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Trilogia dell'Area X. Libro secondo

  1. 304 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Trilogia dell'Area X. Libro secondo

Informazioni su questo libro

«La Trilogia dell'Area X somiglia a Lost ma anche a Hunger Games e Philip K. Dick: si legge come si guardano le serie Tv, per abbuffate e senza riuscire a staccarsi».
«Vanity Fair» «Da un certo punto di vista la vera Area X è l'immaginazione di VanderMeer: grande, strana e scatenata».
«The New Yorker» *** Se non avete mai sentito parlare dell'Area X è merito della Southern Reach. Da trent'anni un fenomeno dall'origine sconosciuta sta alterando l'ecosistema costiero di un territorio nel Sud degli Stati Uniti. Cosa (o chi...) ha generato l'Area X, cosa avviene all'interno del confine impenetrabile che la divide dal resto del mondo, quale destino attende chi decide di esplorarla? Sono domande a cui, da trent'anni, tenta di rispondere la Southern Reach, un'agenzia governativa segreta incaricata di studiare il fenomeno. Senza risultati, almeno finora. Alla Southern Reach c'è un nuovo direttore: John Rodriguez, anche se tutti lo chiamano Controllo. Eppure quello che sembra mancargli è proprio il controllo sulle cose. A cominciare dalla struttura che è stato chiamato a dirigere, dove tutti perseguono i loro scopi, tanto segreti quanto personali. La sua vice, per esempio, ancora legata alla direttrice precedente e forse a conoscenza dei veri motivi che hanno spinto l'ex capa a prendere parte alla dodicesima missione nelle vesti della psicologa. O i membri della sezione scientifica con i loro terribili e pericolosi esperimenti con i conigli. O Whitby che sembra sapere troppe cose per un semplice «tuttofare». A Controllo basterà poco per capire che i misteri della Southern Reach sono altrettanto numerosi e pericolosi di quelli dell'Area X. Qual è il vero scopo della Southern Reach? Chi la comanda? A quale autorità risponde? E chi ha messo lí Controllo? Per rispondere a queste domande, Controllo potrà contare su un unico, imprevisto alleato. Lo capisce appena la guarda negli occhi, nella sala degli interrogatori dove l'hanno portata appena è ricomparsa al di qua del confine: la biologa è tornata.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2015
Print ISBN
9788806218294
eBook ISBN
9788858419069

