Il rosso e il nero
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Il rosso e il nero

Cronaca del XIX secolo

  1. 624 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Il rosso e il nero

Cronaca del XIX secolo

Informazioni su questo libro

Scritto tra la fine del 1829 e la prima metà del 1830, Il rosso e il nero è il secondo romanzo di Stendhal. L'autore ne corregge le bozze durante le giornate della Rivoluzione di luglio, che liquida la Restaurazione e inaugura la monarchia borghese di Luigi Filippo. Di questo passaggio cruciale Stendhal restituisce con fedeltà lo spirito, muovendo dalla realtà della provincia per approdare a Parigi, dove da sempre si annodano e si sciolgono i destini politici della Francia. Qui Julien Sorel, giovane avventuroso, romantico e calcolatore, sfida se stesso e la società che vorrebbe conquistare: i suoi amori travolgenti e la sua arida sete di dominio, che di volta in volta gli consentono di affermarsi pur portandolo alla distruzione, sono i segni distintivi di una letteratura che sa misurarsi con le piú profonde contraddizioni dell'animo umano. Completano il volume una nota introduttiva di Emilio Faccioli e la cronologia della vita e delle opere.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2015
Print ISBN
9788806220471
eBook ISBN
9788858420003

Libro secondo

Non è bella, non si dà il belletto.
SAINTE-BEUVE

1.

