Una piccola camera da letto al piano superiore della casa del reverendo Samuel Parris, a Salem, nel Massachusetts, nella primavera dell’anno 1692.
A sinistra, un’angusta finestra. Attraverso i pannelli di vetro incorniciati di piombo splende la luce del sole mattutino. Una candela è ancora accesa vicino al letto, che si trova a destra. Un cassone, una sedia e un piccolo tavolo costituiscono il resto dell’arredamento. In fondo, una porta conduce al ballatoio della scala che scende al pianterreno. La camera dà un’impressione di semplicità e di pulizia. Ben visibili le travi del tetto, di legno grezzo e non ancora stagionato.
Quando si apre il sipario, il reverendo Parris è inginocchiato accanto al letto, nell’atto di pregare. Sua figlia, Betty Parris, di dieci anni, è distesa, inerte, sul letto.
Al tempo di questi fatti Parris era sulla quarantacinquina. Egli si comportò nella realtà in modo spregevole e ben poco si può dire in suo favore. Parris riteneva di essere stato sempre ingiustamente perseguitato nonostante gli sforzi che aveva fatto per conquistarsi la simpatia della gente e del Signore. Bastava che un fedele in chiesa si alzasse per chiudere la porta senza aver chiesto prima il suo permesso perché Parris si sentisse offeso. Parris era vedovo e non amava i bambini né sapeva come trattarli. Li considerava dei piccoli adulti; e prima di essere coinvolto in questa strana vicenda (come del resto ogni abitante di Salem), non gli sarebbe neppure passato per la mente che i bambini potessero fare altro che esser grati per il permesso che veniva loro concesso di camminar dritti, con gli occhi bassi, le braccia lungo i fianchi e la bocca chiusa fin quando non fossero sollecitati a parlare.
La sua abitazione si trovava al centro della «città» che oggi chiameremmo appena villaggio. La chiesa era lí accanto, e da quel punto (verso la baia come verso l’interno) si vedevano poche case scure, con le finestre minuscole, ammucchiate l’una contro l’altra quasi a proteggersi dal rigido inverno del Massachusetts. Salem era stata fondata appena quarant’anni prima. Nel mondo europeo si diceva che l’intera provincia era una frontiera barbarica abitata da una setta di fanatici, i quali però esportavano prodotti che a poco a poco aumentavano in quantità e valore.
Non ci è dato di sapere con esattezza come si svolgesse la vita degli abitanti di Salem. Non c’erano romanzieri tra di loro; e d’altra parte nessuno avrebbe avuto il permesso di leggere un romanzo, ammesso che avesse potuto procurarselo. La religione proibiva qualsiasi attività che rassomigliasse a un teatro e simili «vuoti piaceri». A Natale non si facevano feste e il giorno di riposo comportava semplicemente il dovere di una maggiore dedizione alla preghiera.
Con ciò non vogliamo dire che nulla al mondo potesse variare questo modo di vivere sobrio e severo. Quando veniva ultimata la costruzione di una casa nuova ad esempio, si radunavano gli amici per fare «un po’ di baccano». Si ammannivano cibi speciali e si arrivava a volte perfino al punto di far circolare una brocca di sidro. Esisteva a Salem un discreto numero di fannulloni che giocavano a shovelboard nella taverna di Bridget Bishop. Probabilmente, piú che la fede, era la durezza della vita a mantenere la rigidezza dei costumi: quella gente infatti era costretta a lottare con eroismo contro la terra per strapparle ogni chicco di grano. Non restava quindi a nessuno molto tempo per i divertimenti.
A Salem c’erano però delle persone frivole; prova ne sia ch’era stato necessario costituire una pattuglia di due uomini il cui compito era quello di «fare la ronda durante il servizio religioso per notare chiunque indugiasse nelle vicinanze della chiesa incurante delle leggi e degli avvertimenti, o chiunque restasse a casa o nei campi e non fosse in grado di darne una lecita giustificazione, e di registrare i nomi delle suddette persone e comunicarli ai magistrati onde potessero essere presi provvedimenti a loro carico».
