L'esercito delle cose inutili
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L'esercito delle cose inutili

  1. 216 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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L'esercito delle cose inutili

Informazioni su questo libro

Leggi un estratto. *** «Insomma, quel mattino di novembre, mentre andavo a zonzo nel vuoto da non so quanto tempo, succede che io incontro questo tale. E vi posso dire che, accidenti, se prendevo a destra anziché a sinistra non lo avrei incontrato. Quindi? Quindi tutto questo deve pur significare qualcosa. Ho preso a sinistra ed è stato tutto quel che è stato, questa benedetta storia che adesso vi racconto». È da qui che prende avvio il romanzo, per trascinarci presto in un altrove abitato da asini, libri, funamboli, macinini da caffè, poeti, scollatori di francobolli e altre mirabolanti creature. E poi c'è Guglielmo, un ragazzino che scrive delle lettere sgangherate e bellissime da cui emerge a poco a poco la sua storia. E c'è qualcuno, Raimond, che raccoglie quelle parole e le trasforma in un'azione. Perché ciò che è vecchio, desueto, ai margini, eccentrico, può essere mosso da un'energia misteriosa e seguire strade poco battute, dove l'utile e l'inutile sanno ribaltarsi l'uno nell'altro e diventare, forse, una sostanza nuova.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2015
Print ISBN
9788806223922
eBook ISBN
9788858418048

Capitolo 1

in cui Raimond decide di raccontarvi tutto
e vi parla di una certa lettera,
che chiama la «lettera terribile»,
non si capisce perché

Bene, adesso io vi racconto quel che mi è successo perché non è possibile che una storia cosí capiti a uno, e gli altri lí beati che non ne sanno niente. Non è giusto. È una cosa troppo grossa.
Di sicuro ha dentro anche un significato pazzesco. Che però io non vedo. Non lo vedo ancora, questo benedetto significato pazzesco.
Io vi racconto com’è andata perché voi cosí mi dite come diavolo muovermi. Perché non vorrei sbagliare, non vorrei proprio per niente sbagliare. Sento che la vita si è rimessa in moto, che mi vuol dare ancora un’occasione, e per tutte le salamandre della terra non vorrei buttarla a mare, questa occasione.
Sul perché le cose accadono o non accadono, lo so, siamo divisi in due. Metà pensa che non ci sia mai nessun perché e che le cose nella vita accadono perché han voglia di accadere. Metà invece pensa che c’è sempre una ragione, e la prova è che se non fosse cosí ne accadrebbero altre, di cose, e non proprio quelle che accadono. Io che ne so? Non mi ci metto neanche a dire chi ha torto o chi ha ragione. Ma mi stanno piú simpatici i secondi, se no la vita mi sembra tutto un niente, qualcosa che se non c’è fa uguale.
Ad esempio, sull’isola, la mia amica Marci pensa che un perché c’è sempre, e bisogna trovarlo. Lei ne trova tantissimi, almeno uno al giorno. Dice che è bellissimo, è come aprire scatole. Ma questo è quello che pensa Marci, e siccome ha già un piede nella fossa, nessuno la sta a sentire. Invece il vecchio Vincent, che non è vecchio per niente, avrà la metà degli anni di Marci ma lo chiamiamo cosí per tutte quelle arie che si dà da vecchio saggio, dice che sono tutte balle. A me piace molto il pensiero razionale di Vincent. Vorrei essere uno che ha il pensiero razionale. Ma mi piaceva molto anche Marci quand’era giovane, diciamo che avrei potuto provarci a un certo punto, se non mi fossi distratto. Quindi, sarà per questo o no, io preferisco come la pensa Marci.
A proposito, io mi distraggo parecchio, nella vita. Sono uno cosí.
E fin qui era solo per dirvi un po’ come la penso.
Invece quel che vi voglio raccontare è questa cosa delle lettere che ho ricevuto.
Io è da un po’ che ricevo lettere. Ma le lasciavo lí, perché cos’altro dovevo farne? Le mettevo da parte, belle ordinate una sull’altra e manco le guardavo. Perché uno come me, cosa volete che se ne faccia delle lettere che riceve? Già è incredibile che riceva lettere, uno come me.
E invece poi di colpo, ieri, ne leggo una. L’ultima che mi arriva. La leggo. Me la consegnano come le altre, precisa uguale, e la metto sopra il mucchio. Ma piú tardi la leggo. La apro e la leggo, ci pensate? Da lí me le leggo tutte quante a razzo, trenta o quaranta o che ne so. Tutte stanotte. Al contrario. Cioè le leggo andando indietro come i gamberi perché l’ultima era quella che mi veniva per prima. Ci passo la notte intera a leggerle, e anche un pezzo del mattino, sono un bel mucchio, non avete idea.
Tutto perché questa benedetta lettera che mi è arrivata ieri non era proprio per niente come le altre. Era terribile! Per questo dentro di me la chiamo cosí, la lettera terribile.
Mi è arrivata ieri mattina, questa lettera terribile.
Io l’ho lasciata lí, sul mucchio. Come le altre. Anche se lei non era come le altre, ve l’ho detto, era terribile.
Poi ieri sera torno a casa, aspetto che passino gli inservienti, e quando se ne vanno mi metto fuori. C’era la luna. Io sono uno che guarda la luna. E poi quando rientro, prima di dormire la leggo. Ma cosí, tanto per. Perché uno prima di dormire può anche leggersi una lettera, se gli va.
Però adesso che l’ho letta non so proprio cosa fare, ed è per questo che voi dovete starmi a sentire. Cioè, sarebbe meglio. Perché una decisione la devo prendere, e non mi andrebbe di sbagliarla.
Non mi andrebbe proprio per niente di sbagliarla.

