Perché tu non ti perda nel quartiere
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Perché tu non ti perda nel quartiere

  1. 128 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Perché tu non ti perda nel quartiere

Informazioni su questo libro

«In una grande città ci si può perdere o sparire. Si può anche cambiare identità e vivere una vita nuova». Dal discorso di accettazione del Premio Nobel per la Letteratura 2014 *** Jean Daragane, scrittore parigino vicino alla settantina, vive in totale solitudine, fuori dal resto del mondo. Un giorno, però, quando da mesi non parla piú con nessuno, il telefono di casa squilla una prima volta. Dall'altra parte del filo si ode la voce di un uomo che dice di aver ritrovato il suo taccuino degli indirizzi forse perduto su un treno, e propone un appuntamento. Daragane non vuole incontrarlo; rompere il suo isolamento gli costerebbe troppo, e in fondo i numeri segnati su quel taccuino non gli interessano. I numeri delle persone che hanno veramente contato qualcosa nella sua vita, lui infatti li conosce a memoria, e quelle persone non possono piú rispondere. Infine accetta un appuntamento ed è cosí che incrocia l'ambiguo Gilles Ottolini e la sua sottomessa e giovane compagna, Chantal Grippay. Ottolini gli dice che ha trovato nella sua rubrica un nome che gli interessa molto, Guy Torstel, ma Daragane non si ricorda di lui. In privato Chantal gli consegna il dossier che Ottolini ha preparato con i suoi appunti e la foto misteriosa di un bambino, e strappa inconsapevolmente all'oblio una vicenda accaduta sessant'anni prima: l'omicidio irrisolto di una giovane donna. Gli squilli del telefono continuano per giorni. La mattina, la sera, la notte. Raggiungono Daragane nel sonno, nel dormiveglia, senza tregua. E in una Parigi che ancora conserva le ombre del passato, riaffiorano nomi e voci che costituiscono la sua esistenza e che Daragane non aveva piú voluto ricordare. Fra tutti emerge il volto, rigato da una lacrima, di Annie, una donna che gli è stata vicina quando era bambino e che lo ha tenuto per mano per attraversare la strada e perché non si perdesse nel quartiere e nella vita. Poi, come la puntura di un insetto, il passato ritorna e ti lascia ancora un po' di tempo in cui sentire il vuoto di un rumore che piano piano si allontana.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2015
Print ISBN
9788806226558
eBook ISBN
9788858419885