Riti

005: La prima breccia

– Cos’è? Ce l’ho addosso? Dove? Ce l’ho addosso? Dove? Si vede? Si vede? Dov’è?
Mattina, dopo una notte piena di sogni in cui guardava dall’alto di una scogliera. Controllo era nel parcheggio di una tavola calda con un bicchierone di caffè e un muffin e osservava da breve distanza una trentenne in tailleur viola. Perfino mentre girava su se stessa in cerca della vespa che le si era arrampicata addosso sembrava un’agente immobiliare con il trucco ben fatto e i capelli biondi a caschetto. Ma il completo non cadeva bene, le unghie non erano tutte uguali, lo smalto rosso era sbeccato, e lui sentí che l’angoscia di quella donna andava ben al di là della vespa.
L’insetto le si era posato sulla nuca e restò lí buono per un momento. Se Controllo l’avesse avvertita, lo avrebbe ucciso con una manata. A volte bisognava tacere per evitare che la gente facesse la prima cosa che le saltava in testa.
– Stia ferma, – le disse mentre appoggiava caffè e muffin sul portabagagli. – È innocua, ci penso io –. Perché nessun altro sembrava ansioso di aiutarla. Chi la ignorava, chi rideva di lei salendo o scendendo dall’auto o dal fuoristrada. Ma Controllo non rideva. Non ci trovava niente da ridere. Anche lui si sentiva addosso l’Area X, anche lui non sapeva dov’era, e tutte le domande che aveva in testa in quel momento sembravano inutili e disperate come le domande di quella donna.
– Va bene, va bene, – fece lei sconvolta mentre Controllo si sporgeva e accostava la mano alla vespa che, con una spintarella, salí a bordo. Si era fatta largo tra la distesa di peli dorati che coprivano la nuca della donna. Ora vagava smarrita sulla sua mano.
La donna scrollò la testa, allungò il collo come per guardare dietro, abbozzò un sorriso e disse: – Grazie –. Poi si lanciò verso la sua auto come se fosse in ritardo a un appuntamento, o impaurita dallo strano uomo che le aveva toccato il collo.
Controllo portò la vespa fra la vegetazione che bordava il parcheggio, la lasciò scendere dal pollice sulle foglie secche lí davanti. L’insetto si orientò subito e puntò deciso verso gli alberi fra il parcheggio e l’autostrada, come se sapesse dov’era e dove voleva andare, con una consapevolezza che Controllo non era in grado di comprendere.
«Se non dici che non sai una cosa, magari penseranno che la sai». Parole di suo padre, stranamente, non di sua madre. Ma forse non c’era niente di strano. Forse sua madre sapeva cosí tante cose da non aver neanche bisogno di fingere.
E lui, chi era? La donna che non sapeva dove fosse la vespa o la vespa che non sapeva di essersi posata su una nuca? Eppure se entrambe fossero state trasportate nell’Area X, la vespa sarebbe stata di gran lunga la piú felice delle due.
Controllo passò il primo quarto d’ora della sua mattinata a cercare la chiave che apriva il cassetto della scrivania. Voleva risolvere quel mistero prima dell’incontro con un mistero piú grande: la biologa. Il muffin raffermo, il caffè tiepido e la valigetta giacevano negletti vicino al computer. Tanto non aveva particolarmente fame; l’odore rancido di detersivo aveva invaso il suo ufficio.
Trovata la chiave, la fissò per un momento, fissò il cassetto chiuso e l’incrostazione in basso a sinistra. Mentre girava la chiave nella serratura soffocò il pensiero ridicolo che qualcuno, forse Whitby, avrebbe dovuto presenziare all’apertura del cassetto.
Dentro c’era una cosa morta. E una viva.
Dentro il cassetto cresceva una pianta, cresceva lí al buio da molto tempo, radici color cremisi abbarbicate a un grumo di terriccio. Come se la direttrice l’avesse scavata dal terreno e poi, chissà perché, l’avesse riposta lí dentro. Le foglie affusolate erano di un verde quasi fluorescente, gli steli scanalati come minitubazioni buttavano dei germogli neri o blu. Pareva una creatura ansiosa di evadere, che aveva liberato due arti avviticchiandoli al bordo del cassetto.
Alla base, quasi inglobata dalla zolla, c’era la mummia di un topolino marrone. Controllo immaginò che la pianta lo avesse usato per nutrirsi. Vicino alla pianta c’era un vecchio cellulare di prima generazione protetto da una custodia di pelle nera consumata, e sotto la pianta e il telefono trovò sedimenti di cartelline danneggiate dall’acqua. Come se qualcuno, per schiribizzo, fosse entrato ad annaffiare la pianta di tanto in tanto. Chi se n’era occupato in assenza della direttrice? Chi si era preso quella briga invece di togliere la pianta e il topo?
Controllo fissò il cadavere dell’animale, poi controvoglia infilò la mano nel cassetto per recuperare il telefono – sembrava squagliato, come se qualcuno gli avesse dato fuoco – e, con la punta di una penna, sollevò dai bordi un paio di fascicoli. A quanto capiva, non erano incartamenti ufficiali, ma traboccavano di annotazioni, ritagli di giornale e altri materiali meno importanti. Intravide parole che lo allarmarono, lasciò ricadere le pagine.
Era come se la direttrice avesse creato un mucchio di concime organico per la pianta. Pieno di informazioni sui generis. O un ridicolo progetto scientifico: «Sistema d’irrigazione a energia arvicola per trasmissione dati e manutenzione della biosfera». Aveva visto diavolerie piú assurde durante le esercitazioni di scienze a scuola, anche se davanti alla possibilità di un voto piú alto il suo scarso acume scientifico non era andato piú in là di classici intramontabili come i vulcani in miniatura o le patate coltivate con altre patate.
Forse, riconobbe mentre frugava un altro po’, aveva ragione Grace. Forse si sarebbe trovato meglio in un altro ufficio. Si alzò dalla scrivania e cercò un vaso per la pianta, lo trovò dietro una catasta di libri. Magari lo aveva cercato anche la direttrice.
Prese dei fogli a casaccio fra quelli che gli ingombravano la scrivania – pazienza se custodivano il segreto dell’Area X –, staccò con cura il topo dalla zolla e lo buttò nell’immondizia. Depositò la pianta nel vaso e la sistemò in fondo alla scrivania, il piú lontano possibile da sé. Sembrava ancora una contorta forma umana.
E ora? Aveva bonificato l’ufficio, da cimici e topi. Restava, oltre all’impresa titanica di sgombrare ed esaminare quelle pile di scartoffie, solo la seconda porta che non portava da nessuna parte.
Controllo bevve un sorso di caffè amaro per farsi forza e andò verso la porta. Ci vollero alcuni minuti per togliere i libri e gli altri detriti che la ostruivano.
Bene. L’ultimo mistero stava per essere svelato. Esitò un istante, pensando con fastidio che avrebbe dovuto informare la Voce di tutte quelle piccole stramberie.
Aprí la porta.
Rimase incantato per qualche minuto.
Dopodiché la richiuse.

