caminante, no hay camino,
se hace camino al andar.
ANTONIO MACHADO
34.
Sfido il giorno nefas: parto il 17 maggio; mi protegge il verso oh settentrional vedovo sito (Purg. 1, 22); saluti avvengono tra sorrisi e lacrime; leggerò il Bosch di Fraenger, una vita di Paganini (è il suo bicentenario), un po’ di filologia semitica, Mallarmé, Céline; ho con me anche la guida Mondadori del Po.
Fantastico notturno: Paganini che appare all’improvviso, di notte, all’ospedale Pammatone di Genova trascinandosi dietro il figlio Achille, per fiutare i colerosi, sparendo silenziosamente dopo una corsa tra i letti, le diarree, le flebotomie, i lamenti, la campanella dei viatici. Era un alchimista: veniva a nutrire di dolore il suo archetto. Cumulando in sé sifilide e tubercolosi, stitichezza cronica, nevrosi, grande gracilità , estrema avarizia, incarnava la malattia, godendo di tuffarsi nel simile, nelle piaghe, nelle infezioni, nei cimiteri; quella sua famosa corda danzava sulla morte. L’Harmonicon di Londra del 18 dicembre 1931 racconta quanto fosse febbrile d’impazienza per assistere all’asportazione di un tumore dalla faccia di una donna, e pensa volesse berne i gemiti per trasformarli in suoni di violino. Il suo concerto in San Martino di Lucca – «tal Paganini Giacobino Genovese» – fatto di imitazioni sul violino di voci e suoni della natura, quasi del giacobinismo musicale, sarà stato una pena in piú o una consolazione per il Volto Santo? (Ma anche il sofferente, spasmodico Paganini è Jesus patibilis).
Commissiono a un giovane liutaio di Torino una lira medievale, ma non sarò io a petrarcheggiare sulle sue corde.
Nella sezione balistica della polizia scientifica di Torino un esperto mi spiega come si prendono e adoperano le impronte digitali; sono come un’immensa collezione d’insetti; ogni impronta rappresenta un uomo, visibile traccia del principium individuationis, che non sembra gran che. M’interessano di piú le immagini di qualche loro album, tanaticissime... Una Clitennestra calabrese: la notte del 13 gennaio 1965 Maria Grazia C. uccise a Novara, a colpi di scure, il suo agamennone alcolizzato, di nome Francescantonio, che la minacciava e batteva insieme coi figli. Un crimine dell’altro secolo: va nella legnaia, impugna, cala ventun fendenti sulla faccia detestata, nel sonno... L’uomo era forte e grosso, ma l’odio della donna molto piú forte, la scure, enorme, dev’essere stata come un’ala di pollo tra le sue mani. La Scientifica fotografa tutto: ogni angolo, ogni cosa, e non c’è immagine che non contenga intero il crimine, presente e vivente anche dove non c’è traccia di sangue.
Il dirigente Fiat, Ghiglieno, assassinato in via Petrarca il 21 settembre 1979, da terroristi, disteso sulla strada. Nel grigio dell’asfalto, biancheggia una trappola: è una cassetta da frutta rovesciata, messa da qualcuno tra le ruote dell’auto per segnalare agli assassini l’uomo da colpire. (Nessuno di loro lo conosceva: tiravano al bersaglio Fiat che incarnava, a una cosa; e l’uomo – eccolo morto, ma ha l’aria di essere un uomo – non poteva certo immaginare che quel rottame di legno fosse un razzo illuminante, un bacio della morte). Un giovane con la pancia aperta dall’anatomista parla ancora dai suoi tatuaggi: AMO SOLO DINA – LE DONNE CHE TRADISCONO NON MERITANO PERDONO. (Tradito da Dina, si è gettato da un quattordicesimo piano). Ecco la botola dov’è morta di fame e di paura Maria Teresa Novara, nell’Albese, nascosta là e tenuta segregata da un sadico, che dopo averla abbandonata si è ucciso... È un documento piú strano della realtà -irrealtà del mondo: una ragazza di sedici anni, ignota, di cui gli animali selvatici hanno divorato la testa fino al teschio, lasciando intatto il tronco. Lo sfacelo spaventoso è come avvitato, estraneo, sulla giovinezza delicata delle spalle, il reggiseno nasconde rilievi appena accennati, un pudore assurdo in quell’impudicità estrema della faccia sparita, il velo autentico, anche se nessun velo lo ricopriva. L’istinto ha guidato le bestie ai veri luoghi della profondità : è là che hanno scavato e saccheggiato, cercavano l’anima e non la carne.
