Undici per la Liguria
  1. 64 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Informazioni su questo libro

Undici scrittori liguri, di nascita o adozione, hanno pensato di riunirsi, mettere a disposizione quello che sanno fare per offrire il loro contributo riconoscente alla causa degli alluvionati in Liguria. Chi compra questa antologia aiuterà la Scuola dell'infanzia San Fruttuoso di Genova, resa inagibile dalla recente alluvione. Ester Armanino, Nessun rischio
Giuseppe Conte, Lo spirito del torrente
Ernesto Franco, Storie fantastiche di isole vere. Filfla
Riccardo Gazzaniga, La cella
Maurizio Maggiani, Angeli
Bruno Morchio, Il postino suona sempre due volte
Rosella Postorino, Il mondo verticale
Carlo Repetti, Rovine
Ferruccio Sansa, Genova nel buio
Michele Serra, L'impiegato di Biella
Enrico Testa, Lobelia, muschi *** «Io non ho visto angeli del fango per le strade di Genova, ho visto per quelle strade giovani uomini e giovani donne infangati. Non ho visto materia di puro spirito discesa dal cielo, ma ho visto vite di anima e carne, vite che già vivevano e che ancora vivranno qui, per queste nostre vie e queste nostre case dove nessuno li vede finché non piove abbastanza da scatenare l'ira d'iddio assieme alla nostra mala coscienza. E se vogliamo che siano angeli è solo perché vogliamo sia chiaro, nel contempo, che non è cosa di questo mondo la gratuita generosità». Maurizio Maggiani

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2015
Print ISBN
9788806226688
eBook ISBN
9788858418017

Undici per la Liguria

Nessun rischio
di Ester Armanino

Quando ci siamo trasferiti qui l’abbiamo fatto principalmente perché era comodo. A un passo dalla metropolitana, due dalla stazione, tre dall’autostrada. Dal torrente ci separavano dieci passi, ma questo all’inizio non era importante.
Era importante avere una finestra con un piccolo balcone. Trascinare il tavolino fin lí e fare colazione guardando gli aironi poco sotto di noi. Ci sporgevamo notando cose diverse. Abbiamo continuato a notarle.
Adesso sul balcone io esco per stendere e tu per fumare. Chiudiamo rapidamente la finestra come se dovessimo allontanarci dal ricordo delle cose che abbiamo visto affacciati lí insieme.
Già il giorno dopo i nostri amici hanno ordinato il forno nuovo e recuperato un set di sgabelli a uno stock fallimenti. Poi hanno fatto la denuncia di danni all’assicurazione.
Ieri sono passata e ho visto che stavano ritinteggiando le pareti di giallo. Mi hanno indicato il livello dov’era arrivato il fango, quasi fino al soffitto. Io sulla soglia ho fatto la faccia sconcertata e ho detto: Ma vi serve una mano?
Erano in due con un’intera pizzeria da rifare, i pennelli gocciolanti sulla carta dei quotidiani.
Sembravano quasi felici. Non serviva una mano.
Piú volte ho immaginato il retro del negozio dove tengono gli ingredienti e impastano le pizze. Se il cibo magari cade per terra lo raccolgono, rimettendolo nel piatto.
Tutti i loro risparmi investiti in un fondo a cento metri dal greto di un torrente che ogni tre-quattro anni esonda, e nessuno sembra fare niente per evitarlo. Nemmeno loro. Rimangono lí e ogni volta ripartono da capo.
Tu hai il sospetto che, se potessero, aprirebbero un’attività altrove.
E dove?, chiedo io.
Allora fai un gesto ampio che comprende l’universo seguito da una specie di smorfia, perché la questione in fondo non ti riguarda.
A noi l’acqua non ha portato via niente.
Stai cucinando un risotto. Ti domando come potremmo reagire a una cosa del genere, se hai mai immaginato noi due calati nella catastrofe. Tu scrolli il mestolo sul bordo della padella, mi scruti.
Lo sai cosa significa perdere tutto?
Io sto zitta, apparecchio la piccola tavola su cui mangiamo a colazione, pranzo e cena.
Eh?, continui mettendo il coperchio. Hai una vaga idea di che cosa significhi?
Quando la piena si è ritirata sei sceso a cercare la macchina. L’hai trovata spostata di una decina di metri, addossata alla parete di un tunnel.
Sei entrato e ti sei seduto sul sedile lordo di fango. Hai appoggiato le mani sul volante. Guardavi le altre persone che facevano lo stesso. Ciascuno seduto nella propria macchina piena di fango, con le mani sul volante, a sbattere le ciglia come se si fosse svegliato di soprassalto.
Ti sei accorto che respiravi appena.
Mi hai portato una molletta trovata sul cruscotto. Un piccolo oggetto rosa per i capelli che mi sono rigirata tra le dita. Non è mia, ti ho detto, e cosí l’hai gettata nella spazzatura.
Mi hai raccontato di una donna inginocchiata a estrarre un prosciutto con l’osso incastrato tra ruota e parafango.
E che c’era un uomo che ha visto strisciare qualcosa di molto grosso poco distante dalla fermata dell’autobus: ha guardato meglio ed era un pitone che si nascondeva in una siepe.
Oggi c’è il sole e i bambini sono ritornati a scuola.
Camminiamo per strada scavalcando i tubi delle autopompe che aspirano l’acqua dai fondi allagati e ascoltiamo quello che la gente racconta.
Un tempo gli argini erano piú larghi. Poi un bel giorno li hanno ristretti per fare spazio alla superstrada. Con quella raggiungiamo il posto di lavoro che ci serve per pagare l’affitto e la rata della macchina con cui andiamo al lavoro. Sembra pazzesco ma è cosí che funziona.
Noi non siamo molto diversi, ti dico.
Continui a parlare con chi conserva la memoria di questo posto e io guardo il greto del torrente, l’acqua nera e disorientata ormai ridotta a una traccia.
Aguzzo la vista. Tra i detriti accumulati un po’ ovunque mi sembra di scorgere le nostre cose. Tu scuoti la testa e mi rassicuri. Ci assomigliano ma non sono le nostre.
All’inizio volevamo una casa. Allora ci siamo circondati di finestre e porte, un corridoio e tre stanze, abbiamo discusso sull’arredamento, su dove si poteva fumare e che proporzione dovesse avere il televisore rispetto al contesto.
Poi volevamo cambiarla. Allora abbiamo fatto dei lavori nel bagno, abbiamo spostato un muro, comprato un divano piú bello.
Adesso mi capita ogni santo giorno: chiudo gli occhi e l’acqua sfonda tutto. Non risparmia niente di ciò che volevamo all’inizio.
Dobbiamo andarcene. Ciascuno cerca la sua via di fuga e dice all’altro «ti amo», «anch’io».
Ho visto che anche la coppia di fruttivendoli, madre e figlio, si sta dando da fare. L’edicolante ha un nuovo chiosco e il supermercato dovrebbe riaprire entro una settimana.
Qui tutti ricostruiscono. Sanno che a volte non puoi fare altro. Puoi immaginare una vita altrove, questo sí, ma immaginarla in due è una cosa difficilissima. Meglio rimboccarsi le maniche e ricostruire.
Noi invece di notte non riusciamo a dormire. Ci rigiriamo nel letto, con le mani sui polmoni guardiamo il soffitto.
Non lo so, dico all’improvviso. A me non dispiacerebbe ripartire da capo.
Tu ogni volta che piove per piú di sei ore non ricordi dove hai parcheggiato la macchina. Me lo chiedi e poi accendi la luce.
È vicino all’ospedale, rispondo.
Sembri sollevato. Ti alzi e cerchi le sigarette.
Noi viviamo al terzo piano, dici avvistando il posacenere.
Al terzo piano non corriamo alcun rischio.