I piaceri della campagna

O rus quando ego te adspiciam!
VIRGILIO1.
– Il signore aspetta di certo la diligenza per Parigi? – gli disse il padrone di una locanda nella quale si fermò a fare colazione.
– Quella di oggi o di domani, poco importa, – rispose Julien.
La diligenza arrivò mentre faceva l’indifferente. C’erano due posti liberi.
– Ma guarda! Sei tu, mio povero Falcoz, – disse il viaggiatore proveniente da Ginevra a quello che saliva in vettura con Julien.
– Non eri andato a stabilirti nei dintorni di Lione, – disse Falcoz, – in una deliziosa valle vicino al Rodano?
– Proprio a stabilirmi benissimo. Sto scappando.
– Come! Scappi? Tu, Saint-Giraud! Con quella faccia onesta, hai commesso qualche reato? – disse Falcoz ridendo.
– Be’, tanto varrebbe. Fuggo l’orrenda vita che si fa in provincia. Amo la frescura dei boschi e la tranquillità campestre, come sai: spesso mi hai accusato di essere romantico. Non volevo piú sentir parlare di politica in vita mia, e la politica mi scaccia.
– Ma di che partito sei?
– Di nessun partito, e questo è il guaio. Ecco tutta la mia politica: mi piacciono la musica, la pittura; per me un buon libro è un avvenimento; tra poco avrò quarantaquattro anni. Quanto mi resta da vivere? Quindici, venti, trent’anni al massimo? Be’, scommetto che fra trent’anni i ministri saranno un po’ piú abili, ma altrettanto perbene di quelli odierni. La storia dell’Inghilterra mi serve da specchio per il nostro futuro. Ci sarà sempre un re che vorrà accrescere le sue prerogative; l’ambizione di diventare deputato, la gloria e le centinaia di migliaia di franchi guadagnati da Mirabeau toglieranno sempre il sonno ai ricchi di provincia: lo chiameranno essere liberali e amare il popolo. La voglia di diventare pari o gentiluomo di camera ossessionerà sempre gli ultra. Sulla nave dello Stato tutti vogliono stare alla manovra, perché è un mestiere ben pagato. Non ci sarà mai un posticino per il semplice passeggero?
– Vieni al dunque, vieni al dunque, che dev’essere molto divertente, con quel tuo carattere tranquillo. Sono state le ultime elezioni a cacciarti dalla provincia?
– La mia sventura viene da piú lontano2. Quattro anni fa avevo quarant’anni e cinquecentomila franchi, oggi ho quattro anni in piú, e probabilmente cinquantamila franchi in meno: ce li rimetterò vendendo il castello di Monfleury, vicino al Rodano, una magnifica posizione.
A Parigi ero stanco dell’eterna commedia a cui costringe quella che chiamate la civiltà del XIX secolo. Ero assetato di cordialità e semplicità. Compro una tenuta tra i monti, vicino al Rodano, niente di piú bello sotto il sole.
Il viceparroco del villaggio e i signorotti del vicinato mi fanno la corte per sei mesi; li invito a cena. «Ho lasciato Parigi, – dico loro, – per non sentire mai piú parlare di politica in vita mia. Come vedete, non sono abbonato a nessun giornale. Meno lettere mi porta il postino e piú sono contento».
Il viceparroco era di tutt’altra idea. Ben presto mi piovono addosso mille richieste importune, seccature, ecc. Volevo dare due o trecento franchi l’anno ai poveri, me li chiedono per le associazioni pie: di San Giuseppe, della Madonna, ecc. Rifiuto: allora mi fanno cento sgarbi. Sono tanto stupido da rimanerci male. La mattina non posso piú uscire per andare a godermi la bellezza delle nostre montagne senza imbattermi in qualcuno che mi distoglie dalle mie fantasticherie e mi ricorda sgradevolmente gli uomini e la loro cattiveria. Alle processioni delle Rogazioni, per esempio, di cui amo il cantico (probabilmente è una melodia greca), non benedicono piú i miei campi perché, dice il viceparroco, appartengono a un empio. Muore la vacca di una vecchia contadina bigotta, lei dice che è per la vicinanza di uno stagno che appartiene a me, l’empio, il filosofo arrivato da Parigi, e otto giorni dopo trovo tutti i miei pesci a pancia all’aria, avvelenati con la calce. Sono assediato da seccature di ogni genere. Il giudice di pace, persona perbene ma che teme di perdere il posto, mi dà sempre torto. La pace dei campi per me è un inferno. Una volta abbandonato dal viceparroco, capo della Congregazione del paese, e non sostenuto dal capitano in pensione, capo dei liberali, li ho avuti tutti contro, persino un muratore a cui da un anno davo da vivere, persino un fabbro che voleva imbrogliarmi impunemente riparandomi gli aratri.
Per avere un appoggio e vincere qualcuna delle cause, divento liberale; ma, come dici tu, arrivano quelle maledette elezioni, mi chiedono il voto…
– Per uno sconosciuto?
