vive in Lombardia e soffre di un disturbo mentale. Un attimo prima di prendere la metropolitana, nella confusione generale, il suo gruppo lo perde di vista e Daniele scompare. Suo padre, però, non ha mai smesso di cercarlo. E con lui un'intera comunità che si è mobilitata.Una vicenda di cronaca che da anni tiene col fiato sospeso l'Italia. Un caso che è ancora un mistero, raccontato dalla storica conduttrice di Chi l'ha visto? che lo ha seguito fin dal primo giorno. Doveva essere una breve gita lontano dalla famiglia e dal paese dell'hinterland milanese in cui era cresciuto, un'esperienza importante da condividere con gli altri pazienti psichiatrici del centro che frequentava ogni giorno. Invece dal suo viaggio nella capitale Daniele non è piú tornato. Era già scomparso una volta, molto tempo prima. Aveva diciassette anni, doveva recarsi per lavoro in un magazzino ma non ci era mai arrivato. Suo padre Francesco lo aveva ritrovato ore dopo in un parco, seduto su una panchina che guardava nel vuoto, incapace di reagire agli stimoli. È stato quel giorno che si sono manifestati i primi sintomi di un disturbo rimasto a lungo senza nome. Partendo dal racconto dei primi anni di vita e passando per la scoperta della malattia, Federica Sciarelli arriva a ricostruire il momento cruciale della sparizione. E restituisce al protagonista di questa storia una voce che si è smarrita con lui, quella voce che la famiglia Potenzoni e i tanti che hanno preso a cuore la sua vicenda sperano ancora di poter sentire.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2021
Print ISBN
9788806250645
eBook ISBN
9788858437247
Parte prima

Nel corpo di un ragazzo

1979: da dentro a fuori!

Eccomi qua, appena uscito dalla pancia della mamma. Non sono spettinato perché non ho i capelli, ma un po’ di grinze confesso che ce le ho. Mica è stata una passeggiata uscire indenne da questo tubo di carne morbido e stretto. E non sono proprio sicuro di voler lasciare quel posto meraviglioso in cui mi trovavo, cosí caldo e umidiccio.
Qui fuori mi sembra che ci sia un freddo secco della malora. Vabbe’, ci provo, mi stacco dalla mamma. Voglio vedere che cosa c’è in giro.
Zac! Un colpo di forbici e sono definitivamente un io, autonomo e indipendente. Quel cordone chissà che fine fa; un cordone bello tosto per essere il mio ultimo impedimento prima della tanto agognata autonomia. Mi dicono che è molto prezioso. Sarà, ma per me era il filo magico che mi univa senza scampo a una donna che mi ha concepito e mi ha tenuto nascosto per un bel po’ di tempo. Si sa, le mamme non ti vogliono lasciare andare. Le trovano tutte, persino un laccio tra loro e te. Ma ecco un colpo di forbici e la mia mamma deve gettare la spugna.
Aspettami, vita. Aspettatemi, amici. Aspettatemi, genitori adorati. Mi rifaccio il look per non presentarmi stropicciato e arrivo da voi.
Respiro, respiro, respiro.
Da solo, da solo, da solo.
Oddio, mi viene da piangere!
Che figura! Mi sono messo a frignare come un ragazzino, strillavo cosí tanto che ho pensato di spaventare tutti. Eppure ogni strillo giú una risata, espressioni allegre di medici e infermieri come se stessi scherzando. Cos’hanno da ridere se piango come un vitello? Cosa ci sarà da ridere in questo mio imbarazzante primo dramma umano?
Neanche sono nato e già mi metto a piangere, che vergogna! Non male, però, è stato un pianto irresistibile, liberatorio, consolatorio. Appena la smetto vi faccio vedere chi sono.
Mi chiamo Daniele, è il 29 aprile del 1979, e il mio segno zodiacale è…? Boh, tocca che qualcuno mi informi, ma questi non fanno altro che dare pacche sulle spalle a quello che dovrebbe essere il mio papà. Anche lui piange, e non capisco perché visto che ha fatto tutto la mamma con il sottoscritto.
A proposito, fammi dare uno sguardo a questa bellezza che mi ha tenuto dentro di sé per nove lunghissimi mesi. Ciao mamma. Io sono Daniele. Sono uscito dalla tua pancia e ora puoi riposare. Sei stanca, ti vedo affaticata. Adesso dormi, io resto qui appoggiato a te. Ti coccolo io, mi tengo stretto a te cosí fai sogni belli…
Ehi, perché mi portate via?! Voglio stare con la mia mamma! Bastarda di un’infermiera! Bastardo di un medico che ha dato l’ordine.
Ma dove mi state portando? Mi rapiscono il primo giorno di vita? Oddio, quanta acqua addosso, e che cos’è tutto questo muco che scivola via dalla mia pelle. Devo essere proprio sporco. Allora benedetta infermiera, mi sta dando una bella ripulita. Torno come nuovo e mi godo la mia mamma. Ora però anche io vorrei riposare. Sono esausto. Non sanno che uscire fuori per guardare il mondo esterno è una grande emozione, che merita un sonno profondo.
Ciao, nuovi amici, ci vediamo fra un po’.