Patrick Modiano

Perché tu non ti perda nel quartiere

Traduzione di Irene Babboni

Einaudi
Non posso restituire la realtà dei fatti, posso solo presentarne l’ombra.
STENDHAL
Quasi niente. Come una puntura d’insetto che all’inizio ti sembra molto lieve. O perlomeno è quello che ti ripeti sottovoce per rassicurarti. Il telefono aveva suonato da Jean Daragane verso le quattro del pomeriggio, nella stanza che lui chiamava lo «studio». Si era assopito sul divano in fondo, al riparo dal sole. E quegli squilli che da tempo non udiva piú non volevano smettere. Perché tanta insistenza? Forse all’altro capo del filo avevano dimenticato di riagganciare. Alla fine si alzò e si diresse dalla parte delle finestre, là dove il sole batteva troppo forte.
– Vorrei parlare con Jean Daragane.
Una voce melliflua e minacciosa. Fu la prima impressione.
– Signor Daragane? Mi sente?
Daragane avrebbe voluto riagganciare. Ma a che scopo? Gli squilli sarebbero ripresi senza interrompersi mai. E a meno di non tagliare per sempre il filo del telefono…
– Sono io.
– È per il suo taccuino degli indirizzi, signore.
L’aveva perso un mese prima su un treno che lo portava in Costa Azzurra. Sí, non poteva essere successo che su quel treno. Il taccuino gli era probabilmente caduto di tasca mentre tirava fuori il biglietto da mostrare al controllore.
– Ho trovato un taccuino con il suo nome.
Sulla copertina grigia c’era scritto: IN CASO DI SMARRIMENTO RESTITUIRE QUESTO TACCUINO A. E un giorno, senza riflettere, Daragane vi aveva scritto nome, indirizzo e numero di telefono.
– Posso portarglielo a casa. Mi dica lei il giorno e l’ora.
Sí, decisamente una voce melliflua e minacciosa. E anche, pensò Daragane, un tono da ricattatore.
– Preferirei che ci incontrassimo fuori.
Si era sforzato di superare il disagio. Ma la sua voce, che avrebbe voluto indifferente, gli sembrò a un tratto incolore.
– Come vuole.
Scese il silenzio.
– Peccato. Sono molto vicino a casa sua. Avrei preferito consegnarglielo direttamente.
Daragane si chiese se quell’uomo non fosse davanti al palazzo e se non sarebbe rimasto lí ad aspettare che uscisse. Doveva sbarazzarsi di lui al piú presto.
– Vediamoci domani pomeriggio, – disse infine.
– Come vuole. Ma allora, vicino a dove lavoro. Dalle parti della Gare Saint-Lazare.
Avrebbe voluto riagganciare, ma si controllò.
– Conosce rue de l’Arcade? – chiese l’altro. – Possiamo incontrarci in un caffè. Al 42 di rue de l’Arcade.
Daragane annotò l’indirizzo. Riprese fiato e disse:
– Benissimo. Rue de l’Arcade 42, domani, alle cinque.
Poi riagganciò senza aspettare la risposta dell’interlocutore. Si pentí subito di essersi comportato in modo tanto brusco, ma era colpa del caldo che da qualche giorno opprimeva Parigi, un caldo strano per il mese di settembre. Che accentuava la sua solitudine. Che lo obbligava a restare chiuso in quella stanza fino al calar del sole. E poi il telefono non suonava piú da mesi. E il cellulare, sulla scrivania, si domandò quando l’avesse usato per l’ultima volta. Sapeva a malapena farlo funzionare e si sbagliava spesso nel premere i tasti.
Senza la telefonata dello sconosciuto avrebbe dimenticato per sempre di aver perso il taccuino. Cercava di ricordare i numeri che conteneva. La settimana precedente aveva addirittura provato a ricostruirlo, stilando una lista su un foglio bianco. Aveva subito strappato il foglio. Nessun nome apparteneva a persone che avevano contato qualcosa nella sua vita: di quelle non aveva mai avuto bisogno di annotare i recapiti e i numeri telefonici. Li sapeva a memoria. Su quel taccuino, soltanto conoscenze di natura cosiddetta «professionale», qualche indirizzo spacciato per utile, non piú di una trentina di nomi. E fra questi molti che avrebbe dovuto cancellare perché non erano piú attuali. Dopo aver smarrito il taccuino, la sua unica preoccupazione era stata quella di averci scritto il proprio nome, e l’indirizzo. Certo, avrebbe potuto soprassedere e lasciare quel tizio ad aspettarlo invano in rue de l’Arcade 42. Ma cosí sarebbe rimasto per sempre qualcosa in sospeso, una minaccia. Aveva spesso sognato, nel profondo di certi pomeriggi di solitudine, che il telefono suonasse e che una voce dolce gli desse appuntamento. Si ricordava il titolo di un romanzo che aveva letto: Le Temps des rencontres, il tempo degli incontri. Forse per lui quel tempo non era ancora finito. Ma la voce di poco prima non gli aveva ispirato fiducia. Una voce insieme melliflua e minacciosa. Sí.