Capitolo 2

in cui Raimond comincia a dirvi che girovaga e
che andando per una strada deserta
incontra un tale alto un litro di latte;
e che gli piace molto sedersi sul ciglio delle strade

Allora, mettiamo le cose in chiaro. Perché, se non sapete niente di me, come fate a dirmi cosa fare?
Io sono qui da un certo tempo. Qui vuol dire in questo posto che non ho ancora capito bene che posto sia e ve lo dico dopo come si chiama, che mi fa ridere solo a pensarci. Cioè, un po’ ridere e un po’ piangere.
Da un certo tempo quanto? Be’, non ne ho la piú pallida idea. (Non so come possa succedere che un’idea sia pallida, ma se si dice vuol dire che può succedere). Facciamo che sono sei mesi, e non ne parliamo piú.
Allora, io sono qui da sei mesi. Tanto son fatto cosí, non tengo mai il conto dei giorni. C’è chi lo fa, lo so. Voi per esempio usate i calendari, le agende. Io invece mi adagio sul fluire dei giorni, detto un po’ poeticamente. Cioè, guardo che viene buio e poi torna la luce e poi è di nuovo buio e via cosí. È un ritmo. Ci si può far portare, se si vuole. Come da un’altalena, o un’amaca che ti culla. Vi piace? A me un sacco, soprattutto l’amaca. Ne avevo regalata una alla mia amica Sammi (io avevo proprio tante amiche sull’isola, se non l’aveste ancora capito). Poi lei ha preferito un altro, ma io l’amaca gliel’ho lasciata lo stesso perché sono un signore.
Il ritmo ti può bastare, dicevo, non è necessario il conto. Cosa li conti a fare i giorni? Tanto passano.
Secondo me comunque era quasi Natale. Direi novembre. Lo sentivo nell’aria, avete presente quell’odore misto di pigne, candele e polvere? Polvere perché la gente va di fretta e c’è un viavai bestiale prima di Natale, quindi si alza una gran polvere, non so se anche a voi vi entra nelle narici, a me sí, e certe volte mi fa persino starnutire.
Era mattino. Sí, doveva essere un mattino di novembre. Gelido. Io ero sulla strada. Una strada gigantesca asfaltata, dove sfrecciano di solito miliardi di macchine. Ma quel mattino quattro in croce ce ne saranno state, di macchine. E quella strada, be’, come strada era lunghissima. Di quelle che se guardi avanti non vedi la fine, cioè guardi l’orizzonte, ma poi cammini e lui si muove, l’orizzonte, non sta mai fermo. Mai capito, lo fa apposta?
Ogni tanto incontravo un albero. Un albero storto. Con i rami tutti sbilenchi da un solo lato. E neri. Senza foglie. Come se un vento li avesse stortati. Un vento che era arrivato, aveva piegato i rami tutti da una parte sola, e poi tanti saluti.
Insomma, io andavo, e di strada davanti ne avevo le tasche piene perché io non sono un randagio.
Cioè, io sono un randagio. Sono proprio questo: un randagio. Ma solo perché a un certo punto lo sono diventato, sia chiaro. Io non volevo di sicuro. Io sono nato per portare pesi, nella vita. Non per fare il randagio. Io sono tutto il contrario di uno che non sa cosa fare e dove andare a sbattere le corna. (Sbattere le corna lo diceva sempre mia madre, per esempio a mio padre quando tornava all’ora beata: Si può sapere dove sei andato a sbattere le corna? Da piccoli ci mettevamo a ridere, io e i miei fratelli, sulle corna invisibili di papà). A me non piace niente andare senza sapere dove. A tanti piace da morire, lo so. Ci sguazzano. Si credono anche chissà chi, perché vanno, vanno… senza un dove, senza un quando. Si credono chissà chi, che solo loro conoscono la libertà. E gli altri cosa sono? Dei poveri scemi che non hanno capito niente.
