Il ritorno di Coniglio
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Il ritorno di Coniglio

  1. 504 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il ritorno di Coniglio

Informazioni su questo libro

Abbandonati i sogni della giovinezza, sportivi e non, Harry Angstrom detto «Coniglio» si avvicina a grandi passi verso l'età matura. E quando la moglie Janice lo abbandona per un altro uomo, Harry, rimasto solo con il figlio tredicenne, precipita in una spirale di depressione e incertezza. Finché, a sconvolgere e a rimettere in gioco la sua vita, non arrivano Skeeter, un afroamericano, reduce del Vietnam e spacciatore, e Jill, una ragazzina ricca in fuga dalla famiglia. Uno scandaloso ménage a quattro, nel quale tutte le utopie e le folli derive del Sessantotto e della Summer of Love sembrano incarnarsi. *** «Un grande cesellatore di frasi, dotato di uno straordinario spirito di osservazione e di un occhio infallibile per i dettagli. Grande talento comico e perfetto cronista - nella quadrilogia di Coniglio - di quarant'anni di vita americana e dei cambiamenti sociali che li hanno scanditi. Spietato tanto verso gli uomini, quanto verso le donne. Updike ci ricorda di continuo che tutta la scrittura migliore contiene un elemento di commedia».
Ian McEwan «Ho letto Il ritorno di Coniglio e credo sia grandioso. Pensando di avere preso un abbaglio, l'ho letto di nuovo e sono giunto alla medesima conclusione».
John Cheever «Updike ci dimostra in modo incontrovertibile una semplice verità: che val la pena esaminare proprio le vite che piú passano sotto silenzio. E che invece si rivelano ricchissime di gioie e di lezioni da imparare».
Martin Amis «John Updike ricorda Flaubert per la capacità di incantarci attraverso la voce narrante, sottraendoci cosí al disgusto che potremmo provare di fronte alla vanità dei desideri umani che il suo bisturi porta alla luce».
Joyce Carol Oates

Domande frequenti

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2015
Print ISBN
9788806214760
eBook ISBN
9788858419113

1. Papà / Mamma / Luna

Ten. col. Vladimir A. Å atalov:
«Sto puntando dritto al centro».
Ten. col. Boris V. Volynov; comandante del Sojuz 5:
«Piano, non con tanta furia».
Col. Å atalov:
«Ce n’è voluta per trovarti, ma ora ti tengo».
Alle quattro in punto, gli uomini escono dalla tipografia: pallidi, spettrali per qualche attimo, abbacinati, finché la luce naturale cancella quell’espressione da continua luce artificiale che si portano dietro. D’inverno, Pine Street è già buia a quest’ora: dalla montagna che incombe sul centro stagnante di Brewer la notte cala presto; ma ora, d’estate, i bordi dei marciapiedi in granito lucente di mica, le case in fila che si differenziano soltanto per il rivestimento a chiazze in stile bastardo, i portici angusti e ambiziosi con i loro ornamenti in legno traforato, le casse grigie delle bottiglie di latte, i ginko col fogliame coperto di fuliggine e le auto lasciate ad arrostire lungo i marciapiedi fremono sotto un abbaglio che pare un’esplosione interrotta a metà. Nel tentativo di risvegliare alla vita il suo morente centro, la città ha demolito interi isolati per creare posteggi per auto, e ora desolati squarci, vivai di erbacce e di rifiuti, si aprono fra strade un tempo serrate rivelando facciate di chiese mai viste prima da lontano, creando nuove prospettive su ingressi secondari e vicoli ciechi e, soprattutto, intensificando l’ampia e spietata distesa della luce. Il cielo è sgombro di nubi ma anche incolore – un’umidità pallida e incombente – come le estati della Pennsylvania, buone soltanto a far crescere il verde. Gli uomini non si abbronzano neppure: diventano gialli, sotto uno strato di sudore.