– Niente affatto: per un uomo che conosco fin troppo bene. Rifiuto, terribile imprudenza! Da quel momento mi ritrovo contro anche tutti i liberali, la mia situazione diventa insopportabile. Credo che se al viceparroco fosse venuto in mente di accusarmi di aver assassinato la domestica, ci sarebbero stati venti testimoni di entrambi i partiti pronti a giurare di avermi visto commettere il delitto.
– Vuoi vivere in campagna senza assecondare le passioni dei tuoi vicini, senza nemmeno ascoltare le loro chiacchiere. Che sbaglio!...
– Finalmente è rimediato. Monfleury è in vendita, ci rimetterò cinquantamila franchi, se necessario, ma sono contentissimo, lascio quell’inferno di ipocrisia e di seccature. Vado a cercare la solitudine e la pace campestre nell’unico posto in cui esistono, in Francia: a un quarto piano affacciato sugli Champs Élysées. E anzi, sto riflettendo se non esordire in politica, nel quartiere del Roule, distribuendo il pane benedetto in parrocchia.
– Tutto questo non ti sarebbe successo sotto Bonaparte, – disse Falcoz con gli occhi scintillanti di sdegno e di rimpianto.
– Può darsi; ma perché non ha saputo restarsene tranquillo, il tuo Bonaparte? Tutto ciò di cui soffro, oggi, è stato lui a crearlo.
A questo punto Julien si fece ancora piú attento. Aveva capito dalla prima parola che il bonapartista Falcoz era il vecchio amico d’infanzia che il signor de Rênal aveva ripudiato nel 1816, e il filosofo Saint-Giraud doveva essere quel capufficio alla prefettura di… che riusciva ad aggiudicarsi a buon prezzo le case di proprietà dei comuni.
– Tutto questo è stato il tuo Bonaparte a crearlo, – continuava Saint-Giraud. – Un uomo perbene, quanto mai inoffensivo, con quarant’anni e cinquecentomila franchi, non può stabilirsi in provincia e trovarvi la pace; i suoi preti e i suoi nobili lo cacciano.
– Ah, non parlare male di lui! – esclamò Falcoz. – La Francia non ha mai avuto tanto prestigio, tra i popoli, come durante i tredici anni in cui ha regnato. Allora c’era grandezza in tutto ciò che si faceva.
– Il tuo imperatore, che il diavolo se lo porti, – ribatté l’uomo di quarantaquattro anni, – è stato grande solo sui campi di battaglia, e quando ha risanato le finanze verso il 1802. Dopo, che senso ha avuto il suo comportamento? Con i suoi ciambellani, la pompa e i ricevimenti alle Tuileries ha presentato una nuova edizione di tutte le scemenze monarchiche. Quella vecchia era stata riveduta, sarebbe potuta durare ancora un secolo o due. I nobili e i preti hanno voluto riproporla, ma non hanno il pugno di ferro necessario per venderla al pubblico.
– Ecco un discorso da ex tipografo.
– Chi mi caccia dalla mia tenuta? – continuò il tipografo, furente. – I preti, che Napoleone ha richiamato con il Concordato invece di trattarli come lo Stato tratta i medici, gli avvocati, gli astronomi, invece di considerarli semplici cittadini, senza preoccuparsi dell’attività con cui cercano di guadagnarsi da vivere. Oggi esisterebbero gentiluomini insolenti se il tuo Bonaparte non avesse creato baroni e conti? No, erano passati di moda. Dopo i preti, sono stati i nobilotti di campagna a irritarmi di piú, e mi hanno costretto a diventare liberale.
Fu una conversazione interminabile, la Francia discuterà su questo argomento per altri cinquant’anni. Mentre Saint-Giraud continuava a ripetere che era impossibile vivere in provincia, Julien propose timidamente l’esempio del signor de Rênal.
– Diamine, giovanotto, questa è buona, – esclamò Falcoz. – È diventato martello per non essere incudine, e un terribile martello, per di piú. Ma lo vedo scavalcato da Valenod. Conoscete quel mascalzone? Perché è un autentico mascalzone. Cosa dirà il vostro signor de Rênal quando uno di questi giorni si vedrà destituito, e rimpiazzato da Valenod?
– Rimarrà a tu per tu con le sue malefatte, – disse Saint-Giraud. – Quindi conoscete Verrières, giovanotto? Be’, Bonaparte, che Dio lo confonda, lui e il suo ciarpame monarchico, ha reso possibile il regno dei Rênal e degli Chélan, che ha portato al regno dei Valenod e dei Maslon.
Questa conversazione di cupa politica stupiva Julien, e lo distraeva dalle sue fantasticherie voluttuose.
La prima visione di Parigi, scorta da lontano, non lo colpí molto. I castelli in aria sul suo destino futuro dovevano combattere con il ricordo ancora fresco delle ventiquattr’ore che aveva appena passato a Verrières. Giurava di non abbandonare mai i figli della sua amica, e rinunciare a tutto per proteggerli, se la faccia tosta dei preti ci avesse portati alla repubblica e alle persecuzioni contro i nobili.
