Giro di vite
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Giro di vite

  1. 184 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Protagonisti di Giro di vite, forse il piú celebre tra i romanzi brevi di Henry James, sono Flora e Miles, due bambini perseguitati dai fantasmi di un'istitutrice e di un maggiordomo, e intrappolati in quella che Fausta Cialente nella nota al testo definisce una «tirannica atmosfera». Ai classici motivi del racconto nero, «gotico», James unisce una sottile indagine psicologica, consegnando al lettore uno dei piú suggestivi racconti del mistero, sempre al confine tra realtà e sovvrannaturale.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2015
Print ISBN
9788806177164
eBook ISBN
9788858418772

Henry James

Giro di vite

Traduzione di Fausta Cialente

Einaudi
Il racconto ci aveva tenuti attorno al focolare col fiato sospeso, ma a parte l’ovvia osservazione ch’esso era raccapricciante, come doveva essere una strana storia narrata la vigilia di Natale in una vecchia casa, non ricordo che suscitasse alcun commento finché qualcuno disse ch’era quello il primo caso in cui s’imbatteva d’una simile esperienza toccata a un fanciullo. Si trattava, se ben ricordo, di un’apparizione in una casa altrettanto vecchia di quella in cui eravamo riuniti per l’occasione – una visione spaventosa apparsa ad un bambino che dormiva nella camera di sua madre e che l’aveva svegliata terrorizzato; svegliata non per vincere il suo spavento e per farsi teneramente riaddormentare, ma perché lei stessa, prima di riuscirvi, si trovasse davanti alla medesima visione che l’aveva sconvolto. Fu questa osservazione a provocare da parte di Douglas – non immediatamente, ma piú tardi nella serata – una risposta che ebbe l’interessante conseguenza su cui richiamo la vostra attenzione. Qualcun altro aveva preso a raccontare una storia non particolarmente interessante ed io mi accorgevo ch’egli non ascoltava. Ciò mi fece capire che anch’egli aveva qualcosa da dirci e che si trattava soltanto di aspettare. Aspettammo infatti due sere: ma quella sera stessa, prima che ci separassimo, egli accennò a quel che aveva in mente.
– Sono d’accordo nei riguardi del fantasma di Griffin o di quel che fosse, che l’essere apparso prima al bambino d’un’età cosí tenera, aggiunge alla vicenda un fascino particolare. Ma per quanto ne so, non è la prima volta che un fenomeno tanto affascinante coinvolge un bambino. Se la presenza d’un bambino dà effettivamente un altro giro di vite, che ne direste di due bambini?
– Diremmo, effettivamente, – esclamò qualcuno, – che sarebbero due, i giri di vite. E poi che vogliamo conoscere la storia.
Mi sembra ancora di vedere Douglas davanti al camino, le spalle al fuoco, le mani in tasca mentre guarda dall’alto in basso il suo interlocutore: – Nessuno finora, all’infuori di me, ne ha mai udito nulla. È semplicemente troppo orribile –. Naturalmente molte voci si levarono per dichiarare che ciò conferiva all’avvenimento un interesse estremo, e il nostro amico, con arte sottile, si preparò il trionfo guardandoci ad uno ad uno per aggiungere, poi: – È al di là d’ogni immaginazione. Non posso veramente paragonarlo a nulla.
– Per puro terrore? – ricordo di aver chiesto.
Mi sembrò ch’egli volesse intendere che la cosa non era tanto semplice e che non trovava le parole per definirla. Si passò la mano sugli occhi e fece una leggera smorfia di pena: – Per spavento… perché è davvero spaventoso!
– Oh, che delizia! – esclamò una delle donne.
Non le badò, e guardava me, ma come se vedesse, invece di me, quello di cui parlava: – Per assoluta, snaturata ripugnanza e orrore e pena.
– E va bene, allora, – dissi, – mettiti a sedere e comincia.
Si volse verso il fuoco, diede un calcio a un ceppo, lo guardò per un momento. Poi si volse di nuovo verso di noi: – Non posso cominciare. Devo mandare qualcuno in città –. Queste parole furono accolte da un unanime brontolio di disapprovazione e da molte proteste; allora, con quel suo fare preoccupato, si spiegò: – La storia è scritta. Si trova in un cassetto chiuso a chiave, e non ne è venuta fuori da anni. Potrei scrivere al mio domestico, mandargli la chiave… e lui potrebbe inviarmi il plico cosí come si trova –. Sembrava che questa proposta la rivolgesse a me particolarmente, come se mi chiedesse aiuto per vincere la sua esitazione. Aveva come spezzato una crosta di ghiaccio, il prodotto di chissà quanti inverni; e il suo lungo silenzio doveva aver avuto delle buone ragioni. Agli altri la dilazione non piaceva, mentre io mi sentivo affascinato dai suoi scrupoli. Lo scongiurai di spedire la lettera con la prima posta e di mettersi d’accordo con noi per una sollecita lettura; infine gli chiesi se l’esperienza di cui parlava fosse stata sua. La risposta allora fu pronta: – Grazie a Dio, no!