Tra i tipografi che lasciano il lavoro ci sono un padre, Earl Angstrom, e un figlio, Harry. Il padre è prossimo alla pensione: un uomo smilzo ormai privo di ogni sovrappiú, il viso slavato per gli affanni e scavato sopra la mobile protuberanza della dentiera. Di una decina di centimetri piú alto, il figlio è piú grasso; il suo rigoglio è, per cosí dire, molliccio, pallido e arcigno. Il naso piccolo e il labbro superiore leggermente sollevato, che un tempo giustificavano il soprannome di Coniglio, sembrano ora, insieme al girovita largo e all’andatura cauta inculcatagli da dieci anni di sgobbo alla linotype, indizi di debolezza, di un cedimento all’insignificante. Sebbene l’altezza, la robustezza e una certa vivacità residua, nei movimenti del capo per esempio, ancora lo distinguano fra gli altri, sono passati ormai molti anni da quando lo chiamavano Coniglio.
– Ti va un goccio alla svelta, Harry? – chiede il padre. Sull’angolo dove la loro traversa si immette nella Weiser ci sono una fermata d’autobus e un bar, il Phoenix, con una ragazza nuda – a parte gli stivaletti da cowboy – nella insegna al neon fuori e cactus dipinti sulle buie pareti dentro. Gli autobus su cui padre e figlio salgono vanno in direzioni opposte: il vecchio prende il 16A, che fa il giro della montagna fino al centro di Mt Judge, dove lui da sempre vive con la moglie, e Harry prende il 12, che va nella direzione opposta, verso Penn Villas, un quartiere nuovo a sud della città; case tipo ranch, ampissimi prati ancora delineati dai solchi dei bulldozer e aceri striminziti ormeggiati alla terra, quasi che il vento potesse portarseli via. Vi si è stabilito con Janice e Nelson ormai da tre anni e il padre ancora considera quel trasloco, quell’abbandono di Mt Judge, una specie di rifiuto e fuga; perciò spesso il pomeriggio bevono qualcosa insieme per alleviare il dispiacere del commiato quotidiano. In dieci anni di lavoro insieme hanno sviluppato l’attaccamento che si sarebbe sviluppato quando Harry era bambino se tra loro due non si fosse levata, incombente, l’ombra della madre.
– Una Schlitz, – dice Earl al barista.
– Daiquiri, – ordina Harry. Lí dentro c’è l’aria condizionata e lui si abbassa le maniche della camicia e abbottona i polsini per stare piú caldo. Al lavoro va sempre con una camicia bianca, una maniera come un’altra per combattere e cancellare l’inchiostro. Puntualmente, un rito ormai, chiede al padre come sta la madre.
Ma il padre non dà la risposta rituale. Di solito dice: «Meglio non si potrebbe sperare». Oggi, invece, gli si avvicina di qualche centimetro, scivolandogli accanto come un cospiratore, e dice: – Si potrebbe sperare meglio, Harry.
Sono ormai anni che la affligge il morbo di Parkinson. Lui, Coniglio, scaccia l’immagine della madre, di quel che è diventata, delle mani ossute che si agitano mollemente, della camminatura strascicata, degli occhi che lo scrutano con torpido stupore (anche se il dottore dice che la mente le funziona bene come sempre) e della bocca che le si spalanca improvvisamente e rimane aperta, dimentica, finché il rivolo di saliva non la sollecita a richiudersi. – La notte, cioè? – E la domanda stessa è un tentativo di seppellire la madre nel buio.
Ma quel suo desiderio di tirar via, fregarsene, è di nuovo bloccato dal padre, che dice: – No, le notti ora vanno meglio. Sta prendendo una nuova pillola, e a sentire lei ora dorme. È piú l’idea fissa.
– Quale, papà?