Mi faccio mandare le due fotografie di questa adolescente, per contemplarle come un affresco macabro medievale, per meditarci sopra con distacco, con tenerezza. Si pensa poco al crimine come irruzione repentina, severa, della verità della morte: subito diventa caso, e la sapiente recita giudiziaria lo trasformerà in un boccone mangiabile per i vivi. Delle vittime, le foto sui giornali, sorridenti, com’erano il giorno prima... Cosà la morte è impedita di avvertirci sulle molte vie sanguinose che vanno alla sua della polvere, e la vittima si rattrista: – Ecco che vogliono loro spiegarmi perché sono stata immolata, credono di sapere...
Cercherò ancora il nome di quella sconosciuta. Senza il nome, quali Mani placare? Il suo assassino, l’avrà saputo?
Strada della BerlÃa (Collegno). Restano due vecchi grandi cascinali (ATTENTI AI CANI MORDONO) ai numeri 543 e 545, che unisce un tratto di casipole disabitate. C’è anche chiesina abbandonata, intravedi da un cancelletto arrugginitissimo un rosaio fiorito circondato da rottami. Di fronte Campo Aeroclub, piccoli aerei leggerissimi si posano come petali dispersi sulla pista. In un assurdo giardinetto intorno a una fabbrica voliera con un fagiano solitario. Salgo al capolinea dell’autobus 65, una donna ha un forte accesso di tosse. – Vuoi una caramella? – Altre donne presenti commentano la sua tosse e parlano della tosse in generale.
Salivo nelle mansarde e in una, molto vasta, c’erano una ventina di lettini con vecchi malati lamentosi, un prete in talare antiquato e un professore tedesco, marxista, che scriveva su un taccuino. Il prete si chiama don Giuseppe e lo riconosco subito, è lo stesso don Giuseppe Cottolengo. Mi viene incontro e mi dice: – Eh, la carta è stanca... – Rispondo allargando le braccia, mi sento colpevole della sua stanchezza. Ma don Giuseppe vuole parlare di Dante: – Voi l’avete adulterato, vi siete fabbricato un Dante che non è mai esistito... Cose interessanti, ma non vere... Lei mi pare che su Dante abbia sbagliato tutto! – Il rimprovero non mi ferisce troppo, mi sono occupato molto poco di ermeneutica dantesca, quanti lucchetti che non si aprono. – Il suo Dante non è piú cattolico, è gnostico! – (Mi sembra di capire questo dal movimento delle sue labbra, perché la voce si è estinta). Può darsi. Il Beato sembrava piú interessato a Dante che ai suoi malati. Il professore tedesco aveva una faccia che non mi piaceva.
Nella biblioteca del Real Collegio di Moncalieri (Barnabiti) c’è L’Assommoir nell’edizione Charpentier del 1880, e una sua versione italiana del 1964; ci sono anche Le Rêve (e questo non stupisce, è neogotico) e Thérèse Raquin, ottima guida matrimoniale. I Savoia bigotti: in una vetrina ci sono volumi donati per testamento dalla principessa Clotilde al Real Collegio Carlo Alberto: Massillon, Bourdaloue, Bossuet, Vita della Beata Lodovica di Savoia, Esercizi di Pietà ecc. In uno splendido corridoio è sistemato il museo di Storia Naturale: Cobra dagli Occhiali... Serpente frustino... Farfalle del Siam dono del Comm. Mario Tamagno... Nella Sala Rossa, bandiera tricolore appassita proveniente da Novara, giorno della battaglia. Purtroppo, la rigida uniforme albertina è stata abbandonata, altro bel colore sparito; gli allievi la indossano soltanto per la foto di fine anno. In cucina è in preparazione la cena: pizza, coniglio, pasta al sugo, asparagi... Molti medicinali sui tavoli, nel refettorio. Suono il campanello di un monastero in vicolo Savonarola. Risponde vocina. Lo abitano Carmelitane. La chiesa è dedicata a San Giuseppe e si apre per la messa il mattino alle sette. Angolo molto quieto, gocce di pioggia, in basso urlano le moto. MORO VIVE. POMPE FUNEBRI LUX, PASTICCERIA RIVETTI. ALBINA TROMBETTI IN TRIMELONI DECEDUTA IN ROVERETO... (Piove).