A me invece piaceva avere un tetto, quattro mura, e anche una famiglia. E sapere ogni giorno gli orari, le cose che devi fare, tipo portare pesi, e non si sgarra. Quella è una vita buona, secondo me.
Comunque, io era da poco che vagabondavo, non piú di un anno. Ero un vagabondo recente, si può dire? Uno che non ci ha ancora fatto l’abitudine, e quindi non ci prova gusto per niente. E quel mattino mi facevano male le ginocchia, un male cane. Anche perché non sono piú tanto giovane, ve l’ho detto? Non che sia vecchio. È solo che non sono piú tanto giovane. E camminavo un po’ a sghimbescio, perché dopo tutto quel tempo, mesi, magari anche un anno che ti alzi al mattino e non hai nient’altro da fare che macinare strada, alla fine non ne puoi piú e vai cosí: a sghimbescio. Me ne accorgevo dalla linea bianca in mezzo, che un po’ mi si avvicinava e un po’ mi si allontanava, diciamoci la verità: non riuscivo a tenermela dritta davanti.
Poi a un certo punto l’ho visto.
L’ho visto da lontano che camminava in direzione opposta alla mia: uno che mi veniva incontro giusto sui piedi. O cosí mi è parso, non voglio dire proprio esattamente che camminava, le gambe muoversi non gliele vedevo. Non mi ci sono messo, a guardare i dettagli. Ho solo visto uno che si avvicinava a me. Se poi ero io che mi avvicinavo e lui stava fermo, seduto, o appoggiato sul ciglio della strada, questo non lo so. So che era piccolissimo, questo sí. Minuto. Un tipo minuto e un po’ squadrato. Alto a occhio e croce un litro di latte.
Insomma, quel mattino di novembre, mentre andavo a zonzo nel vuoto da non so quanto tempo per quella strada dritta e deserta, succede che io incontro questo tale. E vi posso dire che, accidenti, se prendevo a destra anziché a sinistra non lo avrei incontrato. E tutto quel che mi è successo dopo non sarebbe mai successo, e sarei ancora lí a fare il randagio con le ginocchia massacrate, e non sarei certo qui a parlare con voi perché, diciamocelo, non avrei proprio niente da dirvi e meno che mai da chiedervi. Quindi? Quindi tutto questo deve pur significare qualcosa, no? Ho preso a sinistra ed è stato tutto quel che è stato, questa benedetta storia che adesso vi racconto. E ci sarà ben un perché, direbbe la mia amica Marci, quella dei perché.
Insomma, quando sono a pochi passi, lo distinguo meglio. Mi sembra un tipo davvero molto scompaginato. Soprattutto di profilo.
Quando sono a un metro, gli giro intorno. Vado e vengo, non mi avvicino e non mi allontano piú di tanto. Strascico il passo, alzo polvere, storco il collo. Faccio gesti cosí, per prendere tempo. Cincischio. Tergiverso.