Lo spirito del torrente
di Giuseppe Conte

Il vecchio stava risalendo il sentiero lungo la collina. Il mare se ne stava laggiú, addormentato in una bacinella d’oro. Il cielo era immobile, senza una nuvola e un filo di vento, l’aria impolverata dalla canicola. Il vecchio si fermò, appoggiò la schiena a un tronco per prendere respiro. Un tempo aveva visto la sua terra come un altare di pietra tra mare e cielo. Era lei che l’aveva salvato, dopo una giovinezza ammutolita da desolazione e disperazione, quando tutto gli era sembrato vuoto e silenzio, un infinito abisso di insensatezza. Lei gli aveva offerto la sua luce, i suoi strapiombi, i suoi promontori incurvati come dorsi di delfini, i suoi porti, le sue osterie, il suo sapore di basilico e l’aspro del suo vino. Gli aveva mostrato l’unica minima, residua ipotesi di felicità: affondare le mani nell’erba dei suoi terrazzamenti assolati, imparare a parlare con i suoi boschi e i suoi fiumi.
Aveva vissuto due guerre mondiali. E tante altre sue vicende: cose da niente, senza peso, gli sembravano adesso. Lui non aveva mai abbandonato la Liguria, non l’aveva mai tradita. Era diventato un vecchio saggio, aveva rinunciato a tutto e aveva ottenuto tutto quello che conta di piú, una serenità senza limiti, un senso di fratellanza misteriosa, gioiosa con l’universo. E ora aveva sul volto non una maschera d’angoscia, ma quell’espressione di innocenza, propria dei giusti, dove infanzia ed estrema vecchiaia finiscono per congiungersi.
Era un po’ che non raggiungeva quell’altitudine. Dopo una svolta ripida nel sentiero, si arrestò e retrocesse di scatto, scosse la testa come per dire no, poi la piegò in basso. Era di fronte a un pendio calvo, completamente diserbato e senz’alberi. Di un colore impestato, cadaverico, che neppure l’inferno poteva averne uno simile. Doveva essere stato l’incendio di qualche settimana prima. Il vecchio diresse lo sguardo alla costa: scavatrici e cemento vi avevano prodotto quella uniformità plumbea, quell’ammassarsi di case senza un’anima di verità, una striscia di bava densa lungo il mare, che si estendeva giorno per giorno, e cominciava a risalire le vallate seguendo le piste dei terreni incendiati.
Il vecchio riprese il cammino. Non stava trovando niente di quello che cercava. Le fiamme, le esalazioni acri del fumo avevano creato il deserto. Era come se da quel pendio venisse su un canto funebre, stonato, strozzato. Arrivò in prossimità del torrente che conosceva bene, nelle cui pozze d’acqua limpida aveva spesso visto guizzare controcorrente le trote. Era completamente a secco. Il greto tutto un ossame biancastro. Sulle sponde erano cresciuti roveti, canne, erbe alte, e tra la vegetazione spuntava la carcassa di un ratto e un pneumatico bruciato e mordicchiato, tra sacchi di rifiuti. Il vecchio sentí scendere le lacrime come una liberazione. Fu in quel momento che, al suo orecchio esercitato ad ascoltare le voci delle cose, gi...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Undici per la Liguria
  3. Noi sapevamo
  4. Undici per la Liguria
  5. Il libro
  6. Copyright