
eBook - ePub
Il puro e l'impuro
- 264 pagine
- Italian
- ePUB (disponibile sull'app)
- Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub
Il puro e l'impuro
Informazioni su questo libro
Contro tutte le metafisiche, antiche e moderne, che hanno cercato di immunizzare l'esperienza umana, purificandola dalla sua stessa costitutiva molteplicità, Jankélévitch riconosce nell'infinita alterazione della vita l'unica fonte di senso per l'azione umana. In tal modo, in un paradossale elogio dell'equivoco, l'impurità diventa la sede indepassabile di una purezza non metafisicamente presupposta, ma calibrata sull'attitudine intransigente a discernere in ogni singola occasione il bene dal male.
Domande frequenti
Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
- Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
- Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Il puro e l'impuro di Vladimir Jankélévitch, Enrica Lisciani-Petrini, Valeria Zini, Enrica Lisciani-Petrini,Valeria Zini in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Filosofía e Historia y teoría filosóficas. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.
Informazioni
Capitolo terzo
Dalla complessità alla confusione
L’alternativa tra il puro e l’impuro diventa meno lacerante a partire dal momento in cui la disgiunzione dualista cede il posto alla complessità pluralista: il puro non è divenuto impuro stringendo alleanza con un corruttore, ma il puro è già, se non intimamente impuro, per lo meno composto; il semplice è intrinsecamente una molteplicità. Dopo l’opzione semplicista e intransigente che il duale c’impone, il plurale sembra compatibile con le sfumature, con i compromessi, con i sotterfugi; il pluralismo in effetti dice di sí alla pluralità, là dove il dualismo diceva di no alla dualità. Il pluralismo è un’accettazione e un’affermazione, mentre il dualismo è una protesta.
1. Posologia della complessità.
C’è un dualismo che è un pluralismo elementare e che implica un’impresa di semplificazione; la dualità, per esso, non è piú un duale, né una diade, ma un duo, poiché non è che il semplice plurale: il plurale a due! Con l’attenuarsi della tensione drammatica, mentre svanisce anche la fobia della carne, si chiamerà dualismo la presa di coscienza della dualità e l’adattamento dell’homo duplex alla sua duplice esistenza: distinguere nettamente due sostanze che il monismo confonde significa volere l’unità non nella confusione ma nella chiarezza, significa volere la semplicità critica e la trasparenza. Chi fa molta attenzione a non mescolare i modi del pensiero e quelli dell’estensione, a non trattare la psiche da fisico, né la physis da psicologo, chi rispetta il parallelismo evitando il chiasmo, attribuendo a ognuna delle due sostanze ciò che le compete, vivrà puro in piena dualità, puro fin da quaggiú, puro in un mondo impuro. Chi, adattato al regime parallelista, prende posto risolutamente nell’esistenza mista e pensa distintamente i modi dell’unione e la comunicazione delle sostanze, vivrà di una vita assolutamente non lacerata né dilaniata, ma relativamente semplice, e tanto armoniosa quanto un contrappunto a due voci. Grazie a questa precauzione speculativa, la filosofia delle nature semplici e delle idee distinte fa avvertire la consonanza nascosta nella complessità polifonica dell’anfibio. L’essere psicosomatico sarà semplice come un’anima senza corpo. La dualità non è piú una maledizione e un pericolo permanente di corruzione, ma è la struttura stessa dell’essere duplice. La conversione dal duale al plurale esprime il fatto che il semplicismo grandioso fondato sulla simmetria passionale dei principî viene meno di fronte al sincretismo che si preoccupa di salvaguardare la complessità costitutiva. Non che questo