Il sole è alto, tenue. Me lo ricordo perché non riscaldava ma c’era, e mi ricordo che mi piaceva che ci fosse, quel mezzo sole d’inverno. Faceva vivide le cose, le stagliava precise sull’orizzonte, e a me piace vedere che la luce disegna bene i contorni, mi dà sicurezza, perché cosí la nebbia non mi ammazza il mondo.
Quel tale si era fermato davanti a me. O era già fermo. Comunque lo saluto e gli dico buona giornata, perché me l’ha insegnato mia madre: La prima cosa, Raimond, saluta. Da piccolo non lo facevo per timidezza. I timidi non hanno nessuna voglia di salutare la gente che incontrano solo perché la incontrano. Una volta che saluti, cosa cambia? Sconosciuti come prima. Allora non sarebbe meglio andare al sodo, che uno saluta solo chi gli va? Ma questo ragionamento non hai voglia di farlo con tua madre, quando sei piccolo. Soprattutto se sei timido.
Mia madre si chiamava Carmina ed era molto bella. Solo un po’ sovrappeso.
Vi stavo raccontando di quando ho incontrato quel tale, okay. Quante cose vi dovrei dire in mezzo, ma come faccio? Non mi basta il fiato.
Allora lui mi parla, nella fattispecie mi dice buongiorno (nella fattispecie è a dir poco stratosferico!) Un tipo gentile. E poi subito mi chiede dove vado, e questo invece mi dà un po’ fastidio, perciò gli rispondo che non vado. E lui: Ma no, guarda che vai, perché se non andavi io non t’incontravo. Anche logico. Vado non so dove, dico. Anch’io, mi fa. E scoppia a ridere in un modo strano, con tutto quanto che gli si scompagina ancor di piú. E io penso: ah be’, allora sei randagio anche tu. Ma lo penso solo.
– D’accordo, allora sediamoci, – mi fa.
E io mi dico: ma cosa c’entra? Se uno non sa dove va, allora si siede? Forse non è poi un tipo cosí logico. Comunque il suo non-ragionamento mi piace, anche per via delle ginocchia che mi fanno male.
Mi metto vicino a lui, sul ciglio della strada. Proprio nel punto di confine, dove da una parte c’è l’asfalto e dall’altra il prato: il ciglio. Dove non è né carne né pesce. Sedersi sul ciglio vuol dire: e che ne so?, per il momento sto a metà, poi si vede, non mettetemi fretta. Vuol dire tutta una cosa cosí.
Mi prendo un filo d’erba e me lo mastico. Mi dà sicurezza masticare un filo d’erba. Se a voi non piace, non fatelo. Però provate, giuratemi che provate.
Dopo che siamo stati un bel pezzo cosí, seduti sul ciglio a far niente, mi dice se andiamo a cena, che lui conosce un posticino. Mi pare uno buono per fare due chiacchiere. Allora gli chiedo come si chiama. Anche se magari non ce l’ha un nome, un tipo cosí, pensavo. E invece ce l’ha:
– Res… – mi dice.
Me lo dice con la voce che gli tituba, come se dovesse aggiungerne un pezzo. Tanto che gli chiedo di ripetermelo. E lui questa volta fa la voce ferma:
– Res. Mi chiamo Res.
A cena beviamo un sacco. Cioè, lui fa bere me. Non parla molto, dice che vuole solo ascoltare. E io comincio a raccontargli delle isole greche, della mia che è piccolissima, una specie di sputo dentro il mare. Ma vedo che non capisce. Forse non sa dov’è la Grecia. E come fa? Secondo me uno cosí non ha mai viaggiato.