La mia famiglia

Mio papà si chiama Francesco, ma lo chiamano tutti Franco. Mi guarda stupito e continua a ricevere pacche sulle spalle. Mia mamma la chiamano Santina, la piccola santa, che certo come nome non è un granché moderno. Fatto strano perché sono nato alla Mangiagalli di Milano, e Santina non deve essere un nome tanto lumbard.
Se capisco bene, i miei genitori, Franco e Santina, vivono qui ma non ci sono nati. I loro genitori erano calabresi e si sono trasferiti in cerca di un buon lavoro. Io cosa devo considerarmi? Un lumbard o un terun? Seconda o terza generazione?
Per fortuna mi hanno dato un nome che non profuma o puzza (come la pensate non lo so) di meridionale lontano un miglio. Daniele è un nome neutro, potrei essere nato a Roma come a Verona, potrei essere nato a Napoli come a Torino. Faccio cosí: sarò del Nord o del Sud come capita, sento di appartenere al mondo, ma che dico al mondo, all’universo. Sono cittadino di un pianeta senza confini, e senza pregiudizi. Sono Daniele.
Daniele Potenzoni. Ma che cavolo di cognome è? Potenzoni sono i cittadini di Potenza? Mica sarò della Basilicata, regione piccola, fredda, e pure difficile da raggiungere!
Meglio dare un’occhiata alla stanza. Non vedo fratelli o sorelle in giro. Ma tanti zii, e anche una zia. Aspettate che li conto: sei fratelli e una sorella. Cari nonni, vi siete dati da fare! Meglio cosí, vuol dire che avrò un sacco di regali a Natale. Franco, il mio papà, deve essere uno degli ultimi arrivati, è piccolino. Si vede che la nonna non aveva piú energia. Per ogni zio che si avvicina, ecco un’altra pacca sulle spalle. Solo la zia lo abbraccia senza ammaccarlo oltre.
Ah, finalmente ho capito. Sono il primogenito e sono maschio.
Insomma, sono meridionale a tutti gli effetti. Se ero femmina tutte queste pacche a papà non gliele davano.
Sono inondato di cuffiette azzurre, di canottierine azzurre, di scarpettine azzurre, di calzoncini azzurri. E se a me piaceva il rosa?!
L’unico momento di pace è quando arriva la cena, mamma mangia e poi si addormenta. Spengono le luci e mi adagiano in uno strano lettino con tanto di sbarre. Prima ero prigioniero del liquido amniotico nella pancia di mamma, ora sono prigioniero di un giaciglio a prova di salto. Ma non sanno che non scavalcherei mai; mi sento ancora bambino, insicuro, ho voglia di conoscere gli zii, i nonni e il resto della famiglia, ma con calma. Dopotutto ho solo due giorni di vita, posso prendermela comoda. Anche se tutti intorno a me camminano, io non ho nessuna intenzione di sfasciarmi le gambette minute. Me ne sto dentro questo lettino con grande piacere. È morbido, e la copertina è calda. Buonanotte.
Terzo giorno di vita. Sono un neonato di soli tre giorni. Controllano per bene ogni cosa: che respiri, che prenda il latte dalla tetta della mamma, che dal pisellino esca acqua e dal buchetto di dietro qualcosa di piú solido. Faccio un sacco di rumori sgradevoli, ma ogni volta che dal mio piccolo stomaco qualcosa di roboante arriva alla bocca ed esce fuori, ecco di nuovo sorrisi e complimenti.
– Un ruttino! Ha fatto un ruttino! Evviva!