subentri sempre a quello nella storia: Manicheismo è il nome, nell’Antichità, di una dottrina relativamente decadente, e viceversa la filosofia pluralista delle mescolanze concrete appare prima di Socrate, soprattutto con Anassagora. Accade anche che il pluralismo e l’antitesi dualista coesistano in una stessa dottrina… In ogni caso, l’attenzione al plurale è un mezzo per eludere la scelta lacerante; il «passatempo» del plurale ci dispensa dalle opzioni definitive. Se si ammette che il dualismo etico è costruito sul dittico del giorno e della notte, sul contrasto sommario fra il bianco e il nero, sull’antitesi fra i raggi e le ombre, in una parola su un effetto di discordanza, si potrà dire che il pluralismo estetizzante accoglie la varietà innumerevole delle sfumature. La morale condanna o approva l’intenzione, a seconda che l’intenzione sia buona o cattiva, ma non perde tempo a fare l’inventario delle qualità, né a degustare i sapori. La sua sottigliezza consiste come tale nel denunciare l’impurità di una coscienza presunta immacolata, l’innata oscurità di un’anima solo apparentemente candida, perché un’anima confusa è come una pulizia ingannevole: essa è già sporca, macchiata, maledetta e nera come l’inferno! È la psicologia a riabilitare la grisaglia e la diversità avvertibile; è la psicologia a essere sfumata, dunque indulgente, a tener conto dei fattori circostanziali inerenti a ogni situazione umana, ad accogliere la complessità dei caratteri e a graduare all’infinito i suoi giudizi. Le circostanze «attenuanti» non sono forse per lo psicologo ciò che le gradazioni sono per un pittore, un mezzo per sfumare il nero del peccato e il bianco dell’innocenza con le tinte piú o meno chiare, piú o meno scure dei motivi indifferenti? Per il pittore, e in particolare per l’impressionista, l’antitesi manichea con la tensione dei contraddittori e la grande dicotomia elementare che è lo sfondo della morale diventano sfumate e perdono la loro risolutezza. Tra le estremità nette il pittore moltiplica le transizioni impercettibili e i tocchi delicati. Tra l’ombra e la luce, il compito che gli spetta, come pittore, è quello di inserire il piú possibile mezze tinte e tonalità intermedie. Egli mischia i colori sulla sua tavolozza per sfumare la polarità semplicista della luce e dell’oscurità: i colori, infatti, non sono che modalità della luce. Il paesaggio del pluralismo non è quel chiaro-scuro manicheo in cui lo scuro e il chiaro si affrontano nella loro irriducibile e insolubile opposizione, ma piuttosto la penombra, che è mescolanza di giorno e notte, la penombra in cui, a dosi variabili, la luce e l’oscurità si compenetrano per dare nascita a tutte le schiarite, a tutte le gamme dei crepuscoli e delle aurore. Se si preferiscono altre immagini, si può invece dire che l’essere complesso non si veste piú «in bianco e nero»; il suo abito è variegato e multicolore come l’arcobaleno. Le percezioni macroscopiche, in Leibniz, si stemperano nella gamma delle piccole percezioni inavvertibili che formano la tela di fondo continua dell’esperienza, e allo stesso modo moltiplicare le circostanze attenuanti e le transizioni infinitesimali è l’occupazione a cui si consacra l’ottimismo dell’Armonia nel grande affresco intitolato Teodicea. Il male è un bene minore, un’ombra piacevole sul quadro, una sfumatura amabile, e l’antitesi del bene e del male non è piú netta di quella del caldo e del freddo. Kant però, autore a sua volta di un saggio sulle «grandezze negative», contesterà che si possa ridurre l’inversione drammatica dei principî alla successione continua dei gradi: il suo trattato sulla Religione non parla forse del male radicale, della lotta del principio buono contro quello cattivo e del regno di Dio sulla terra?