006: Anomalie tipografiche

Stessa sala interrogatori. Stesse sedie consumate. Stessa luce incerta. Stesso Uccello Fantasma. O no? Aveva una luce diversa nello sguardo o nell’espressione, qualcosa di nuovo. Qualcosa che gli era sfuggito durante la prima seduta. Sembrava piú morbida e piú dura di prima. «Se qualcuno sembra cambiato rispetto alla seduta precedente, verifica di non essere cambiato tu, invece». Un avvertimento fornito da sua madre secoli prima, come se avesse rovesciato una scatola di biscotti della fortuna con i consigli per le spie e ne avesse scelto uno a caso.
Controllo posò il vaso sul tavolo, alla sua sinistra, come se niente fosse. Le mise davanti il fascicolo a mo’ di immancabile carota. E quello cos’era? Un sopracciglio alzato alla vista del vaso? Non poteva giurarci. Ma lei non disse niente, anche se magari una persona normale si sarebbe incuriosita. Per sfizio, Controllo aveva ripescato il topo dall’immondizia e lo aveva messo nel vaso con la pianta. Sembrava proprio immondizia in quel posto deprimente.
Si mise seduto. Le concesse un sorriso a fior di labbra, ma anche stavolta non ottenne reazioni. Aveva già deciso di non riprendere da dove erano rimasti, dal ricordo dell’annegamento, anche se questo lo costringeva a vincere il bisogno improvviso di andare dritto al sodo. In testa continuavano a ronzargli le parole che aveva trovato scarabocchiate sulla parete dietro la porta. Dove giace il frutto soffocante che giunse dalla mano del peccatore io partorirò i semi dei morti… Una pianta. Un topo morto. Una frase delirante. O uno scherzo, una burla. O l’ennesima prova di una spirale discendente, il tuffo a capofitto in un oceano pieno di mostri. Forse verso la fine, prima di infilarsi nella dodicesima spedizione, la direttrice praticava una forma degenere di Scarabeo.
E magari Grace non era del tutto estranea a quell’involuzione. Meno male che non stava assistendo da dietro lo specchio unidirezionale. Rubando un trucco a un ex collega che lo aveva usato su di lui, Controllo le aveva detto che la seduta era fissata nel pomeriggio. Poi era sceso negli alloggi che ospitavano la biologa, aveva parlato con la guardia giurata e se l’era fatta portare nella sala colloqui.
Controllo iniziò, stavolta senza preamboli, ignorando le macchie di umido sul soffitto simili a orecchi o a giganteschi occhi subacquei che scrutavano dall’alto.
– C’è un’anomalia topografica nell’Area X, nei dintorni del campo base. Tu o le tue colleghe l’avete trovata? E se sí, l’avete esplorata? – Per la verità, in quel caso quasi tutti parlavano di una torre, un tunnel o addirittura un pozzo, ma lui si attenne ad «anomalia topografica» nella speranza che la biologa desse la propria definizione.
– Non me lo ricordo.
Quel ritornello cominciava a dargli sui nervi, o forse erano le parole sulla parete a dargli sui nervi, e con il suo puntiglio lei non faceva altro che esasperarlo.
– Sei sicura? – Figuriamoci.
– Credo che ricorderei di essermelo dimenticato.
Ogni volta che la guardava vedeva gli angoli della bocca un po’ sollevati, una luce negli occhi diversa dall’ultima volta. Non riusciva a capire perché, ma si sentiva frustrato. Non è la stessa persona. O invece sí? E lui, ora, era la stessa persona di quattro anni prima, che giocava a football con i parenti al barbecue per il Ringraziamento?
– Guarda che non è uno scherzo, – disse, decidendo di fingersi irritato per studiare la sua reazione. Solo che era davvero irritato.
– Non me lo ricordo. Che ti devo dire? – Scandí le parole, come per ficcargliele bene in testa.
Controllo si vide sul divano nella sua nuova casa, con Chorry raggomitolato sulle ginocchia, la musica in sottofondo, un libro in mano. Altro che quella sala.