– Non ne parliamo mai, Harry. Non è da lei, e poi è uno di quegli argomenti che io e lei non abbiamo mai affrontato. A certe cose io e tua madre non alludiamo mai, per via di come siamo stati cresciuti. E invece sarebbe stato meglio se ne avessimo parlato, chissà. Intendo le cose che quelle le hanno messo in testa.
– Quelle chi? – Harry sospira nella schiuma del daiquiri e pensa: È partito anche lui, sono partiti tutti e due. Sragionano, ormai. E quando il padre gli si fa ancora piú vicino per spiegare, lo vede come uno dei tanti vecchi rimbambiti, allampanati e lagnosi, che affollano la città, uomini che per una sessantina di anni hanno succhiato alla stessa tetta di mattoni e si sono seccati con lei.
– Be’, quelle che vengono a trovarla, ora che passa metà della giornata a letto. Mamie Kellog è una, Julia Arndt un’altra. Mi dispiace affliggerti con queste cose, Harry, ma tua madre comincia a farneticare, e ora che Mim è in California tu sei l’unico che mi può aiutare a schiarirmi le idee. Mi secca romperti, Harry, ma lei farnetica tanto che parla addirittura di telefonare a Janice.
– Janice? E perché dovrebbe telefonare a Janice?
– Be’ –. Un sorso di Schlitz, poi si passa il dorso ossuto della mano sul labbro superiore bagnato, le dita mezze adunche alla maniera avida e convulsa dei vecchi, e fa una specie di ghigno sbilenco per assestare la dentiera. – Be’, per via di quelle chiacchiere su Janice.
– La mia Janice?
– Be’, ora non imbufalirti, Harry. Ambasciator non porta pena. Dopotutto, ti sto soltanto riferendo quello che dicono, non quello che penso.
– E io sono solo sorpreso che ci sia qualcosa da dire. Ora che lavora tutto il giorno, lí alla concessionaria di Springer, non la vedo quasi mai.
– Be’, è proprio questo il punto. Forse in fondo la colpa è tua, Harry. Ti sei sempre sentito troppo sicuro di Janice, sin da… allora –. Cioè da quando lui la lasciò. Da quando la bambina morí. Da quando Janice lo riaccettò in casa. – Dieci anni fa, – aggiunge poi, inutilmente, il padre. E lí, nel freddo del bar, con i cactus nei vasi di plastica sugli scaffali sotto lo specchio e la fontanella della Schlitz che ripete all’infinito la sua parabola policroma, a lui, Coniglio, pare che il mondo cominci a girargli intorno. Una benvenuta freddezza gli sorge dentro, gli afferra i polsi sotto le maniche della camicia. Le novità non finiscono lí: una nuova combinazione potrebbe infrangere quella calma stantia.
– Harry, la cattiveria della gente supera ogni mia capacità di comprensione, e quella poveretta è completamente indifesa, deve stare a sentire e basta. Dieci anni fa non avrebbe forse ribattuto? La sua lingua non le avrebbe messe a tacere? Le hanno detto che Janice si fa vedere in giro. Con un tale, Harry. Nessuno, però, dice che se la spassa.
Dalle braccia, il freddo gli sale fino alle spalle e poi di nuovo giú, lungo le vene, nello stomaco. – Fanno il nome del tipo?
– Che io sappia, no, Harry. E come potrebbero, quando con tutta probabilità non è vero niente?
– Be’, se inventano un fatto possono anche inventare un nome.
La televisione del bar è accesa ma il volume è abbassato. Per la ventesima volta in quel giorno il razzo esplode, con i numeri in ordine decrescente che guizzano di vari decimi di secondo piú veloci dell’occhio umano, finché non si raggiunge lo zero: quindi il bianco ribollio sotto il lungo sigaro, l’ascesa tanto lenta da imprimere la certezza che quel coso si abbatterà, il rapido rimpicciolimento a una macchia che si ritrae, a una stella che ammicca, fremente. Cupi, gli uomini lungo il banco del bar borbottano tra loro: non sono partiti, non si sono innalzati; sono rimasti lí. Petulante, sbirciando di lato, il padre gli bisbiglia: – Ti è sembrata diversa in questi ultimi tempi, Harry? Sai, sono sicurissimo che si tratta di esagerazioni, puttanate, come le chiamano, ma… capisci?, non ti è sembrata in qualche modo diversa negli ultimi tempi?