Ancora non sono consapevole che se lo fai da grande, il ruttino, ti becchi uno schiaffo o l’espressione schifata di chi ti sta davanti. Ma siccome per ora non lo so, non me lo godo. Mi turba questo rumore assordante e sproporzionato rispetto alle mie piccole dimensioni umane. Invece dovrei sentirmi sollevato, importante, e soprattutto capace di destare, con un semplice ruttino, la massima attenzione da parte di mamma, papà, nonna, nonno, zii, cugini, e anche degli estranei presenti in un momento tanto speciale, quasi magico.
Un po’ meno felicità vedo nei loro occhi quando mi tolgono il pannolino. Al posto dei sorrisi ammiccanti arrivano smorfie e sospiri. Qualcuno dice: che puzza. Qualcuno aggiunge: che puzza per uno cosí piccolo.
Non so ancora cosa sia la puzza, come non so cosa sia il ruttino. Ma sono beato perché ogni mio movimento, sospiro, rumore, rigurgito merita uno studio approfondito. Si cerca la consistenza, il colore, mi si batte la schiena dolcemente, mi si sorride, mi si incoraggia, mi si adora.
Penso che sarà per sempre cosí, io al centro di ogni attenzione. Non immagino nemmeno che potrebbe non essere piú la stessa cosa.
Stiamo per lasciare la Mangiagalli, stiamo per andare a casa.
Mamma si è vestita a fatica. È l’inizio di maggio e non fa piú tanto freddo. Papà viene a prenderci con l’auto e parcheggia davanti all’ingresso dell’ospedale. C’è un gran viavai. Macchine che si fermano e altre macchine dietro che aspettano, guidatori esasperati che suonano il clacson come potesse liberarsi la strada all’istante. È tutto nuovo per me, e questo rumore mi dà fastidio; preferivo il fruscio dell’acqua dentro la pancia di mamma. Era tutto cosí ovattato che mi pareva non esistesse altro fuori. Devo dire che la pancia è come un grande insonorizzatore per band musicali. O ero io che non avevo ancora le orecchie?
Un po’ di pazienza, ragazzi, sto uscendo dall’ospedale e ho solo tre giorni. Datemi il benvenuto e non fracassatemi i timpani!
Niente da fare, non mi ascoltano. Da questo momento sono un moccioso da spostare di qua e di là, ogni cosa a un orario prestabilito: pappetta, ruttino, riposino, cacchetta, riposino, pappetta, ruttino, riposino.
Ma non sanno che non ho alcuna intenzione di rispettare le regole.
Sono ancora in automobile, quando mi rendo conto che stiamo uscendo dalla città. Un cartello indica Caleppio. Scopro cosí che non abito a Milano ma a circa venti chilometri. Ho origini calabresi, di cognome faccio Potenzoni, abiterò alla periferia della periferia. Sarà un bel posto? Be’, se è la mia casa, sarà sicuramente un bel posto.
Mamma si sforza di scendere dall’auto da sola e sale le scale piano piano. Papà è carico di borse. Qualcuno mi prende in braccio; deve essere mia nonna, che è tutta ciccia e tette. Mi sento in una zona cosí soffice che quasi quasi le chiedo se posso rimanere cosí: incastrato in questo morbidume.
Si apre la porta, la mia casa è accogliente e carina. Ci sono anche dei fiocchi azzurri ad attendermi. I vicini applaudono e mi dànno il benvenuto. C’è odore di fresco e di pulito in giro. Non piú quel misto di candeggina, alcol e disinfettante nauseabondo che sentivo in ospedale. La...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il caso Potenzoni
  4. Parte prima. Nel corpo di un ragazzo
  5. Parte seconda. La malattia
  6. Parte terza. La scomparsa
  7. Postfazione. di Gennaro Gadaleta
  8. Nota.
  9. Il libro
  10. L’autrice
  11. Copyright