Questa predilezione ad impicciarsi negli affari altrui era una tradizione del popolo di Salem, e indubbiamente contribuí non poco a creare quella diffidenza che senza dubbio alimentò la follia collettiva che sarebbe seguita. Essa costituiva anche, a mio parere, una delle cose contro cui un uomo come John Proctor doveva ribellarsi; il periodo di emergenza poteva infatti considerarsi superato. Il paese aveva raggiunto una certa (se non completa) sicurezza e le antiche misure disciplinari incominciavano a pesare. Ma come avviene sempre in situazioni di questo genere, l’esigenza non si presentò subito con evidenza, poiché il pericolo era ancora possibile, e l’intransigenza quindi poteva essere ancora la migliore garanzia di sicurezza.
Il confine della foresta era vicinissimo. Il continente americano, che si estendeva sterminato verso occidente, era, agli occhi degli abitanti di Salem, pieno di mistero. Lo sentivano alle loro spalle, oscuro e minaccioso, di notte e di giorno, e da esso sbucavano fuori di tanto in tanto le tribú indiane che si davano al saccheggio. Alcuni parrocchiani del reverendo Parris avevano avuto dei parenti uccisi da quei selvaggi.
La mentalità degli abitanti di Salem era, in parte, responsabile della mancata conversione dei pellirosse. Tutto sommato era preferibile rubare la terra a dei pagani piuttosto che a dei fratelli neo-cristiani. Sta di fatto che pochissimi indiani furono convertiti, e il popolo di Salem continuò a credere che la foresta vergine fosse l’ultima riserva di caccia del Diavolo, la sua fortezza, il suo estremo baluardo. A giudizio degli abitanti di Salem, la foresta americana era l’ultimo dei luoghi della terra dove non si rendeva omaggio a Dio.
Per queste ragioni, fra le tante altre, gli abitanti di Salem avevano l’aria di essere votati alla resistenza e perfino alla persecuzione. Non si può negare che i loro padri fossero stati perseguitati in Inghilterra. Di conseguenza essi e la loro chiesa si sentivano ora obbligati a negare la libertà alle altre sette, quasi temessero che la Nuova Gerusalemme potesse essere deturpata e corrotta da mali costumi e false idee.
In conclusione, gli abitanti di Salem credevano di tenere saldamente in mano la fiaccola che doveva portar la luce al mondo intero. Noi americani abbiamo ereditato questa fiducia, che ci è stata utile, e nello stesso tempo nociva. Fu utile al popolo di Salem perché contribuí a dargli una disciplina. Erano, per lo piú, uomini pieni di devozione e non potevano essere che cosí, per sopportare la vita che si erano scelta, o alla quale erano nati, in quella terra.
La prova dei vantaggi che trassero dalla loro fede la troviamo nel carattere, del tutto diverso, della prima colonia di Jamestown, piú a sud, nella Virginia. Gli inglesi che vi approdarono erano spinti soprattutto dalla sete di guadagno: non avevano altro obbiettivo che di raccogliere le ricchezze del nuovo mondo e di portarle in Inghilterra. Erano individualisti, e molto piú simpatici degli uomini del Massachusetts, ma la Virginia li distrusse. Il Massachusetts tentò di distruggere i Puritani, ma questi si mantennero uniti, dando origine ad una società che inizialmente altro non fu se non un campo armato, governato in forma autocratica, ma con grande onestà. Questa società, non dimentichiamolo, era un’autocrazia per consenso, e i suoi componenti erano uniti, dal primo all’ultimo, da una comune ideologia la cui perpetuazione era la ragione e la giustificazione di qualsiasi sofferenza. L’abnegazione, la risolutezza, la diffidenza di fronte alle «vanità del mondo», la rude giustizia di questi uomini furono strumenti perfetti per la conquista di quella terra ingrata.
Il popolo di Salem del 1692 però non era costituito dalla stessa gente devota sbarcata dal Mayflower. Un profondo mutamento si era verificato: la rivoluzione aveva rovesciato il governo regio sostituendolo con una giunta che deteneva in quel momento il potere. Un periodo cioè che deve essere apparso addirittura ...