Gli dà fastidio sentire delle parolacce in bocca al padre; annoiato solleva il capo, come per guardare la televisione, che intanto è tornata a un programma in cui dei tali cercano di indovinare quale premio si nasconda dietro una tenda, e saltellano ed esultano e si baciano tra loro allorché salta fuori che si tratta di un armadio-frigorifero di quasi due metri e mezzo. Magari si è sbagliato, ma per un attimo avrebbe giurato che quella giovane casalinga avesse schiuso le labbra in un mezzo bacio per dare un assaggio della propria lingua al presentatore. Fatto sta che non la pianta di distribuire baci. Il presentatore si volta a guardare la telecamera come per scusarsi e, in quel momento, interrompono con la pubblicità. Visioni sfuggenti di spaghetti e di un cantante d’opera, immagini e simboli silenziosi. – Non so, – risponde alla fine. – A volte ci dà sotto col bere, ma non è la sola. Anch’io.
– Tu no, – ribatte il vecchio, – tu non sei un bevitore, Harry. Ne ho visti di bevitori in vita mia, tipi come quel Boonie, per esempio, lí al reparto stampa, lui sí che è un bevitore, si ammazza e lo sa, ma non smetterebbe neppure se gli dicessero che domani crepa. Magari berrai qualche whisky la sera, perché non sei piú un ragazzino, ma non sei un bevitore –. Affonda le labbra molli nella birra e Harry picchia sul banco per chiedere un altro daiquiri. Il vecchio gli striscia ancora piú vicino. – Be’, Harry, scusami se te lo chiedo, forse non ti va di parlarne ma… come va a letto? Va sempre bene, vero?
– No, – risponde lui esitando, irritato da quell’impicciarsi. – Bene proprio non direi. Ma dimmi di mamma. Ha piú avuto attacchi d’asma?
– Neppure uno per cui mi sia dovuto alzare la notte. Dorme come un angelo adesso, con quelle nuove pillole. Proprio un miracolo questa nuova medicina, bisogna ammetterlo. Altri dieci anni e l’unico modo per ucciderci sarà il gas velenoso. Dopotutto, l’idea buona l’aveva avuta Hitler. Lo sai che i pazzi non esistono già piú? Basta dargli una pillola la mattina e una la sera e diventano assennati come Einstein. Ma non hai proprio detto che va bene, se ho ben capito vuoi dire che tirate avanti?
– Be’, francamente, papà, una meraviglia non siamo mai andati. Cade qualche volta? Mamma.
– Capace che durante il giorno qualche volta cade e non ne parla. Io glielo dico, glielo dico sempre, stattene a letto e guardati la televisione. Ma lei niente, ha una sua teoria, che piú fa qualcosa per casa piú se ne sta lontana dal letto per sempre. Secondo me dovrebbe avere piú riguardo, starsene veramente buona, perché tra un paio di anni avranno inventato una pillola per curarla manco avesse un semplice raffreddore. Già esistono quei cortisoni, sai. Il medico però dice che non si sa se gli effetti secondari sono per caso peggiori. Il cancro, insomma. Per me, dàgli tempo e ti cancelleranno per sempre anche il cancro, per non parlare poi dei trapianti. Presto, capace che ti possono sostituire tutto l’interno al completo –. Poi il vecchio si accorge che sta parlando troppo e si piega, crolla a fissare il bicchiere vuoto della birra, con la spuma che cola giú tutto intorno. Ma alla fine non può fare a meno di aggiungere a mo’ di conclusione: – È una brutta cosa –. E poiché il figlio non risponde: – Cristo, odia starsene con le mani in mano.
