Pitman House era sorta in osservanza ai moduli progettuali del tempo. Il tono era quello di maestosità laica temperata dai principî di architettura ecologica: vetro e acciaio risultavano ammorbiditi dall’impiego di legno di frassino e di faggio; tocchi di verde reseda e giallo acido suggerivano accenni di controllata passionalità; nel vestibolo un tamburo Corb rosso polvere sovvertiva il dominio degli spigoli acuti. L’atrio vertiginoso realizzava le aspirazioni di tanta cattedrale laica mentre il sistema di ventilazione passiva e l’attenzione al risparmio energetico ne rivelavano l’impegno socio-ambientale. Si riscontrava duttilità nello sfruttamento dello spazio e candore nell’impianto delle condutture: nelle intenzioni dell’équipe di architetti Slater, Grayson & White, la costruzione doveva coniugare ricercatezza di mezzi e trasparenza di intenti. L’armonia con l’ambiente circostante costituiva un altro principio chiave: alle spalle della Pitman House si stendeva un’area paludosa ricreata artificialmente. Il personale poteva consumare il pranzo al sacco sui pontili (in legno da risorse rinnovabili) contemplando il passaggio degli uccelli in volo nei cieli dello Hertfordshire.
Gli architetti non erano nuovi agli interventi della committenza, ma persino loro perdevano un po’ di scioltezza quando si trattava di spiegare il personale contributo di Sir Jack Pitman al progetto: l’inserimento a livello di sala di rappresentanza di uno studio a due vani con cornici in stucco, fitta moquette, lampade antiche, pareti tappezzate di stoffa, dipinti a olio, finte finestre con tendoni e vecchi interruttori a pomo. Come lo stesso Sir Jack scherzosamente ripeteva: – Per quanto sia giusto esaltare le possibilità del presente, il prezzo non può e non deve essere il disdegno del passato –. Slater, Grayson & White avevano tentato di fargli notare che oggigiorno la ricostruzione del passato era purtroppo assai piú costosa della costruzione di presente e futuro. Il loro cliente aveva ignorato il commento, e i progettisti si erano consolati al pensiero che quella isolata unità semi baronale sarebbe probabilmente stata interpretata piú come una personale follia di Sir Jack che come parte della loro espressione architettonica. A patto che nessuno si azzardasse a congratularsi con loro per l’inserimento di ironici elementi post- post-moderni.
Tra lo spazio arioso e vibrante creato dagli architetti e il covo preteso da Sir Jack stava uno studiolo – poco piú di un’anticamera di passaggio – noto come Sala dell’Encomio. Qui, Sir Jack amava tenere i visitatori in attesa, prima di farli chiamare dalla sua Assistente Personale. Era a tutti noto che lo stesso Sir Jack si tratteneva nell’anticamera qualche minuto prima di passare dal locale esterno al santuario interno. Era un vano semplice, austero, mal illuminato. Niente riviste, né televisori che mandassero in onda spot promozionali sull’impero Pitman. E nemmeno fastosi divani comodi foderati in pelle di animali rari. Solo un semplice sedile in quercia a schienale alto, stile Giacomo I, di fronte a una targa illuminata da faretti. Il visitatore era perciò incoraggiato, per non dire obbligato, a considerare quanto vi era inciso in caratteri romani:
Jack Pitman
è un grand’uomo in tutti i sensi.
Grande nell’ambizione, nell’appetito, nella generosità.
Un personaggio con il quale si scende a patti solo grazie
a uno sforzo d’immaginazione.
Di umili natali, ha raggiunto altezze stellari come una meteora.
Imprenditore, innovatore, ideatore, mecenate,
animatore del centro storico della nostra città.
Piú ancora che capitano d’industria, vero e proprio ammiraglio,
Sir Jack si accompagna a presidenti e capi di stato,
ma non ha mai paura di rimboccarsi le maniche
né di sporcarsi le mani.
A dispetto di tutto il suo successo e della sua ricchezza,
resta un uomo molto riservato, un marito devoto per elezione.
Imperioso quando è necessario, e in ogni circostanza schietto,
Sir Jack non è il tipo con il quale si possa scherzare;
non tollera gli idioti e nemmeno gli intriganti.
Ciononostante la sua indulgenza è profonda.
Ancora inquieto e determinato,
Sir Jack stupisce per la sua energia,
ammalia col suo fascino da autentico titano.
