Quella notte Francesco aveva fatto un brutto sogno: era seduto al centro di una piazza, la città sembrava Roma ma non aveva tutti i connotati classici della capitale, attorno a lui c’erano decine di panchine vuote. Era giorno, ma diventava notte d’improvviso, nel giro di pochi minuti. A quel punto si sentiva chiamare: era Emma, lui la cercava ma le poche luci dei lampioni non bastavano a fargliela trovare. Si guardava attorno, ma non si muoveva: sapeva che non poteva superare il perimetro dentro il quale era costretto. La piazza era contornata da una strada che di colpo diventò un fosso pieno d’acqua, al di là del quale apparve Marta; poi si sentà chiamare di nuovo, la voce era di Sara. In preda al panico Francesco cominciò a urlare i loro nomi finché le vide tutte e tre davanti a sé, oltre il fosso.
«Papà aiutaci», gridavano in coro, e gli tendevano la mano.
Lui si alzava a fatica dal suo posto, allungava a sua volta una mano, ma sapeva di essere troppo lontano e che non ce l’avrebbe mai fatta a raggiungerle. Cosà si affidò alla sua volontà : scattò verso il fosso deciso a saltarlo, ma appena spiccato il volo capà di aver calcolato male le distanze.
Si svegliò prima di precipitare in acqua, con le voci delle figlie che lo chiamavano accorate: era sudato, col fiato corto e aveva una sete micidiale.
Si alzò dal letto che erano appena le sette, bevve un bicchiere d’acqua ma poi preferà mettere il caffè sul fuoco, mentre appoggiava la testa sul tavolo per gli ultimi scampoli di riposo.
– Fatto tardi, ieri sera? – Era Sara, inaspettatamente sveglia a quell’ora del mattino.
Francesco sobbalzò: non si aspettava che le sue figlie potessero essere cosà mattiniere.
– Sara! Come mai già in piedi? – le chiese.
– CosÃ… Mi sa che me ne vado a correre, – rispose lei.
– Io ho fatto tardi, – affermò Marta facendo il suo ingresso in cucina e sbadigliando.
Francesco la guardò meravigliato.
– Io invece ho fatto presto, – disse Sara sedendosi al tavolo.
– Come è andata con il geometra? – domandò Marta prendendo le fette biscottate dalla credenza.
– Fino a metà cena tutto perfetto… Sembra facilissimo far felice un uomo, basta che lo lasci parlare e lui va tranquillo senza mai chiedersi se quello che dice ti interessa minimamente. Mi ha spiegato tutto sui valori catastali in caso di compravendita, – raccontò Sara.
– Può sempre tornare utile, – ironizzò Francesco.
– La cosa si è complicata un po’ quando siamo arrivati a parlare degli ex: ho dovuto cambiare tutti i nomi e gli aggettivi, girandoli al maschile in tempo reale, ma piú o meno me la sono cavata… qualche difficoltà con alcuni nomi tipo Monico, Margherito, Lauro: suonavano un po’ male…
Marta rise e si sedette accanto alla sorella.
– Ma perché voi etero finite sempre per parlare delle ex alle prime uscite? – continuò Sara.
– È un classico: ci piace sapere con chi saremo paragonate da là in poi, – spiegò Emma facendo il suo ingresso col pigiamone di Hello Kitty, retaggio del tempo che fu.
– Si vede che è figlia di uno psicanalista, – commentò Francesco soddisfatto.
Emma sorrise e tirò fuori il succo d’arancia dal frigorifero.
La caffettiera fischiò.
– Sei arrivata giusto in tempo. Spegni il caffè, va’, – le chiese Marta. – E poi? – continuò con Sara.
– E poi il gran finale: il geometra ha preso il conto e lo ha diviso tra noi in base alle cose che avevamo mangiato.
– Non ci credo, – disse Emma portando le prime due tazzine di caffè.
– Non ha neanche diviso tutto a metà , peggio… Ognuno, esattamente quello che ha mangiato. A me veniva piú caro perché ho preso il Pata Negra, – spiegò Sara.
– Pure tu, prendi il Pata Negra! – commentò Francesco.
– È proprio quello che ha detto lui…
– Ma chi è questo? – domandò Emma portando i caffè rimanenti e sedendosi.