Il rum comincia a fare effetto. Coniglio non sente piú freddo, il cuore ormai gli parte; l’aria, lí dentro, sembra piú fine, leggera, gli occhi si vanno abituando al buio. Chiede: – E la testa come va? Non vorrai dirmi che dovranno cominciare a darle le pillole per la pazzia?
– In tutta sincerità, Harry, e non ti racconterei mai bugie, quando con la lingua riesce ad azzeccare le parole, a spiccicare quello che vuol dire, è lucida come uno specchio. Come ti dicevo, ultimamente si è un po’ fissata su questo fatto di Janice. Certo sarebbe di grande aiuto, Dio sa se mi secca romperti ma le cose stanno proprio cosí, sarebbe di grande aiuto se tu e Janice trovaste il tempo di venire a trovarci, stasera. Meno ti vede e piú le si scatena la fantasia. Ora, lo so che hai promesso di venire domenica per il suo compleanno, ma riflettici un po’: se stai inchiodato a letto, con nient’altro che quello stronzo di televisore e un branco di malelingue per compagnia, una settimana ti sembra un anno intero. Se una sera di queste, prima di sabato, ti riesce di fare un salto, portati dietro Janice, cosí Mary la vede…
– Verrei volentieri, papà. Lo sai che verrei volentieri.
– Lo so. Cristo, lo so. So piú di quanto credi. Ormai hai l’età per renderti conto che il tuo vecchio non è poi quel rimbambito che hai sempre pensato che fosse.
– Il guaio è che Janice lavora lí alla concessionaria fino alle dieci, a volte le undici, e non mi va di lasciare il ragazzo da solo a casa. Anzi, ora sarà meglio che scappi, non si sa mai –. Non si sa mai, magari è andata a fuoco la casa, magari ci si è installato un pazzo. Se ne leggono tante sui giornali. Per ora, invece, legge sul viso del padre – un tremolio equivoco agli angoli della bocca, un improvviso socchiudersi degli occhi slavati – che i sospetti del vecchio hanno trovato conferma. Coniglio vede rosso. Vecchio ficcanaso: chi se la prenderebbe, quella scema? Fissata con suo padre, e non cambia idea. Felice come una pasqua da quando lavora alla concessionaria; dagli inizi dell’estate sta ogni sera fuori fin dopo cena, e in casa cibi surgelati e lui che mette Nelson a letto e aspetta lei che rientra tutta giuliva e ciarliera. Non avrebbe mai immaginato che fosse cosí piena di vita, di sé stessa, e la cosa in un certo senso gli fa bene al cuore. Ce l’ha col padre perché cerca di colpirlo attraverso Janice, e reagisce con l’arma piú a portata di mano, la madre: – Questo vostro medico non ha mai parlato di ricovero?
La mente del vecchio è lenta a ritornare sull’argomento. Coniglio ha un’idea, una scintilla come quelle delle ruote di un treno sulle giunture dei binari. Mamma gliele ha mai messe a papà, l’ha mai tradito? Tutto questo ficcare il naso nei rapporti a letto fa pensare a qualche esperienza passata. Difficile immaginarlo, non solo con chi ma anche quando; che lui ricordi, mamma stava sempre in casa e nessuno bussava mai alla porta, a parte qualche commesso viaggiatore o qualche testimone di Geova; eppure, come il pettegolezzo del padre lo raggela cosí quel pensiero lo eccita, gli dischiude possibilità. Il padre sta dicendo: – … agli inizi. Vogliamo evitarlo, almeno finché è costretta a letto. Se poi arriviamo al punto in cui, prima che io vada in pensione e stia ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Il ritorno di Coniglio
  3. 1. Papà / Mamma / Luna
  4. 2. Jill
  5. 3. Skeeter
  6. 4. Mim
  7. Il libro
  8. L’autore
  9. Dello stesso autore
  10. Copyright