Queste parole, o la maggioranza di esse, erano comparse qualche anno prima in un profilo del «Times»; Sir Jack ne aveva in seguito assunto l’autore per un breve periodo. Dopo aver eliminato dal testo i riferimenti all’età, all’aspetto fisico e all’ammontare del patrimonio, Sir Jack l’aveva fatto rimaneggiare e infine ne aveva ordinato l’incisione su una lastra di ardesia della Cornovaglia. Era contento che la citazione non recasse piú traccia della propria fonte: alcuni anni prima la dicitura «dal Times di Londra» era stata cancellata e coperta da un rettangolo di ardesia intatta. Ciò rendeva l’omaggio piú autorevole, e meno effimero, secondo lui.
In quel momento se ne stava seduto al centro esatto del suo accogliente rifugio, sotto il lampadario in vetro di Murano e alla stessa distanza dai due caminetti in stile casino di caccia bavarese. Dopo aver appeso la giacca al Brancusi in un modo che – almeno ai suoi occhi – indicava piú una giocosa familiarità che una mancanza di rispetto, mostrava la propria sagoma vagamente romboidale all’Assistente Personale e al Ricevitore di Idee. A quest’ultima figura erano state attribuite altre definizioni ufficiali, ma Sir Jack le aveva rimpiazzate tutte con quella di Ricevitore di Idee. Qualcuno in passato lo aveva paragonato a un gigantesco fuoco d’artificio, scoppiettante di idee come una girandola pirotecnica lo è di scintille, e a lui era parso corretto che a un lanciatore di iniziative dovesse corrispondere un ricevitore delle stesse. Estrasse il suo sigaro postprandiale e fece schioccare l’elastico delle bretelle ministeriali: rosse e gialle, salsa rubra e tuorlo d’uovo. Non era un parlamentare, ma il suo fornitore di bretelle si guardava bene dal domandarglielo. Del resto, non era nemmeno stato a Eton, né aveva prestato servizio nella Guardia Reale, né era stato ammesso al Garrick Club; eppure possedeva le bretelle che significavano tutto ciò. Da autentico ribelle, si compiaceva di pensare. Da uomo che non è disposto a inginocchiarsi davanti a nessuno. Pur restando un sincero patriota.
– Che cosa mi rimane da fare nella vita? – Paul Harrison, il Ricevitore di Idee, non accese immediatamente il microfono. Quella frase era di recente diventata un tropo familiare. – Molti potrebbero credere che io abbia raggiunto tutto ciò che è umanamente raggiungibile nell’arco di un’esistenza. Lo pensano in molti, in effetti. Ho costruito un’azienda dal nulla. Mi sono fatto i soldi, chi potrebbe negarlo? Ho ricevuto riconoscimenti d’onore. Sono il confidente di piú di un capo di stato. Ho amato, se mi è concesso dirlo, donne bellissime. Sono un cittadino rispettabile, ma per fortuna, non troppo rispettabile. Posseggo un titolo. Mia moglie siede accanto a presidenti di varie nazioni. Che altro resta?
Sir Jack espirò, e le sue parole si dispersero nelle volute del fumo di sigaro che appannava le gocce piú basse del lampadario. I presenti sapevano che la domanda era del tutto retorica. In passato, un’Assistente Personale aveva ingenuamente ritenuto che in quei momenti Sir Jack fosse davvero a caccia di utili consigli, oppure, ancor piú ingenuamente, di conforto; alla signorina in questione era stato trovato un impiego meno impegnativo in un altro settore dell’azienda.