I nuovi mores, che sgretolano spietatamente la famiglia, rafforzano la Chiesa, società celibataria (guai se cedesse) che si pone a difensore (perdendo tempo prezioso) della famiglia sgretolata. La Chiesa dovrebbe puntare tutto sull’ascetismo, tornare monasticissima e medievale, possibilmente senza roghi. Va’ in convento, va’ in convento! Grandi stuoli di gente la seguirebbero.
L’esorcista. Ha appena terminato la messa, mi fa entrare nel salottino, chiude con cura la porta. È sulla settantina. È stato prete operaio, predicatore, per molti anni esorcista nella diocesi di Torino. Adesso vive ritirato qui, come rettore di questo santuario simbolista, pieno di voli e di pietà simulate di angeli cimiteriali. La sua voce è un flauto dolce di persuasione, esercitatosi nell’attirare i demoni, per farli uscire dai corpi usurpati; ma soprattutto colpiscono gli occhi, che possono di grandi farsi grandissimi, molto chiari, e si muovono incessantemente come facessero esercizi al trapezio, si tuffano, risalgono, fanno il doppio salto mortale, e tuttavia in questo continuo moto restano fermi, li hai sempre davanti, non fuggono, scrutano l’effetto del flauto nello sguardo. Certamente, a farli cosÃ, è stata la professione di esorcista. Quegli occhi sono stati visti, e anche temuti, da qualche entità oscura e strisciante.
– A Torino molta gente è posseduta. Cominciano con le sedute spiritiche e medianiche, ingannati dallo spirito-guida... A poco a poco, nei piú deboli, si introducono gli spiriti maligni... La loro forza è un mistero dell’universo: certo è col permesso di Dio che agiscono. Uno di loro mi ha gridato una volta: non me la togliere! sono dieci anni che aspetto di entrare in questa persona! I demoni certe volte rivelano magagne, colpe precise di gente della famiglia del posseduto, o della sua cerchia, cose impensabili, peccati, delazioni, tradimenti, crimini... Il loro brodo di coltura è l’ODIO. Ce n’è in enormi quantità dappertutto e i possessi diabolici gli fanno da sfogo segreto, lo manifestano, lo canalizzano. Molti arrivano a firmare patti con Satana per motivi miserabili: un investimento di denaro, far morire un parente, ottenere un avanzamento, possedere una donna... Le case, nelle città , sono gonfie d’odio, pervertite dall’odio... Una parola d’amore sarebbe già un buon esorcista: ed è quel che piú manca... Prima si ricorre al medico, allo psicologo: l’esorcista è chiamato sempre per ultimo, e sono i colpiti stessi a chiedere l’intervento del prete. I demoni lo sentono subito, quando il prete entra nella stanza: di colpo diventano aggressivi, i pazienti si rotolano, bestemmiando... «È la Signora che mi lega, che mi impedisce». Chiamano cosà la Madonna: per loro è il maggiore ostacolo. Anche Dio interviene in questa lotta, sforzandosi di strappare l’anima al Maligno...
– Ma se è costretto a lottare con dei miserabili spiriti, non vuol forse dire che Dio è debole, che è impotente?
– Vede: Dio non può scalfire la libertà dell’uomo. È il limite che si è imposto. Vuole che sia l’uomo a scegliere, se dannarsi o salvarsi.
– Allora perché lotta con lui? Perché non si contenta di essere spettatore? Se il suo aiuto non è un vero aiuto, non è aiuto di Dio. Se l’esito della lotta rimane incerto, questo contraddice all’onnipotenza divina. – (Tengo per me queste ovvie perplessità teologiche).