Cosa sarebbe successo la notte del suo arrivo a Verrières se, quando appoggiava la scala a pioli contro la finestra della camera da letto della signora de Rênal, vi avesse trovato un estraneo o il signor de Rênal?
Però, che delizia le prime due ore, quando la sua amica voleva sinceramente mandarlo via e lui perorava la propria causa seduto accanto a lei nell’oscurità! Un animo come quello di Julien è accompagnato da questi ricordi per tutta la vita. Il resto dell’incontro si confondeva già con l’inizio dei loro amori, quattordici mesi prima.
Julien fu riscosso dai pensieri in cui era assorto perché la carrozza si fermò. Erano appena entrati nel cortile della stazione di posta, in rue J.-J. Rousseau. – Voglio andare alla Malmaison, – disse a una vettura che si avvicinava.
– A quest’ora, signore? E per fare che?
– Che vi importa, partite.
Ogni autentica passione pensa solo a se stessa. Ecco perché, credo, le passioni sono cosí ridicole a Parigi, dove il vicino pretende sempre che si pensi molto a lui. Mi guarderò bene dal raccontare l’emozione di Julien alla Malmaison. Pianse. Ma come! Nonostante i brutti muri bianchi costruiti quest’anno, che tagliano a pezzi il parco?
Sissignori. Per Julien, come per i posteri, non c’era soluzione di continuità tra Arcole, Sant’Elena e la Malmaison.
Alla sera Julien esitò molto prima di entrare a teatro, aveva strane idee su quel luogo di perdizione.
Una profonda diffidenza gli impedí di ammirare la Parigi viva, era toccato soltanto dai monumenti lasciati dal suo eroe.
«Eccomi dunque nel cuore dell’intrigo e dell’ipocrisia! Qui regnano i protettori di don Frilair».
La sera del terzo giorno la curiosità ebbe la meglio sull’intenzione di vedere tutto prima di presentarsi da don Pirard. Il sacerdote gli spiegò, con freddezza, che genere di vita l’attendesse in casa del signor de La Mole.
– Se nel giro di qualche mese non vi dimostrerete utile, tornerete in seminario, ma dall’ingresso principale. Abiterete a casa del marchese, uno dei piú grandi signori di Francia. Vestirete di nero, ma come un uomo in lutto, non come un ecclesiastico. Esigo che tre volte la settimana proseguiate gli studi di teologia in un seminario dove vi farò presentare. Ogni giorno, a mezzogiorno, vi sistemerete nella biblioteca del marchese, che intende farvi scrivere delle lettere riguardanti processi e altri affari. Il marchese riassume in due parole, a margine di ogni lettera che riceve, cosa bisogna rispondere. Ho sostenuto che nel giro di tre mesi sarete in grado di redigere quelle risposte in modo che, su dodici sottoposte alla sua firma, ne possa firmare otto o nove. Alle otto di sera metterete in ordine la scrivania e alle dieci sarete libero.
Può darsi, – continuò don Pirard, – che una vecchia signora o un uomo dal tono suadente vi faccia intravedere immensi vantaggi, o vi offra brutalmente dei soldi perché gli mostriate le lettere ricevute dal marchese…
– Ah, padre… – esclamò Julien arrossendo.
– È strano, – disse il sacerdote con un sorriso amaro. – Povero come siete, e dopo un anno di seminario, siete ancora capace di reagire con sdegno virtuoso. Dovevate proprio essere cieco!
«Che sia la forza del sangue?» disse il sacerdote a mezza voce, come parlando a se stesso. – La cosa strana, – aggiunse guardando Julien, – è che il marchese vi conosce… Non so come. Vi dà, per cominciare, uno stipendio di cento luigi. È un uomo che agisce solo per capriccio, questo è il suo difetto; farà a gara con voi in puerilità. Se è soddisfatto, in seguito lo stipendio potrà arrivare fino a ottomila franchi.
Ma vi rendete conto, – riprese in tono acido, – che non vi dà tutti questi soldi per i vostri begli occhi. Si tratta di essere utile. Se fossi in voi, parlerei pochissimo, e soprattutto non parlerei mai di cose che non so.
Ah, – aggiunse, – ho preso informazioni per voi; dimenticavo la famiglia de La Mole. Ci sono due figli, una femmina e un maschio di diciannove anni, sommamente elegante, una specie di pazzo che a mezzogiorno non sa cosa farà alle due. È brillante, coraggioso; ha fatto la guerra di Spagna3. Il marchese spera, non so perché, che diventiate amico del giovane conte Norbert. Ho...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Il rosso e il nero
  3. Nota introduttiva di Emilio Faccioli
  4. Cronologia della vita e delle opere
  5. Il rosso e il nero
  6. Avvertenza dell’editore
  7. Libro primo
  8. Libro secondo
  9. Il libro
  10. L’autore
  11. Dello stesso autore
  12. Copyright