– Che cosa è il reale? Certe volte mi pongo la domanda in questi termini. Lei, per esempio, è reale, e lei, e lei? – Sir Jack accompagnò le parole con un gesto di scherzosa galanteria rivolto ai presenti in sala, ma con la mente continuò a seguire il proprio pensiero. – Voi tutti siete ovviamente reali per voi stessi, ma ai massimi livelli non è cosí che si giudicano le cose. Io risponderei di no. Con rammarico. E perdonerete la mia schiettezza, ma aggiungo che sarei piú pronto a sostituire ciascuno di voi con dei succedanei, con dei… simulacri, che non a vendere il mio amato Brancusi. Sono reali i soldi? In un certo senso, lo sono piú di voi. E Dio, è reale? Questa domanda preferisco rimandarla al giorno in cui incontrerò il mio Creatore. Ho una mia teoria in proposito, s’intende; ho persino, come dire, scandagliato un po’ il futuro. Permettetemi di confessare – che il cielo mi fulmini se non dico il vero – che qualche volta mi sono persino prefigurato quel giorno fatidico. Voglio rendervi partecipi delle mie ipotesi. Immaginate il momento in cui sarò invitato a presentarmi di fronte al Creatore, il quale nella sua infinita saggezza ha seguito con interesse l’evolversi delle nostre esistenze insignificanti in questa valle di lacrime. Vi chiedo che cosa potrebbe avere in serbo per Sir Jack? Se fossi in lui – un pensiero presuntuoso, lo ammetto – mi sentirei naturalmente in dovere di punire Sir Jack per i suoi numerosi errori e per le sue vanità umane. No, no! – qui Sir Jack alzò le mani per zittire le probabili proteste dei suoi dipendenti. – E che cosa farei, farebbe? Potrei, potrebbe, essere tentato di trattenermi – oh, non per molto, spero – in una Sala dell’Encomio celeste. Il privatissimo limbo di Sir Jack. Già, gli rifilerei, mi rifilerei, la sedia rigida e i faretti accesi. Una incisione su targa coi fiocchi! E nessuna rivista, nemmeno delle piú castigate!
Il momento richiedeva una risatina soffocata che infatti prontamente arrivò. Sir Jack procede al fianco della divinità, Lady Pitman siede alla destra di Dio.
Sir Jack raggiunse a grandi passi la scrivania di Paul e si chinò su di lui. Il Ricevitore di Idee conosceva la prassi: era giunto il momento di incrociare gli sguardi. Per lo piú, si preferiva fingere che lavorare per Sir Jack implicasse schiena curva, occhi bassi e concentrazione instancabile. Ora però, Paul si concesse una panoramica sulla faccia del suo datore di lavoro: capelli ondulati neri come lucido da scarpe, orecchie carnose con il lobo sinistro allungato dall’involontario gesto di Sir Jack durante le trattative contrattuali, la liscia convessità della gola che celava il pomo d’Adamo, il colorito rubizzo, la piccola cicatrice nel punto in cui era stato asportato un neo, le sopracciglia fittissime con qualche filo grigio, e infine, là sotto in attesa, gli occhi intenti a calcolare il tempo necessario all’interlocutore per recuperare il coraggio di affrontarli. Si leggevano cosí tante cose in quegli occhi, dal disprezzo benevolo, alla compassata simpatia, dalla paziente irascibilità, alla collera razionale – sebbene non fosse facile stabilire se tali complessità emotive fossero autenticamente presenti. La logica suggeriva che la strategia di Sir Jack nella gestione del personale consistesse nel proporre una reazione a livello di umore o di espressione immancabilmente inadatte all’occasione. Ma capitava anche di domandarsi se Sir Jack non si limitasse a opporre all’altro la visione di un paio di piccoli specchi, due cerchi simmetrici nei quali si rifletteva soltanto la confusione dell’interlocutore.
Quando Sir Jack fu soddisfatto – e non si poteva mai sapere con certezza che cosa lo avesse appagato – se ne tornò in tutta la sua mole al centro della sala. In piedi sotto il lampadario in vetro di Murano, con i lacci delle scarpe accarezzati dal pelo fitto della moquette, si rigirò in bocca un’altra ponderosa domanda: – Il mio nome... è reale? – Sir Jack considerò la questione, insieme ai suoi due dipendenti. Certe persone ritenevano che il nome di Sir Jack non fosse vero in senso stretto, e che alcuni decenni prima lo avesse privato di ogni traccia mitteleuropea. Altri invece erano convinti che, sebbene nato in una zona a est del Reno, il piccolo Jack fosse in realtà il frutto di un rapporto adulterino consumato tra la moglie inglese purosangue di un produttore di vetri ungherese e uno chauffeur di passaggio originario di Loughborough, e che perciò, a dispetto della sua educazione, del passaporto e di qualche occasionale slittamento vocalico, il sangue di Sir Jack fosse britannico al cento per cento. Alcuni teorici del complotto a tutti i costi e cinici inveterati si spingevano piú in là, ipotizzando che gli slittamenti vocalici rappresentassero di per sé un espediente: Sir Jack sarebbe stato, secondo loro, il figlio degli umili coniugi Pitman, da tempo liquidati, e il magnate avrebbe favorito il circolare della leggenda sulle sue origini continentali. Restava poco chiaro se l’avesse fatto per ragioni di personale autocelebrazione o per ottenere dei vantaggi professionali. Nessuna di queste teorie comunque ricevette sostegno in quella particolare occasione, dal momento che fu lui stesso a fornire la risposta corretta. – Quando un uomo ha generato solo figlie femmine, il suo nome si riduce a mero orpello preso a prestito all’eternità.