La posologia che risponde con precisione quantitativa alla domanda ipotetica Quanto dà per scontata la realtà della complessità: quando si è impegnati a contare le gocce e le pillole, non c’è piú tempo per lamentarsi della caduta, né di problematizzare l’origine radicale delle miscele; il dosaggio è contemporaneo a una modernità impura interamente adattata alla sua impurità. Le misurazioni intervengono in un secondo tempo quando il dado è già tratto, quando l’uomo è decisamente destinato alla vita mista. Il metretico ha rinunciato all’unità e alla semplicità del nostro essere; non si pone nessuna questione di principio sulle ragioni etico-metafisiche della mescolanza, non si domanda, per esempio: perché la miscela presente, anziché un’altra del tutto diversa? e perché in generale l’esser mescolato piuttosto che l’essere semplice? Ma si colloca risolutamente nel pieno della continuazione empirica senza contestare il va-da-sé dell’esistenza mescolata. In questo adattamento alla pluralità non c’è forse un elemento di rassegnazione? La conversione morale è legata alla problematizzazione metafisica: se la mescolanza risulta da un peccato, allora è contingente e di conseguenza può essere semplificata. Quando infatti si rimette perpetuamente in questione la ragion d’essere di una vita mista, viene a essere scossa la necessità stessa della commistione in generale: quel che una volontà ha fatto, una volontà può disfare! Se al contrario l’origine della mescolanza resta sepolta in un’eternità immemoriale, allora la coscienza, scoprendosi sempre posteriore al fatto compiuto e sempre in ritardo sull’a priori della complessità, vede decrescere il suo potere di porvi rimedio. Beninteso, anche in quest’ultimo caso sarebbe ancora lasciato un certo margine di speranza all’attivismo dell’uomo tecnico, ingegnere e chirurgo, alla terapia della cauterizzazione e del bisturi. L’analisi medica, per esempio, non è forse il preludio di un trattamento curativo che normalizzerà la composizione del sangue? La filosofia dei misti, anche se si rassegna alla quoddità della miscela, non dispera di perfezionare la lega, di combinare meglio la mescolanza, dato che miscela c’è, di modificare gli ingredienti dell’amalgama. Platone, nei suoi ultimi dialoghi, è piú che mai appassionato di pedagogia, ortopedia, eugenetica e medicina: il Filebo ci propone una classificazione normativa dei valori e un’etica della mescolanza buona e saggia, il Politico, definendo l’arte di intrecciare, annodare, incrociare i fili della trama sociale, prevede una cernita e una selezione. Chi, con i matrimoni e l’associazione dei temperamenti contrari, ordisce il tessuto della città saprà eliminare per migliorare… No, l’educatore non viene meno alla sua speranza di influenzare il destino! Viceversa la posologia basata su ipotesi dei moderni, se non rinuncia a trasformare la vita mista, dispererà di superare il composto di cui dosa le componenti: essa non spera piú, in generale, di ritornare sul fatto della mescolanza in quanto tale, né di contestare la pluralità del plurale o la complessità del complesso, né di ricondurre la creatura alla sua semplicità dei primi giorni. Incline com’è a giustificare l’esistenza concreta e impura nel suo insieme – come quella Teodicea leibniziana che ridimensiona, purtroppo, e a cuore cosí leggero, le pretese sublimi del catarismo. L’uomo rinuncia tanto a isolarsi da un universo sociofisico con cui è solidale quanto a distaccare la sua anima dal suo corpo; l’interdipendenza, in entrambi i casi, è riconosciuta come inestricabile. La filosofia dei misti resta dunque alla superficie del destino: essa calcola, misura, soppesa; interviene quando l’acqua e il vino sono da tempo miscelati nei recipienti, e quando si tratta solo, come in farmacopea, di stabilire la titolazione o il tenore della mistura rinunciando sia al vino puro dell’integrità sia all’acqua pura dell’innocenza. Non si ha piú l’ambizione di convertire completamente la mescolanza per mezzo di una trasmutazione radicale, o meglio con una vera e propria transustanziazione; ma si può sperare, secondo un ordine eudemonistico, di apportare a questa mescolanza qualche piccolo miglioramento di dettaglio. Se l’impuro s’insedia definitivamente nella sua impurità senza piú rimettere in questione l’origine radicale della vita mista, otterrà sia per tentativi e ritocchi successivi sia a forza di precisione minuziosa la mescolanza ben dosata che viene chiamata una vita felice. Colui che ha rinunciato alla grande libertà quodditativa del sí-o-no mantiene ancora un certo spazio d’azione superficiale nella disposizione degli elementi, nel rimaneggiamento delle parti, nella combinazione degli ingredienti, delle calorie o delle molecole. Questo gioco di pazienza con gli elementi è un passatempo di tutto riposo… Quando ci si è rassegnati a non essere piú dei metafisici, si hanno ancora davanti a sé molti giorni per la routine degli empirici e dei droghieri!