– E il resoconto è tuo? Hai registrato tu la cosa?
– Soltanto l’impressione. È incisa qui, – si toccò il cuore. – Non l’ho mai perduta.
– Ma il tuo manoscritto, allora?…
– È vergato con un inchiostro vecchio, sbiadito, in una bellissima grafia –. Esitò di nuovo. – Di una donna. È morta da vent’anni. Mi mandò quelle sue pagine prima di morire –. Tutti adesso stavano in ascolto, e qualcuno naturalmente osò un commento malizioso o almeno tentò di ricavarne delle illazioni. Ma se Douglas lasciò cadere le illazioni senza sorridere, lo fece anche senza irritarsi. – Era una persona piena di fascino, ma aveva dieci anni piú di me. Ed era l’istitutrice di mia sorella, – disse quietamente. – Era la piú piacevole donna che avevo mai conosciuto in una simile posizione; e avrebbe potuto farsi onore in qualsiasi altro lavoro. È stato molto tempo fa, e l’episodio era ancora precedente. Io frequentavo il Trinity College e la trovai a casa quando vi tornai per le vacanze della seconda estate. Vi rimasi molto quell’anno… era un anno bellissimo; nelle sue ore libere talvolta si passeggiava insieme e conversavamo in giardino… e in quelle occasioni fui colpito dal suo acume e dalla sua simpatia. Ma sí, non sorridete! mi piaceva moltissimo e oggi ancora mi sento felice all’idea che anch’io le piacevo. Se non fosse stato cosí non mi avrebbe raccontato quella storia. Non l’aveva raccontata mai a nessuno. E le credevo, non soltanto perché me lo diceva, ma perché sentivo che era vero. Ne ero certo, lo vedevo. Potrete capire facilmente il motivo quando mi avrete ascoltato.
– Perché la vicenda era stata tanto spaventosa?
Continuò a guardarmi fisso. – Tu lo comprenderai facilmente, – ripeté, – tu lo comprenderai.
Anch’io lo fissai. – Capisco. Era innamorata.
Rise per la prima volta. – Sei davvero acuto. Sí, era innamorata. Cioè, lo era stata. Ciò venne fuori… non poteva raccontare la storia senza che venisse fuori. Io lo capii, ed ella si accorse che avevo capito; ma nessuno dei due ne parlò. Ricordo l’ora e il luogo… l’angolo del prato, l’ombra dei grandi faggi, e il lungo, caldissimo pomeriggio d’estate. Non era una scenografia impressionante, ma… – Si allontanò dal fuoco e tornò a gettarsi nella sua poltrona.
– Riceverai il plico per giovedí mattina? – gli chiesi.
– Probabilmente non prima della seconda posta.
– Bene, allora; dopo cena…
– Ci incontreremo tutti qui? – Ci guardò di nuovo uno per uno. – Nessuno parte? – e lo disse quasi con un tono di speranza.
– Tutti rimarranno.
– Ci saremo!… Tutti ci saremo! – gridarono le signore che pure avevano già fissato la partenza. La signora Griffin, nondimeno, manifestò la necessità di un ulteriore chiarimento. – Di chi era innamorata?
– Il racconto lo dirà, – mi presi la briga di rispondere.
– Oh, ma io non posso aspettare il racconto!
– Il racconto non lo dirà, – fece Douglas, – perlomeno non volgarmente, a chiare lettere.
– Peccato, allora! È il solo modo che me lo farebbe capire.
– Non ce lo vuoi dire tu, Douglas? – domandò qualcun altro.
Balzò di nuovo in piedi. – Sí… domani. Adesso devo andare a letto. Buona notte –. E rapidamente, agguantando un candeliere, ci lasciò piuttosto sconcertati. Sentimmo i suoi passi sulle scale dal fondo del grande salone buio dov’eravamo; e fu allora che la signora Griffin prese a parlare: – Bene, se non so di chi era innamorata lei, so di chi era innamorato lui.
– Lei aveva dieci anni di piú, – disse suo marito.
– Raison de plus… a quell’età! Piuttosto delicata, però, questa sua lunga reticenza.
– Quarant’anni! – precisò Griffin.
– E adesso quest’esplosione.