– Andrea, un mio amico, – spiegò Marta alzandosi a prendere la marmellata e un coltello, – ma posso farmi perdonare…
Si sedette di nuovo, prese il cellulare e fece vedere alla sorella la foto di un uomo piacente, la barba un po’ incolta, gli occhi verdi.
– E chi è? – chiese Sara.
– Roberto! Lui è perfetto, – rispose entusiasta la sorella.
– Ho giurato che avrei smesso con i tuoi amici.
– Ma questo non può fallire, si è appena lasciato con la fidanzata, – disse Marta spalmando la marmellata su una fetta biscottata.
– Ed è un bene? – chiese Sara soffiando sul suo caffè.
– Per me c’è la magagna, – commentò Francesco ironico.
– Macché, è nel suo periodo di transizione. Quelli single a quest’età bisogna acchiapparli subito prima che se li prenda qualcun’altra, – lo zittà Marta sgranocchiando la sua colazione.
Sara guardò il padre con fare interrogativo.
– Te devi sbriga’, amore mio, prima che se lo piglia un’altra, – concluse lui.
– Infatti ci esce questa sera. Muore dalla voglia di conoscerti, – annunciò Marta su di giri.
– Questa sera? – chiese Sara in apprensione.
– Mi raccomando, non te lo devi far scappare.
– Se lo dite voi… – commentò ancora Francesco.
– A te invece com’è andata? – chiese Sara a Marta.
Marta guardò l’orologio.
– Stamattina devo uscire presto, mi aspettano la banca e la posta. Bene. Poi ne parliamo, – tagliò corto. Ingollò il caffè rimasto e si alzò dal tavolo.
– Nessuno vuole sapere perché papà ha preso Diego per un orecchio? – chiese Emma sorseggiando il succo d’arancia.
Sara sgranò gli occhi.
– M’ha chiamato «cesso», – sintetizzò Francesco alzandosi a sua volta dal tavolo e lasciando le figlie sole in cucina.
Sara cominciò a ridere, Emma alzò le spalle come a dire: «Che ci vuoi fare?»
Quel giorno, il primo paziente, Francesco ce l’aveva alle nove, cosà si preparò con calma, bevve un secondo caffè e uscÃ, direzione studio.
Fu una mattinata intensa e fu ben felice di lasciarsi alle spalle i problemi d’amore delle coppie per una pausa pranzo alla sua maniera prima del paziente delle tre.
Era seduto al tavolino del Bar del Fico, ombreggiato dall’omonima pianta, e aveva ordinato da almeno dieci minuti quando arrivò il cameriere: – Ecco a lei, doppio cheeseburger, uova, cipolla, insalata e una birra ghiacciata.
– Il bacon ce l’hai messo? – chiese Francesco preoccupato.
– Abbondante, – lo rassicurò il cameriere.
– Bravo, c’ho una fame…
Francesco prese tra le mani il suo mega panino: stava per azzannarlo quando vide Claudia passare dall’altra parte della strada. Il primo morso rimase in sospeso e Francesco cominciò ad agitarsi sul posto.
Voleva fermarla, parlarle, ma non sapeva né come fare né cosa dire; alla fine decise d’alzarsi, avrebbe improvvisato.
La vide girare l’angolo di un palazzo ed ebbe un’illuminazione: Massimo Troisi, Ricomincio da tre, 1981. Iniziò a correre nella direzione opposta a quella di Claudia, sempre attorno al palazzo: l’incontro doveva sembrare del tutto casuale, non se la sentiva di essere bollato come stalker a cinquant’anni suonati.
Scelse i tempi in maniera perfetta: rallentò dieci metri prima di svoltare, girò l’ultimo angolo e se la trovò davanti: vestitino a fiori, scarpe col tacco, borsa di Chanel, niente cane.
– Buongiorno, – lo salutò lei sorpresa nel vederlo.
– Buongiorno, – rispose lui mentre riprendeva fiato.
– Ha corso? – gli chiese lei.
– Ho fatto le scale. Ci davamo del tu mi pare… – disse ancora respirando a fatica.
– Giusto… Lo sa che lei, che tu… sei l’unico amico d’i...