– Le messe nere si fanno ancora, anzi molto di piú. La solita idolatria del Caprone, una donna nuda che fa da altare. Quando vengono rubati calici e ostie nelle chiese, si sa a che cosa serviranno... Il rito resta sacro: ma pervertito, rivolto al male... Non ci sono quartieri dove questo si faccia piú che altrove, perimetri magici; succede dappertutto. I partecipanti, gente d’ogni condizione, ricchi e poveri, industriali e operai... Il possesso diabolico è un’orribile schiavitú, che ti stampa dentro e fuori i segni di un odio universale, perpetuo... Il contatto coi posseduti mi esauriva... ma se pensavo Dio ti amo ne uscivo purificato.
– Che cosa annuncia al mondo il segreto di Fatima? Catastrofi?
– Grandissime. E travolgeranno anche la Chiesa, colpevole di aver accondisceso... di essere scesa a patti...
(Non va oltre e resta nel vago, perché non vuole accusare i pontefici).
– ... e perciò dovrà essere purificata nel sangue, soffrire grandi persecuzioni... I russi arriveranno, e la Chiesa dovrà soffrire il martirio.
Mi fa accettare in nome dell’amore un sacchetto con tre panini di frittatina, avanzi di un pranzo di nozze al santuario, di cui stanno morendo soltanto adesso i cori alpini, e accompagnandomi in macchina fino a Torino continua a parlare di teologia. Al volante è abilissimo: lo manovra come un facile uditorio, mentre mi illustra l’eterno dogma cristiano della redenzione. Ma com’è abile nel pigliare le curve e nell’accellerare sui rettilinei, cosà evita ogni condanna di questo mondo del denaro e dell’odio che la Chiesa non intende minimamente dichiarare satanico, per timore di perderne le simpatie.
Per don Ugo i diavoli sono ancora quelli del padre Surin; crede invece che i nastri, in cui ama registrare le sue lettere e le sue prediche, siano innocenti invenzioni. Non ha il segno degli spirituali veri; ma è un onesto credente, un autentico prete di campagna, vissuto casto, in cui è passata un’esperienza oggi poco ordinaria del mondo invisibile. Ha belle mani, mentali, che hanno legittimamente esercitato l’antichissimo potere sciamanico di liberare i corpi dalle presenze maligne.
Faceva un curioso effetto, sentirlo parlare dell’elezione di Giacobbe, mentre attraversavamo gli anelli di fuoco dell’Esaú industriale, Orbassano, Beinasco, e apparivano le case enormi e i villini dove per comprare una casa in centro o aprire una bottega di scarpe si firmano banali e insicuri contratti con Satana. – L’amore, l’amore... senza l’amore... ripete il teologo esorcista, e a me pare una sventagliata della vanitas, e di vederne lo spettro, ogni volta che i cristiani parlano dell’amore... Tanto ne parlano che le sillabe finiscono per formare nell’aria una pasta grigia. Messe nere da Rinascente, riti satanici da Tredicesima... L’esorcista, compreso nell’Unità Sanitaria Locale! Di serio c’è solo questo: che qualcuno, ogni tanto, ci resta invischiato, i demoni lo strangolano, la famiglia, finalmente, ha paura, la bocca che sbava grida l’innominabile verità (22 aprile).
Al primo distretto di polizia in via Verdi va ogni tanto una vecchietta che vede spilloni calare dal soffitto per trafiggerla, un tubo passare per il buco della serratura e di là uscire un fumo per soffocarla, il pavimento riempirsi di coltelli. Il maresciallo manda un agente a fare periodicamente sopraluoghi per tranquillizzarla.
I demoni esorcizzati da don Ugo mi sembrano molto piú reali delle loro vittime: almeno sanno quello che vogliono, si battono per il male, mentre i loro posseduti sono vittime senza qualità .
Il corpo femminile come altare di offerta nella devozione erotica non ha nulla di satanico. (Fraenger è molto indulgente con gli Adamiti). È l’intenzione di violare, di trasgredire, di sfidare, a richiamare attorno al rito erotico, come mosche, gli spiriti maligni (Sade e il volgo dei sataneggianti). E ancora: per impregnare di male una messa nera, anzi perché il male non rischi di esserne assente, bisogna innanzitutto credere fortiter nel sacrificio messianico ed espiatorio della messa giusta. Ora, i cel...