Le ombre si vanno allungando sul pavimento di marmo della sala; quando un colpo di vento solleva i pesanti tendaggi verdi facendoli ondeggiare, si vede l’oscura ombra del cipresso toccare quasi la parete opposta; il sole sta finalmente declinando verso l’orizzonte. La notte porterà un po’ di refrigerio, pensa Pilato.
Ha appena finito di dettare alcune lettere al segretario, vorrebbe chiamare l’ancella Didia Clara per avere notizie di sua moglie ma non osa farlo; pensa che piú tardi salirà direttamente negli appartamenti per tentare una riconciliazione. Non è tollerabile che la vicenda di un povero pazzo turbi la loro unione. Come fa abitualmente, percorre nervosamente su e già la sala, progetta di riconquistare Claudia facendo leva sulla sua sensualità. Apre un tendaggio, gli schiavi stanno finendo di ripulire il cortile lastricato, tra poche ore il sole scomparirà e comincerà il riposo del sabato, una delle poche usanze locali che il procuratore apprezzi, una ventina d’ore di silenzio e di calma.
L’egiziano Ofir si avvicina silenziosamente sulle sue babbucce, s’inchina, fa cenno di voler parlare a bassa voce. Pilato malvolentieri si piega avvicinandosi con un piccolo moto di ripugnanza alla sua bocca.
– Un autorevole fariseo chiede di conferire.
– Che vuole?
– Ha detto solo che si tratta di cosa importante e molto urgente.
– Il nome?
– Joseph Ha-Ramati. Noi diremmo Giuseppe di Arimatea, dell’altopiano.
Pilato ne sapeva quanto prima, la tentazione è di rispedire Ofir con l’ordine di cacciare l’importuno.
– Ha detto che la notizia porterà pace a tutti, – aggiunge l’egiziano.
– È persona di riguardo?
– È un distinto consigliere, veste con eleganza, ha modi urbani.
– Fallo entrare, – concede mentre s’avvia a sedere sul seggio curule.
Joseph è un uomo di bell’aspetto nel pieno della maturità, entra con passo rapido, riesce a porgere un saluto rispettoso mentre avanza verso il fondo della sala. Fa le due cose insieme e questo dispone benevolmente Pilato. Tanto piú che arrivato a tre passi dalla pedana l’uomo s’inchina profondamente e in un greco perfetto ringrazia.
– Avermi ricevuto è un segno di cortesia di cui conserverò a lungo memoria, procuratore.
– Di che si tratta?
– Chiedo di poter dare sepoltura a uno dei condannati al supplizio della croce.
Pilato sobbalza, ancora quel profeta; non s’aspettava una richiesta del genere, ultima coda di una vicenda che lo sta travagliando ormai da quasi ventiquattr’ore.
La prima reazione è di rifiuto.
– Non è semplice. Ci sono delle procedure da rispettare, tempi, modi –. Odia parlare in greco, si sente a disagio. Fa cenno a Ofir, gli ordina di convocare Nikephoros.
– Sicché lei è un fariseo. Che vuol dire esattamente?
Adesso è Joseph a essere stupito dalla richiesta.
– Intende il nostro modo…
– Sí, di vedere la vita, gli uomini, dio. La vostra filosofia insomma, si parla molto di voi, non sempre bene.
Joseph resta alquanto sovrappensiero prima di parlare.
– Devo riassumere in poche frasi il succo di una dottrina lungamente maturata. Non facciamo alcuna concessione alla mollezza. Seguiamo i precetti della nostra fede dando la piú grande importanza alla Legge. Nutriamo deferenza verso gli anziani. Riteniamo che ogni cosa sia governata dal destino che però non vieta alla volontà umana di fare quanto la volontà e le circostanze consentono , essendo piaciuto a Dio che il volere degli uomini, con le sue virtú e i suoi vizi, sia ammesso alla camera di consiglio del destino. Crediamo nella resurrezione perché come dice Isaia, 26, 19: «Di nuovo vivranno i tuoi morti, risorgeranno i loro cadaveri. Si sveglieranno ed esulteranno quelli che giacciono nella polvere». Crediamo all’immortalità delle anime…
Pilato, che aveva ascoltato con indifferenza quella sfilza di giaculatorie, a questo punto ha una reazione.
– Se credete all’immortalità delle anime che importanza ha la sepoltura di un corpo divenuto ormai una vuota carcassa? Tanto vale abbandonarlo ai corvi.
– La Legge lo impone, e la pietà. Non possiamo tollerare che il corpo di un essere umano finisca in pasto alle belve che si aggirano la notte e ai rapaci che scendono dal cielo avidi di carogne.
Nikephoros, appena entrato, prende posizione sul lato sinistro del seggio in attesa di disposizioni.
– Il nostro ospite chiede di poter dare sepoltura a uno dei condannati di oggi.
– Quel condannato? – chiede allusivamente il consigliere.
– Joshua Ha-Nozri, – replica immediatamente Joseph.
– Il nostro diritto prevede che al condannato non si dia sepoltura dopo la crocifissione, – risponde Nikephoros. Prende fiato, aggiunge: – La sepoltura non autorizzata di un uomo crocifisso è un delitto.
– Se non è autorizzata. Ma chi può autorizzarla?
– A Roma l’imperatore o i suoi funzionari; nelle province il governatore.
Pilato s’aspettava che aggiungesse o un suo funzionario, per esempio il procuratore; questo però il consigliere non l’ha detto; comunque lo si può intendere sottinteso. È una concessione che forse potrebbe addolcire Claudia, smorzandone il risentimento.