– L’esplosione, – dissi io, – farà di giovedí sera un’occasione memorabile, – e si trovarono tutti tanto d’accordo con me che, a quella luce, ogni altra cosa non aveva piú alcun interesse. L’ultima storia, per quanto incompleta e simile all’inizio d’un racconto a puntate, era stata raccontata; con strette di mano e «strette di candeliere», come disse qualcuno, andammo tutti a letto.
Il giorno dopo seppi che una lettera contenente la chiave era partita con la prima posta, diretta all’appartamento londinese di Douglas; ma, nonostante ciò, o forse proprio a causa dell’eventuale diffusione di questa notizia, lo lasciammo in pace fin dopo la cena, sino all’ora della serata, cioè, che meglio poteva accordarsi al genere di emozioni su cui contavamo. E lui divenne cosí comunicativo che di piú non avremmo potuto desiderare, e ce ne spiegò addirittura la ragione. Ce la spiegò di nuovo davanti al camino del salone giacché ne eravamo rimasti leggermente sorpresi la sera precedente. Ci sembrò chiaro che il racconto che aveva promesso di leggerci aveva realmente bisogno, per essere ben capito, di qualche parola d’introduzione. E lasciatemi dire chiaramente, una volta per tutte, che questo racconto, da me trascritto fedelmente di mio pugno molto piú tardi, è quello che qui seguirà. Il povero Douglas, prima della sua morte, quando questa era imminente, mi affidò il manoscritto ch’era arrivato il terzo giorno, e che nello stesso luogo cominciò a leggere la sera del quarto al nostro circolo ristretto e silenzioso, suscitando un’emozione senza pari. La partenza delle signore, che avevano annunciato che sarebbero rimaste, era avvenuta, grazie al cielo; erano partite, costrette dai loro impegni, ma divorate dalla curiosità destata, come ammisero, dai piccoli particolari con i quali Douglas aveva già stuzzicato il nostro interesse. Ma questo fatto rese soltanto piú scelto e compatto il suo piccolo uditorio finale e lo tenne davanti al focolare soggiogato da una comune emozione.
Prima di tutto egli ci disse che il racconto scritto iniziava la narrazione dal momento in cui era già, in un certo senso, avviata. Dovevamo sapere, infatti, che la sua vecchia amica, la minore delle numerose figlie d’un povero parroco di campagna, a vent’anni, all’inizio, cioè, della sua carriera d’insegnante, si era recata a Londra, tutta trepidante, per rispondere di persona all’annuncio per il quale aveva già avuto un breve scambio di corrispondenza con l’inserzionista. Questa persona si rivelò – quando lei si presentò per essere esaminata in una casa di Harley Street che la impressionò per vastità e imponenza – questo probabile padrone, dicevo, si rivelò un gentiluomo, uno scapolo nel fiore degli anni, un personaggio, insomma, che non era mai comparso, se non in sogno o in qualche vecchio romanzo, a una ragazza emozionata e ansiosa proveniente da un vicariato dell’Hampshire. Un tipo che si può facilmente descrivere giacché, per fortuna, è di quelli che non scompaiono mai. Era bello, ardito e attraente, spregiudicato, gaio e gentile. La colpí, inevitabilmente, la sua splendida galanteria, ma quel che piú la conquistò e le diede il coraggio che piú tardi rivelò, fu che le presentò tutto come una specie di favore, una grazia per la quale le sarebbe stato per sempre obbligato. Lo giudicò ricco ma terribilmente stravagante; lo vide in un’aureola di straordinaria eleganza, di bellezza, di generosità, di abituale galanteria. La sua residenza cittadina era una grande casa piena di ricordi di viaggio e trofei di caccia; ma era nella sua casa di campagna dell’Essex, antica dimora della sua famiglia, che desiderava si recasse immediatamente.