Un brivido cosmico, che poteva in origine essere di ordine digestivo, scosse Sir Jack Pitman. Ruotò su se stesso, esalò il fumo e procedette nella sua arringa.
– Sono reali le grandi idee? I filosofi vorrebbero farcelo credere. Di fatto, ho avuto io stesso grandi idee ai miei tempi ma in qualche modo... non metterlo a verbale, Paul, non sono sicuro di volere questa dichiarazione in archivio... a volte mi chiedo quanto fossero vere. Quanto affermo potrà sembrarvi il vaneggiare di un povero vecchio – e non sentendo nessuno protestare indignato, immagino sia proprio cosí – ma può darsi che la vecchia canaglia qui abbia ancora qualche cartuccia da sparare. Forse quel che mi ci vuole è un’ultima grande idea, il bicchiere della staffa, eh, Paul? Puoi riprendere a verbalizzare.
Paul batté: «Forse quel che mi ci vuole è un’ultima grande idea», contemplò la frase sullo schermo, ricordò a se stesso di essere anche responsabile dell’editing, di essere, come una volta lo aveva definito Sir Jack «il mio Hansard personale», il suo segretario parlamentare, ed eliminò l’inefficacia di quel «Forse» iniziale. Nella sua nuova forma piú assertiva, l’affermazione sarebbe entrata in archivio, con tanto di data e ora registrate.
Sir Jack sistemò scherzosamente il sigaro nell’ombelico di una maquette di Henry Moore, si stirò e compí una mezza giravolta. – Dica a Woodie che è ora –, disse alla sua Assistente Personale, della quale non ricordava mai il nome. O meglio, in un certo senso, lo ricordava: si chiamava Susie. Nel senso che lui chiamava Susie tutte le sue Assistenti Personali. Sembravano destinate a un andirivieni piuttosto rapido. Perciò non era esattamente il nome a sfuggirgli, quanto piuttosto la loro identità. Proprio come aveva affermato poco prima: fino a che punto la Susie di turno era vera? Già.
Sfilò la giacca dal Brancusi e se l’appoggiò in spalle, sulle bretelle ministeriali. Nella Sala dell’Encomio si fermò a leggere ancora una volta la ben nota citazione. La conosceva a memoria, naturalmente, ma contemplarla gli piaceva lo stesso. Sí, un’ultima grande idea. Di recente, il mondo non aveva mostrato tutto il dovuto rispetto. Ebbene, al mondo allora occorreva una sorpresa. Paul siglò il verbale e lo registrò. La Susie in servizio attivo avvisò tramite interfono lo chauffeur mettendolo al corrente dell’umore del capo. Poi raccolse il sigaro e lo ripose nel cassetto della scrivania di Sir Jack.
– Sogni un po’ insieme a me, vuole? – Sir Jack levò la caraffa in gesto interlocutorio.
– Io ci metto il tempo, lei i soldi, – replicò Jerry Batson della Cabot, Albertazzi e Batson. Aveva modi sempre gradevoli, ma altrettanto imperscrutabili. Per esempio, non manifestò alcuna reazione palese, in forma di gesto o parola, eppure fu in qualche modo chiaro che gentilmente accettava un armagnac, che avrebbe poi altrettanto gentilmente, gradevolmente e imperscrutabilmente giudicato.
– Lei ci mette il CERVELLO, io i soldi, – la correzione di Sir Jack uscí camuffata da amabile brontolio. C’era poco da scherzare con uno come Jerry Batson, ma l’antico istinto di Sir Jack a stabilire il proprio dominio non lo abbandonava mai. Per farlo, usava la cordialità, la possanza, la predilezione per la postura eretta mentre gli altri sedevano, e l’abitudine a correggere automaticamente la prima affermazione di qualunque interlocutore. Jerry Batson adottava una tecnica diversa. Era un uomo sottile, dai ricci brizzolati e una stretta di mano fiacca offerta malvolentieri. Il suo modo di affermare il proprio dominio o di contestare l’altrui coincideva con la rinuncia a cercarlo, con il ritiro al riparo di un b...