Chiese al tassista di lasciarlo alla Madeleine. Faceva meno caldo che nei giorni precedenti e si poteva andare a piedi, a patto di scegliere il marciapiede all’ombra. Camminava in rue de l’Arcade, deserta e silenziosa sotto il sole.
Era un’eternità che non passava di lí. Si ricordò che sua madre recitava in un teatro dei dintorni e che suo padre aveva l’ufficio proprio in fondo alla strada, sulla sinistra, al 73 di boulevard Haussmann. Si stupí di ricordare ancora il numero 73. Ma con il tempo tutto quel passato era diventato cosí traslucido… un velo di condensa che si dissolveva al sole.
Il caffè si trovava all’angolo fra rue de l’Arcade e boulevard Haussmann. Una sala vuota, un lungo bancone sormontato da scaffali, come in un self-service o in un ex Wimpy. Daragane sedette a uno dei tavoli in fondo alla sala. Lo sconosciuto si sarebbe presentato all’appuntamento? A causa del caldo le due porte erano aperte, una sulla strada, l’altra sul boulevard. Sul lato opposto della via, il palazzone del 73… Si chiese se una delle finestre dell’ufficio di suo padre non si affacciasse proprio da quella parte. A che piano? Ma i ricordi gli venivano meno, uno dopo l’altro, come bolle di sapone o frammenti di un sogno che evaporano al risveglio. La sua memoria sarebbe stata piú vivida nel caffè di rue des Mathurins, davanti al teatro, là dove attendeva sua madre, o nei pressi della Gare Saint-Lazare, una zona che un tempo aveva frequentato assiduamente. Ma no. Certamente no. La città non era piú la stessa.
– Signor Jean Daragane?
Aveva riconosciuto la voce. Un uomo sulla quarantina era di fronte a lui, in compagnia di una ragazza piú giovane.
– Gilles Ottolini.
Quella voce, melliflua e minacciosa. Indicava la ragazza:
– Un’amica… Chantal Grippay.
Daragane restava sul divanetto, immobile, senza nemmeno porgere loro la mano. Sedettero di fronte a lui.
– Ci scusi, siamo un po’ in ritardo…
Aveva assunto un tono ironico, probabilmente per darsi un contegno. Sí, era la stessa voce, con un leggero, quasi impercettibile, accento del Sud, un accento che il giorno prima al telefono Daragane non aveva notato.
Pelle color avorio, occhi neri, naso aquilino. Il volto era sottile, ugualmente affilato di fronte come di profilo.
– Ecco il suo tesoro, – disse a Daragane, sempre con quel tono ironico che pareva nascondere una punta di imbarazzo.
E tirò fuori il taccuino dalla tasca della giacca. L’appoggiò sul tavolo coprendolo con il palmo della mano, a dita aperte. Sembrava che volesse impedire a Daragane di prenderlo.
La ragazza stava leggermente in disparte, come se non desiderasse attirare l’attenzione su di sé. Era una bruna sulla trentina, i capelli lunghi sulle spalle. Indossava camicia e pantaloni neri. Guardò Daragane con inquietudine. A causa degli zigomi e degli occhi a mandorla, lui si chiese se non fosse di origini vietnamite – o cinesi.
– E dove l’ha trovato?
– Per terra, sotto un divanetto nel buffet della Gare de Lyon.
Gli consegnò il taccuino. Daragane se lo cacciò in tasca. Si ricordò in effetti che il giorno della partenza per la Costa Azzurra era arrivato alla Gare de Lyon in anticipo e si era seduto al buffet del primo piano.
– Beve qualcosa? – chiese quel tal Gilles Ottolini.
A Daragane venne voglia di piantarli in asso. Ma ci ripensò.
– Una Schweppes.
– Trova qualcuno che prenda l’ordinazione. Per me, un caffè, – disse Ottolini rivolgendosi alla ragazza.
Lei si alzò immediatamente. Sembrava che fosse abituata a ubbidirgli.
– Deve essere stato un fastidio per lei perdere il taccuino…
Sorrise in un modo cosí strano che a Daragane parve insolente. Ma forse si trattava solo di goffaggine o timidezza.
– Sa, – disse Daragane, – ormai non telefono quasi piú.
L’altro lo guardò sbalordito. La ragazza ritornò al tavolo e sedette al suo posto.
– A quest’ora non prendono ordinazioni, stanno per chiudere.
Per la prima volta Daragane udí la voce della ragazza, una voce roca che non aveva il leggero accento del Sud del suo compagno. Piuttosto l’accento parigino, se questo significa ancora qualcosa.
– Lavora qui vicino? – chiese Daragane.
– In un’agenzia di pubblicità, in rue Pasquier. L’agenzia Sweerts.
– Anche lei?
Si era rivolto alla ragazza.
– No, – disse Ottolini senza lasciarle il tempo di rispondere. – Per il momento lei non fa niente –. Ancora quel sorriso tirato. Anche la ragazza accennò un sorriso.
Daragane non vedeva l’ora di congedarsi. Se non lo avesse fatto subito, sarebbe mai piú riuscito a sbarazzarsi di loro?