In questo gioco dell’intelletto con le svariate combinazioni di una combinatoria, si legge dapprima la curiosità del dilettante che si diverte a ricostruire il tutto a partire dai suoi elementi semplici, ma si legge poi lo sforzo scientifico e speculativo volto a ridurre analiticamente la composizione del misto concreto. Per dilettantismo si deve intendere qui non tanto il gusto della diversità qualitativa delle tonalità e delle sfumature, dato che ogni qualità è vissuta nella sua irriducibile, indivisibile, incomparabile specificità, quanto piuttosto il gusto delle mescolanze. Non, come in Bergson, la ricerca della percezione pura, vale a dire scevra di ogni ricordo che potrebbe associarsi ad essa (è tale piuttosto l’innocenza virginale, o la casta ingenuità di una visione d’artista), ma il gusto del dosaggio e dell’alchimia. All’amante dei misti concreti interessa non la percezione pura, bensí la percezione impura intrisa di ricordi, o il ricordo impuro incarnato nella percezione. Platone paragona il legislatore ai pittori che sminuzzano i colori (συμμειγνύντες τε καὶ κεραννύντες)1 per comporre il quadro dello Stato. Ma soprattutto l’idea di complessità rivela un’attenzione rivolta specialmente verso la struttura e la costituzione naturale degli esseri; in altre parole, lo stato di composizione è, per il pluralismo, uno stato costitutivo e strutturale. La pluralità non è dunque piú una sventura né, come suggerirebbe il termine stesso di ingrediente, un accidente avventizio: su di essa si basano l’edificazione positiva e l’intima struttura di ogni essere. Nella molteplicità delle componenti dell’io, come riconoscere o isolare, per esempio, quella che è piú propriamente io? Si nasconde bene l’elemento «aborigeno» nella massa dei contenuti «allogeni», e diventa quasi infinitesimale, persino molto piú introvabile di un americano «puro» a New York. Ma poiché d’altra parte l’io, svuotato di tutti i contenuti che prende a prestito, sarebbe un manichino inerte o un fantasma inconsistente, bisogna decisamente riconoscere in lui il paradosso di ogni «sintesi»: l’io è al contempo la risultante delle proprie componenti e qualcosa di completamente altro, non uno degli elementi mescolati, questo qui o quello là, ma un non so che di unico, di inattingibile e di impalpabile situato all’infinito, al centro dell’ipseità. Se l’io è un certo modo di indossare le idee di Pietro, le credenze di Paolo, le tendenze ereditarie della razza, i pregiudizi della casta, non è piú possibile separare gli abiti indossati dalla maniera di indossarli. E allo stesso modo il mio carattere diventa la maniera originale attraverso cui mi appartengono innumerevoli prestiti, faccio miei dei gesti imitati, dei gusti acquisiti, delle inclinazioni adottate. Il peripatetico Teofrasto, componendo la sua galleria di tipi etologici, descrive i tratti svariati che compongono l’uno o l’altro carattere. Il carattere non è forse il crogiolo in cui si mescolano le componenti di una idiosincrasia individuale?