– Che ricordi qualcosa. Che stai nascondendo qualcosa –. Insistere. C’erano persone che volevano compiacere chi le interrogava. Altre se ne fregavano oppure facevano volutamente resistenza. Gli era venuto in mente, dopo la prima seduta e dopo aver letto le trascrizioni di tre interrogatori condotti da altri, che la biologa oscillasse fra quei due estremi: non sapeva bene cosa voleva o era molto combattuta. Cosa poteva fare per convincerla? Non ci era riuscito con il topo nel vaso. Nemmeno cambiando discorso.
La biologa non disse niente.
– Poco probabile, – disse lui, come se lei avesse negato di nuovo. – Molte altre spedizioni hanno incontrato quell’anomalia topografica –. Bello scioglilingua: anomalia topografica.
– Comunque, – disse lei, – io non ricordo nessuna torre.
Torre. Né tunnel né pozzo né grotta né buca.
– Perché la chiami torre? – domandò. Con troppa foga, si rese conto un attimo dopo.
Un ghigno si affacciò sul volto di Uccello Fantasma, insieme a una specie di remoto affetto. Per lui? Perché le aveva ricordato qualcosa? Se lo era sognato, quel lieve accento sulla parola «torre», come se fosse caduta volontariamente nella trappola?
– Sapevi, – rispose la biologa, – che gli xenoforidi si caricano i gusci degli altri molluschi? Di conseguenza, si muovono con molta difficoltà. Barcollano e ruzzolano a causa dei gusci vuoti. Riescono a mimetizzarsi, ma a caro prezzo.
Al fondo di quella risposta c’era una segreta allegria, che gli bruciò.
E poi forse voleva che lei condividesse il suo disprezzo per il termine «anomalia topografica». Era venuto fuori durante la prima riunione con Grace e gli altri membri dello staff. Mentre un esperto insisteva a spiegare l’«anomalia topografica» in base a ciò che non era, in pratica riassumendo quello che non sapevano, Controllo aveva cominciato a scaldarsi. Stava per fare una sfuriata. Stava per trasformarsi in nonno Jack: quando voleva diventava una belva, soprattutto quando si trovava davanti alla stupidità del mondo. Lui si sarebbe alzato e avrebbe detto: «Anomalia topologica? Anomalia topologica? Vorrete mica dire stregoneria? Fine della civiltà? Vorrete mica dire una cosa spaventosa da aggiungere a tutte le altre di cui non sappiamo una sega?» Un’ombra su una foto sfocata, un incubo vertiginoso citato negli appunti di pochi testimoni inaffidabili – resi, forse, ancora piú inaffidabili dall’ipnosi, al di là di quanto protestasse la Centrale. Il gomitolo di un filo che si era smarrito, che poteva o non poteva esser fatto di qualcos’altro – piú strano e imperscrutabile di un mollusco-squatter che barcollava come un ubriaco. Nessuna speranza di sapere che cosa fosse, né di farlo saltare in aria, perché cosí reagivano le scimmie intelligenti. Solo una cosa che stava per terra di cui parlavi con lo stesso tono indifferente, asettico, con cui dicevi «tombino» o «rubinetto dell’acqua» o «coltello da bistecca». «Anomalia topografica».
Ma quel martedí aveva solo parlato agli scaffali del suo ufficio, e al fantasma della direttrice, mentre a passo di lumaca cominciava a riordinare i suoi appunti. A Grace e agli altri aveva detto, con calma: – Potete dirmi altro in proposito? – No, non potevano.
Non piú, evidentemente, di quanto potesse la biologa.
Controllo la fissò per un momento: era la bieca prerogativa dell’inquirente, di solito adoperata per intimorire. Ma Uccello Fantasma sostenne il suo sguardo con i suoi penetranti occhi verdi finché non lo costrinse a girarsi. Continuava a pensare che fosse diversa. Che cosa era cambiato n...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Autorità
  4. Incantesimi
  5. Riti
  6. Presenze
  7. Aldilà
  8. Ringraziamenti
  9. Il libro
  10. L’autore
  11. Dello stesso autore
  12. Copyright