Capitolo 3

in cui Raimond racconta
di quando l’hanno strappato via dall’isola
e ha visto la sua vecchiaia sotto forma di piazzale;
vi informa anche che ha due figli,
che Res vuole portarlo nel «posto adatto»,
e lui un po’ è contento e un po’ no

Quella sera a cena gli ho parlato di tante cose che adesso mi sembrano tutte aggrovigliate peggio di una corda. Di sicuro gli ho parlato della notte in cui sono venuti a portarmi via, questo sí, perché mi brucia. È passato del tempo ma mi brucia. La notte dello strappo, la chiamo io. È sempre lí, quello strappo, ce l’ho piantato nel cuore che non va piú via.
Un anno fa, o anche di piú. È quasi notte, non dormo ancora, quando sento il rumore di un freno a mano tirato di botto, e vedo una polvere bianca entrare nello stanzone. È sempre cosí, la strada sterrata che fa ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. L'esercito delle cose inutili
  3. Nota.
  4. Capitolo 1 - in cui Raimond decide di raccontarvi tutto e vi parla di una certa lettera, che chiama la «lettera terribile», non si capisce perché
  5. Capitolo 2 - in cui Raimond comincia a dirvi che girovaga e che andando per una strada deserta incontra un tale alto un litro di latte; e che gli piace molto sedersi sul ciglio delle strade
  6. Capitolo 3 - in cui Raimond racconta di quando l’hanno strappato via dall’isola e ha visto la sua vecchiaia sotto forma di piazzale; vi informa anche che ha due figli, che Res vuole portarlo nel «posto adatto», e lui un po’ è contento e un po’ no
  7. Capitolo 4 - in cui Raimond arriva nel posto adatto e scopre che è il Paese delle cose inutili, e voi a vostra volta scoprirete chi è quel tale alto un litro di latte, vi chiederete come sia possibile e non troverete la risposta
  8. Capitolo 5 - in cui Raimond vi spiega il mistero dei prati, non prova a fare il funambolo perché soffre di vertigini ma prova a occupare panchine e osserva molto i cani far pipí
  9. Capitolo 6 - in cui Res spera che Raimond diventi un giocoliere, o almeno un avvitatore di lampadine, o un allevatore di girini, o una madre di figli lontani; e Raimond invece diventa cosí triste che sogna la sua mamma quando è morta
  10. Capitolo 7 - in cui Raimond parla dei treni paralleli, vi legge finalmente qualcuna delle lettere che riceve, e voi scoprirete chi gli scrive
  11. Capitolo 8 - in cui Raimond non scala le montagne e non fa il navigatore solitario
  12. Capitolo 9 - in cui finalmente si capisce chi è Raimond (e meno male, se no ve lo avrei detto io)
  13. Capitolo 10 - in cui Raimond si presenta (era ora)
  14. Capitolo 11 - in cui Raimond, davanti alla leggerezza degli aquiloni, parla della sua vita pesante, e alla fine vi descrive le ragazze della merenda
  15. Capitolo 12 - in cui Raimond racconta a Garibaldi la sua infanzia e giovinezza, per esempio di quando si è innamorato di Agata, e poi descrive come la pancia gli è diventata penzola e la schiena concava
  16. Capitolo 13 - in cui lo scontroso asino Garibaldi racconta a Raimond la sua storia, da cui si capisce perché è scontroso
  17. Capitolo 14 - in cui Raimond vi legge tre lettere di Guglielmo
  18. Capitolo 15 - in cui Raimond scopre che i libri ce l’hanno con Res; per aiutarlo si mette a passeggiare a vuoto e a raccogliere sassi; cosí scopre che il cuore è un triangolo
  19. Capitolo 16 - in cui Raimond vi legge le lettere in cui Guglielmo gli racconta meglio di Dennis Cartozza, e anche di sua sorella Benedetta, che per lui non è benedetta proprio per niente