– Voglio essere franco con lei… – Si sporgeva verso Daragane, e ora la sua voce era piú acuta.
Daragane provò la stessa sensazione del giorno prima, al telefono. Sí, quell’uomo aveva un’insistenza da insetto.
– Mi sono permesso di sfogliare il suo taccuino… semplice curiosità…
La ragazza si era voltata, fingendo di non sentire.
– Non me ne vuole?
Daragane lo guardò dritto negli occhi. L’altro sosteneva il suo sguardo.
– Perché dovrei volergliene?
Silenzio. L’altro aveva ora abbassato lo sguardo. Poi, con la solita voce metallica:
– C’è qualcuno di cui ho trovato il nome nel taccuino. Le sarei grato se volesse darmi qualche informazione su di lui…
Il tono era diventato piú umile.
– Scusi se sono stato indiscreto…
– Di chi si tratta? – chiese Daragane controvoglia.
Provava il bisogno urgente di alzarsi e dirigersi a grandi passi verso la porta aperta su boulevard Haussmann. E respirare all’aria aperta.
– Di un certo Guy Torstel.
Aveva pronunciato nome e cognome scandendo bene le sillabe come per risvegliare la memoria assopita dell’interlocutore.
– Chi?
– Guy Torstel.
Daragane tirò fuori di tasca il taccuino e l’aprí alla lettera T. Lesse il nome, in cima alla pagina, ma quel Guy Torstel non gli diceva niente.
– Non so chi possa essere.
– Davvero?
L’altro pareva deluso.
– Il suo numero di telefono ha sette cifre, – disse Daragane. – Vuol dire che risale ad almeno una trentina d’anni fa…
Girò le pagine. Tutti gli altri numeri erano recenti. A dieci cifre. E usava quel taccuino soltanto da cinque anni.
– Quel nome non le dice niente?
– No.
Qualche anno prima, avrebbe dato prova della cortesia che tutti gli riconoscevano. Avrebbe detto: «Mi lasci un po’ di tempo per chiarire il mistero…» Ma le parole non gli venivano.
– È per via di un fatto di cronaca su cui ho raccolto un bel po’ di materiale, – continuò l’altro. – Quel nome è citato lí. Ecco tutto…
All’improvviso sembrava sulla difensiva.
– Che genere di fatto di cronaca?
Daragane l’aveva chiesto automaticamente, come se stesse ritrovando i vecchi riflessi di cortesia.
– Un fatto accaduto molto tempo fa… Sul quale vorrei scrivere un articolo… All’inizio mi occupavo di giornalismo, sa…
Ma l’attenzione di Daragane stava scemando. Doveva davvero piantarli in asso alla svelta, altrimenti quell’uomo gli avrebbe raccontato tutta la sua vita.
– Mi dispiace, – gli disse. – Ho dimenticato questo Torstel… Alla mia età si hanno dei vuoti di memoria… Purtroppo vi devo lasciare…
Si alzò e strinse la mano a entrambi. Ottolini gli gettò un’occhiata cattiva, come se Daragane lo avesse offeso e lui fosse pronto a rispondergli per le rime. La ragazza, invece, aveva abbassato lo sguardo.
Si avviò verso la porta a vetri spalancata su boulevard Haussmann sperando che l’altro non gli sbarrasse la strada. Una volta fuori, respirò a pieni polmoni. Che strana idea, un appuntamento con uno sconosciuto, lui che da tre mesi non vedeva nessuno e non ne soffriva di certo… Anzi. Mai si era sentito cosí leggero come in quella solitudine, con curiosi momenti di esaltazione al mattino o alla sera, come se fosse ancora tutto possibile e, secondo il titolo di un vecchio film, l’avventura aspettasse dietro l’angolo… Mai, neppure nelle estati della sua gioventú, la vita gli era sembrata cosí priva di pesantezza come dall’inizio di quell’estate. Ma in estate tutto resta in sospeso – una stagione «metafisica», gli diceva un tempo il suo professore di filosofia, Maurice Caveing. Strano, si ricordava il cognome «Caveing» mentre non sapeva piú chi fosse quel Torstel.
C’era ancora un po’ di sole, e una brezza leggera attenuava il caldo. A quell’ora boulevard Haussmann era deserto.
Nel corso degli ultimi cinquant’anni era spesso passato di lí, e anche durante l’infanzia, quando sua madre lo portava un po’ piú su lungo il boulevard, ai grandi magazzini Printemps. Ma quella sera, la città gli sembrava straniera. Aveva mollato tutti gli ormeggi che potevano ancora tenerlo legato alla città, o forse era la città ad averlo respinto.
Sedette su una panchina e tirò fuori di tasca il taccuino. Stava per strapparlo e sparpagliarne i frammenti nel cestino di plastica verde vicino alla panchina. Ma esitò. No, lo avrebbe fatto tra poco, a casa, in tutta tranquillità. Lo sfogliò distrattamente. Fra quei numeri di telefono non ce n’era nemmeno uno che avrebbe avuto voglia di ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Perchè tu non ti perda nel quartiere
  3. Il libro
  4. L’autore
  5. Dello stesso autore
  6. Copyright