A causa della morte in India dei loro genitori, egli era diventato tutore di un nipotino e di una nipotina, figli d’un suo fratello minore, un militare, che aveva perduto due anni prima. Questi due bambini – sorte ben strana per un uomo nelle sue condizioni, un uomo solo, senza esperienza e senza un filo di pazienza – pesavano interamente sulle sue spalle. Ne era nata una grave preoccupazione e, senza dubbio per colpa sua, una serie di sbagli grossolani; ma egli provava una pietà immensa per i due piccoli, e aveva fatto tutto quel che aveva potuto; in particolare li aveva mandati nell’altra casa, poiché il posto piú adatto per loro era evidentemente la campagna, e là li aveva tenuti sin da principio, con le migliori persone che poté trovare per accudirli, separandosi perfino dai propri servitori e andando egli stesso, appena gli era possibile, a vedere come stavano. La cosa piú imbarazzante era che i due orfanelli non avevano praticamente nessun altro al mondo, e che gli affari assorbivano quasi tutto il suo tempo. Li aveva sistemati a Bly, dimora salubre e sicura, e aveva messo a guida di quella piccola colonia – ma solo ai gradi piú bassi – una donna eccellente, la signora Grose, in altri tempi cameriera di sua madre, che, ne era certo, sarebbe piaciuta alla sua visitatrice. La signora Grose badava all’andamento della casa e fungeva provvisoriamente da istitutrice della bambina, alla quale, priva com’era di figli suoi, era per buona sorte profondamente affezionata. Il personale di servizio era molto numeroso, ma naturalmente la giovane che si recava laggiú in qualità d’istitutrice avrebbe avuto pieni poteri. Avrebbe inoltre dovuto, durante le vacanze, prendersi cura del ragazzino, che da un trimestre era in collegio (troppo giovane, forse, per andarci, ma che altro si sarebbe potuto fare?), e che, essendo ormai prossimo l’inizio delle vacanze, sarebbe stato di ritorno da un giorno all’altro. Nei primi tempi ai due bambini aveva badato una signorina che avevano avuto la sfortuna di perdere. Persona degnissima, si era presa cura di loro in splendida maniera fino alla sua morte: grave contrattempo, che non aveva lasciato altra alternativa se non il collegio per il piccolo Miles. La signora Grose, da allora, aveva fatto quanto poteva per l’educazione e le necessità pratiche di Flora; c’erano, oltre a lei, una cuoca, una cameriera, una donna che si occupava della cascina, un vecchio pony, un vecchio stalliere e un vecchio giardiniere, tutti egualmente rispettabili.
Douglas aveva tracciato il quadro sino a quel punto, quando qualcuno fece una domanda: – E di che cosa morí l’istitutrice precedente? Di un eccesso di rispettabilità?
La risposta del nostro amico fu immediata: – Lo si saprà in seguito. Non voglio anticipare.
– Scusami… Mi sembra che sia quello che stai facendo.
– Nei panni della nuova istitutrice, – insinuai, – io avrei voluto almeno sapere se l’incarico comportava…
– Necessariamente un pericolo di morte? – Douglas aveva completato il mio pensiero. – Difatti lo voleva sapere, e lo seppe. Sentirete domani, cosa seppe. Nel frattempo, com’era naturale, la proposta le sembrò un po’ inquietante. Era giovane, inesperta, impressionabile: le si apriva davanti un carico di gravi doveri e scarsa compagnia, una solitudine quasi senza limiti. Esitò… chiese un paio di giorni per consigliarsi e riflettere. Ma il salario che le veniva offerto superava di gran lunga le sue modeste pretese, e in un secondo colloquio affrontò la «musica», s’impegnò –. Douglas a questo punto fece una pausa che, a vantaggio della compagnia, mi permise di dire:
– La morale della favola è che lo splendido giovanotto l’affascinò al punto di farla cedere.
Douglas si alzò e, come aveva fatto la sera prima, si avvicinò al camino, smosse col piede un tizzone e rimase per un poco immobile, voltandoci le spalle. – Lo vide solo due volte.
– Sí, ma proprio in questo sta tutta la bellezza della sua passione.
Sorprendendomi un poco, Douglas a questo punto si volse verso di me: – Sí, in questo stava la bellezza. Altre, – proseguí, – non avevano ceduto. Egli le aveva esposto francamente tutte le difficoltà da lui incontrate… a molte candidate le condizioni erano sembrate proibitive. Semplicemente, per un motivo o per l’altro, ne erano spaventate. Il tutto suonava poco chiaro, suonava strano; soprattutto a causa della condizione principale.
– Che era?
– Che non lo avrebbe mai dovuto disturbare… mai, per nessuna ragione: né farlo chiamare, né lamentarsi, né scrivere; doveva risolvere tutti i problemi da sola, ricevere dal suo avvocato il denaro occorrente, assumersi ogni responsabilità e lasciarlo in pace. Gli promise di far cosí, e mi raccontò che quando, sollevato, felice, le tenne per un attimo le mani fra le sue, ringraziandola del sacrificio, si sentí già ricompensata.
– Ma fu l’unica ricompensa? – c...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Giro di vite
  3. I
  4. II
  5. III
  6. IV
  7. V
  8. VI
  9. VII
  10. VIII
  11. IX
  12. X
  13. XI
  14. XII
  15. XIII
  16. XIV
  17. XV
  18. XVI
  19. XVII
  20. XVIII
  21. XIX
  22. XX
  23. XXI
  24. XXII
  25. XXIII
  26. XXIV
  27. Nota del traduttore
  28. Il libro
  29. L’autore
  30. Dello stesso autore
  31. Copyright