  20. Capitolo 17 - in cui Raimond riflette sulla sua incapacità a essere felice essendo inutile; si lancia in uno sproloquio sui medici che c’entra davvero poco e vi svela anche un suo amore segreto
  21. Capitolo 18 - in cui Raimond ricorda la prima volta che è arrivato il postino Frido
  22. Capitolo 19 - in cui Raimond vi legge altre cinque lettere di Guglielmo
  23. Capitolo 20 - in cui Raimond va dai trapiantatori di primule e dagli scollatori di francobolli e (non chiedetemi come mai) si perde in un pensiero sulle buste e sui noccioli di ciliegia
  24. Capitolo 21 - in cui Raimond vaga ancora per prati, nonché per pensieri ingarbugliati su animali vari, tra cui trote, leoni, antilopi e topi
  25. Capitolo 22 - in cui Raimond vi legge la lettera di Guglielmo dove dice che si è innamorato di una certa Martina (da cui anche, casualmente, si capisce che i trapiantatori di primule un loro senso ce l’hanno…)
  26. Capitolo 23 - in cui Raimond s’interroga sul raccogliere conchiglie, scopre il prato del pianto e incontra la ballerina innamorata del cavatappi
  27. Capitolo 24 - in cui Raimond, siccome è diventato triste con la storia della ballerina, per distrarsi vi legge un po’ di lettere di Guglielmo
  28. Capitolo 25 - in cui Raimond gira a lungo per il prato del pianto, incontra l’amante infelice, la casa sfitta, il biologo solitario, il dipinto trascurato; fino a che (era inevitabile) viene da piangere anche a lui
  29. Capitolo 26 - in cui Raimond, piangendo, vi racconta la tristissima storia della sua Agata
  30. Capitolo 27 - in cui Raimond si asciuga le lacrime e, tanto per riprendere un po’ fiato, vi legge una lettera di Guglielmo su un tema che gli sta molto a cuore
  31. Capitolo 28 - in cui Raimond scopre che Res non si chiama Res, e ascolta la sua triste storia
  32. Capitolo 29 - in cui Raimond s’interrompe sul piú bello e vi legge ancora due lettere di Guglielmo
  33. Capitolo 30 - in cui Reso fa a Raimond una proposta bizzarra, Raimond scalpita non poco (cioè, scalcia) ma poi accetta
  34. Capitolo 31 - in cui Raimond legge e basta
  35. Capitolo 32 - in cui Raimond sta per leggervi la famosa lettera terribile, ma prima di farlo vi legge l’ultimo blocco delle lettere di Guglielmo, dove vedrete che la storia con Martina precipita
  36. Capitolo 33 - in cui Raimond finalmente (siamo a pagina 153!) fa la cosa per cui ha cominciato a raccontarvi tutto, cioè vi legge la cosiddetta «lettera terribile»
  37. Capitolo 34 - in cui Raimond ricapitola e non si raccapezza
  38. Capitolo 35 - in cui Raimond vi rimprovera molto, ma poi se ne fa due baffi di voi, e decide lui cosa fare
  39. Capitolo 36 - in cui Raimond si accorge di essere in tre, e si ricorda di una frase di suo padre
  40. Capitolo 37 - in cui l’esercito, che fino a un secondo prima non sapeva di esistere, esiste
  41. Capitolo 38 - in cui Raimond e Reso sono di nuovo seduti sul ciglio, tutto è già avvenuto, e voi giustamente vi chiederete: ma che cosa è avvenuto?
  42. Capitolo 39 - in cui Raimond continua a non raccontare com’è andata, non lo fa apposta, è cosí
  43. Capitolo 40 - in cui Raimond finalmente racconta cosa ha fatto (o meglio, cosa non ha fatto) davanti alla scuola di Guglielmo
  44. Capitolo 41 - La guerra (o La festa? Non so, non si capisce niente, vedete voi)
  45. Capitolo 42 - Guglielmo
  46. Capitolo 43 - in cui vi viene svelato il mistero dei trapiantatori di primule, e non solo
  47. Capitolo 44 - in cui Raimond scrive una lettera (si fa per dire) a Guglielmo
  48. Capitolo 45 - È il finale del libro, quindi non vi dico niente
  49. Il libro
  50. L’autore
  51. Dello stesso autore
  52. Copyright