La dualità, per il dualismo, è il principio della duplicità, e di conseguenza della menzogna – e difatti la duplicità, opacità interiore, chiede di essere semplificata e psico-analizzata. La complicazione mendace, fatta di retro-pensieri e di retro-calcoli, è dunque una duplicazione gratuita, accidentale e avventizia: è lo sdoppiamento, del tutto evitabile, di un essere la cui vocazione originale è la semplicità e che si ripiega su se stesso secondariamente attraverso la coscienza. Questo ripiegamento diabolico è un problema e, non essendo scontato, esige, come il peccato, che se ne dia ragione. Se dunque la semplicità è esposta alla piú piccola intrusione, la dualità non è meno instabile né meno provvisoria: sono queste le implicazioni di una dottrina che è semplicista per il suo ideale e dualista nelle sue constatazioni, e che non ammette né misti concreti né mescolanze stabili, né complessi trasparenti. Nella filosofia purista è la bontà dell’uomo a essere sempre impura, sempre offuscata da elementi allogeni, mentre nella filosofia dei misti è piuttosto la malvagità a non essere mai pura e nuda malvagità. Qui e là l’impuro è intermedio tra i due estremi; ma la complicazione, nel primo caso, nasce da un’esigenza di semplificazione, perché mette in gioco la nostra colpevolezza; mentre la complessità, nel secondo caso, giustifica l’indulgenza, perché sta a significare l’intelligibilità del plurale e ne consacra l’integrazione. L’innato ottimismo metafisico del purista va di pari passo con una severità misantropica che c’impone i rigori dell’ascetismo e della mortificazione in attesa della soluzione radicale della morte. Al contrario, il pessimismo metafisico di una dottrina che ammette l’irrimediabile complessità del misto e rinuncia a purificare l’impuro va di pari passo con lo scrupolo pedagogico di comprendere, di scusare, di adattarsi… O meglio, il dosaggio razionale, vale a dire la proporzione fondata sulla ratio, di cui il razionamento può essere la conseguenza, non volatilizza certo di colpo la complessità, ma per lo meno implica un ordine: l’ordine non è forse l’unità di una pluralità? La determinazione e la misurazione di quest’ordine immanente a ogni disordine costituirono l’oggetto della matematica leibniziana: troppo pluralista per sorbire in un colpo solo la moltitudine innumerevole degli infinitamente piccoli, per ridurre sommariamente l’irriducibilità del male, Leibniz preferisce ritrovarne all’infinito l’intelligibilità. Come le dissonanze e le stonature si integrano nella concordia discors dell’Armonia, cosí le imperfezioni dell’universo si integrano in un ordine ragionevole in cui il saggio riconosce il migliore dei mondi possibili. Il Platone della Repubblica, piú attento al molteplice di quello del Fedone, illustra mediante il concetto pitagorico di Armonia2 il rapporto tra la musica e la ginnastica e quello fra la Temperanza e il Coraggio, nonché la natura stessa della Temperanza che realizza l’accordo perfetto fra le tre classi sociali, e infine – e soprattutto – la funzione di sintesi rappresentata dalla Giustizia: l’anima infatti non è piú levigata, unita e trasparente, ma si articola in tre parti, due delle quali sono irrazionali. L’anima è tripla, e la virtú è quadrupla; e lo Stato, a sua volta, non è piú un blocco monolitico, né una città diafana, ma un cosmo di attività eterogenee, complementari e solidali. La giustizia consiste nell’appropriazione e specificazione delle attività (οἰκειοπραγία), cosí come l’ingiustizia consiste nella confusione, che è ingerenza e interferenza, sconfinamento reciproco delle professioni e sovrapposizione delle attribuzioni (πολυπραγμοσύνη e ἀλλοτριοπραγμοσύνη, ταραχή e πλάνη, μεταβολή)3. L’idea di un tutto armonico, di un ordine plurale e corale fondato sull’adattamento tra le parti (ἡρμοσμένον) e diventato uno a partire dal plurale (ἕν γενόμενον ἐκ πολλῶν)4, risolve insomma la disgiunzione dell’Uno e del Molteplice che preoccuperà il Filebo, e scongiura il monismo divorante di Parmenide. Ottava perfetta o consonanza di dissonanze, l’armonia non è forse semplice in modo complesso? L’armonia non deriva da alcuna nota in particolare, e tuttavia, se si toglie anche una sola nota dal complesso dei suoni simultanei, l’armonia diventa tutt’altro. L’idea moderna dell’organizzazione esprime a meraviglia la stabilità e la consistenza della struttura complessa, e al contempo rende caduca l’alternativa del puro e dell’impuro… A questa metretica della bella mescolanza corrispondeva in Grecia l’ideale di una saggezza capace di mediare, a cui i moralisti diedero la titolazione col nome di Moderazione (σωφροσύνη). L’essere composto è perfettamente adattato a questo statuto tanto naturale quanto vitale. In modo simile a quel che fanno i manovratori parlamentari i quali, adattandosi al disaccordo delle fazioni come a una necessità organica...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Il puro e l'impuro
- Elogio dell’equivoco di Enrica Lisciani-Petrini
- Il puro e l’impuro
- I. La metafisica della purezza
- II. La dualità e il purismo
- III. Dalla complessità alla confusione
- IV. L’equivoco infinito
- V. La purezza del cuore
- Il libro
- L’autore
- Dello stesso autore
- Copyright