Quasi che abbia letto nel suo pensiero, Nikephoros si affretta a precisare:
– In ogni caso dev’essere constatato senza incertezze o dubbi l’avvenuto decesso del condannato per ragioni che non devo certo chiarire.
– La morte è stata accertata, – dice Joseph. – Posso testimoniarne.
– Dobbiamo farlo secondo le leggi di Roma, chiama il centurione che ha guidato il drappello.
Altre attese, altra noia; Pilato fa aprire del tutto le tende, s’è levata una lieve brezza e già veder muovere le fronde dei cipressi, ondeggiare le rose alte sulla spalliera, dà un certo sollievo, il seggio curule è imponente ma duro e rigido, molto scomodo.
Il centurione arriva trafelato, il viso profondamente segnato dalla stanchezza, abbozza con una certa approssimazione il saluto regolamentare. È chiaro che vorrebbe solo togliersi di dosso quella ferraglia e distendersi su un qualunque giaciglio. Nikephoros gli rivolge la parola.
– Comandavi il drappello sulla collina del teschio detta Calvario durante l’esecuzione dei condannati?
Il militare annuisce.
– Ne hai potuto constatare la morte?
Altro cenno d’assenso.
– Come fai a esserne certo?
Finalmente il centurione apre bocca.
– Ai due ladri sono state spezzate come prescritto le ossa dei femori, non hanno reagito. All’altro è stato inferto un profondo colpo di lancia all’altezza del costato, non ha reagito nemmeno lui.
– C’è stata emorragia?
– Un po’ di sangue, un po’ di liquido incolore e basta.
Nikephoros guarda il procuratore per chiedere come valuti il rapporto. Pilato fa cenno che il militare può essere congedato.
– Può seppellire il suo amico, se vuole, – concede.
– Dev’essere fatto prima che spunti la prima stella dello shabat, era questa l’urgenza. La mia riconoscenza è grande. Posso andare?
– Aspetti. Lei è un membro del Sinedrio. Era presente alla riunione di ieri notte?
– Sí, ero presente.
– Dimostri la sua riconoscenza dicendomi la verità. Era una convocazione informale, una sorta di discussione preliminare o c’è stato un vero processo?
Joseph Ha Ramati s’irrigidisce, cerca la via diplomatica.
– C’è stata una discussione. Alcuni volevano incolpare il profeta per aver bestemmiato, altri non erano d’accordo.
– Lei?
– Io e altri siamo rimasti in minoranza. Il resto lo sa.
– Minoranza significa dissenso. Ma non lo avete espresso. Perché?
– Per dare una risposta breve perché era inutile. Per essere piú articolato perché non siamo stati capaci di organizzarlo, il dissenso.
Pilato accenna un gesto di congedo.
Ecco un’altra menzogna che quella coppia di lestofanti gli ha raccontato. L’ira, che deve dissimulare, gli sale al viso imporporandolo.
Nel momento in cui Joseph Ha-Ramati lascia la sala accompagnato da Nikephoros, entra Kyrillos, reduce a sua volta da un’ispezione sul luogo dell’esecuzione. Conferma che i tre condannati sono morti, sa già della richiesta di tumulazione.
– È un uomo ricco, – dice. – Possiede un sepolcro mai usato a poca distanza dal patibolo, credo che vogliano deporvi il corpo del condannato.
– Mi dicevi che quell’uomo aveva molti seguaci. È strano che sia venuto qui un estraneo invece di qualcuno dei suoi discepoli.
– Sono nascosti procuratore. Hanno paura di fare la stessa fine del loro maestro, se vuoi possiamo arrestarli, le spie ci hanno già indicato alcune case dove si sono rifugiati.
– Non vale la pena, Kyrillos. Con la morte del maestro se ne torneranno ai loro mestieri, spariranno dalla circolazione. La loro avventura con oggi è finita, di questa brutta storia nessuno sentirà piú parlare. Resterà solo il nostro verbale, sepolto negli archivi imperiali, come in una tomba.
Kyrillos si ritira. Pilato, rimasto solo, ricomincia ad andare su e giú per la sala massaggiandosi il ventre. Alcuni raggi di sole fendono come lame gli alti tendaggi rivelando nella loro traiettoria uno spento tremolio di polvere.
Si sente meglio e sta cominciando a delineare un possibile disegno. Deporre il sommo sacerdote, accusarlo di ruberie e malversazioni, sottoporlo a giudizio, condannarlo alla croce o all’esilio; quale pena si vedrà. Al suo posto mettere quel fariseo, Joseph, che gli ha fatto un’ottima impressione.
Una notte ovattata di silenzio è scesa su Gerusalemme dopo gli assordanti clamori, la polvere, le grida, il sangue, il dolore. Caio Lucilio è sceso nei giardini della residenza, insegue con lo sguardo la danza smeraldina delle lucciole. Siede come fa spesso accanto alla fontanella ai piedi della statuetta di Mercurio. Ama quella divinità cosí cordiale, gli piace la sua disinvolta velocità negli scambi, l’abilità nei commerci, l’astuta attitudine al sotterfugio raramente malevola. Si tende sempre ad apprezzare ciò che non si ha, pensa. Piacerebbe anche a lui essere abile nella contrattazione e nei commerci come vede fare nei mercati; non gli è mai riuscito. Il fruscio prodotto dallo zampillo è il suono piú vicino; tra le fronde piú alte si leva di tanto in tanto il ...