Notizie dalle tenebre
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Notizie dalle tenebre

  1. 488 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Notizie dalle tenebre

Informazioni su questo libro

Nella sua lunga e felice carriera, Joe Lansdale ha scritto centinaia di racconti, spaziando con una libertà e un'inventiva senza eguali tra il giallo e l'horror, il fantastico e il western. Notizie dalle tenebre raccoglie sedici gioielli - scelti dall'autore e accompagnati da un'introduzione scritta appositamente per i lettori italiani - che portano il lettore in un universo costellato di avventura e mistero, tra tragedia e commedia: uomini inseguiti dalle proprie ombre e orsi parlanti, investigatori scalcinati e donne non troppo fatali, Elvis Presley e Huck Finn. Un giro sulle montagne russe in compagnia di un maestro dell'arte del racconto.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2014
Print ISBN
9788806221973
eBook ISBN
9788858413630

Notizie dalle tenebre

Ombre e sangue

Quella sera ero al Blue Light Joint e stavo finendo un piatto di costolette e ascoltando del blues, quando è entrata Alma May. Aveva un gran bell’aspetto. Indossava un vestitino che le calzava addosso come dovrebbe calzare a ogni donna, e un berretto leggermente di sghimbescio, come un piatto inclinato sul palmo di un cameriere. I tacchi alti le slanciavano le gambe, ed era un gran bel vedere.
Le luci erano basse, e contribuivano al fascino del locale. A volte la penombra permette agli uomini e alle donne di nascondere magagne che la luce del sole svelerebbe all’istante, ma conoscevo Alma May quanto bastava per sapere che nel suo caso non esistevano problemi del genere. Sarebbe stata bellissima anche con un sacco addosso e un cappellino di carta in testa.
Dall’espressione che aveva sul volto capii subito che era preoccupata, e che qualcosa non andava. Guardava a destra e a sinistra come se fosse in una grande città e cercasse di attraversare una strada trafficata senza finire sotto una macchina.
Presi la mia bottiglia di birra, mi alzai dal tavolo e le andai incontro.
Fu allora che capii perché si guardava tanto attorno. Mi disse: – Cercavo proprio te, Richard.
– Davvero? Be’, mi hai trovato, allora.
Il modo in cui mi guardava mi cancellò il sorriso dal volto.
– Qualcosa non va, Alma May?
– Forse. Non lo so. Ma ho bisogno di parlare. Ho pensato che probabilmente ti avrei trovato qui, e mi chiedevo se ti andrebbe di fare un salto a casa mia.
– Quando?
– Adesso.
– Va bene.
– Però non metterti in testa idee strane, – disse. – Non è come ai vecchi tempi. Ho bisogno del tuo aiuto, e di sapere che posso contare su di te.
– A dire la verità, i vecchi tempi non erano affatto male. Però siamo amici, e per me va bene cosí.
– Speravo che lo avresti detto.
– Sei in macchina? – chiesi.
Scosse il capo. – No, mi sono fatta dare un passaggio da un amico.
Un amico? pensai. Sí, come no.
– D’accordo, – dissi. – Cominciamo a uscire di qui.
Magari vi dispiacerà l’idea che Alma May si guadagnasse da vivere ricorrendo a certi espedienti, ma posso assicurarvi che se quegli espedienti li pagaste voi, e se rientraste tra i suoi affezionati clienti, la vedreste in tutt’altro modo. Sul momento, almeno. Poi magari vi sentireste colpevoli, come se aveste appena pisciato sulla Gioconda. Perché sia ben chiaro: quella ragazza, una vera bellezza dalla pelle scura, non dovrebbe ridursi a scopare ai quattro venti per rimediare un pugno di dollari, quanto basta appena per assicurarsi di che mangiare e prendere un caffè alla mattina. Meriterebbe molto di piú. Avrebbe dovuto trovarsi un marito con un buon lavoro, in grado di mantenerla.
Ma non era successo. Tra me e lei c’era stato qualcosa che andava al di là degli affari, o dei soldi che passavano di mano ogni volta che mi faceva rilassare e star bene. Era molto piú di questo, ma non eravamo riusciti a farlo funzionare. Lei faceva la vita, e non sapeva come tirarsene fuori. Oltre tutto, ho appena detto che avrebbe meritato qualcosa di meglio, e quel qualcosa non ero certamente io. Tutto ciò che avevo erano un paio di completi eleganti, una sfilza di scarpe bicolori, un cappello e una pistola – un’automatica calibro 45, come quelle che si usavano in guerra, pochi anni prima.
Per un po’ di tempo, Alma May si era data anche alla droga, e sebbene avesse smesso, la dipendenza le si era radicata dentro. Per come la vedevo io, non sarebbe mai riuscita a tirarsi fuori da quella voragine, che ormai non aveva piú a che fare con la droga, ma con il tempo. Di tanto in tanto una finestra si apre, e se non ne approfitti per strisciare fuori, poi si richiude per sempre. Lo so bene. La mia, di finestra, si era richiusa già da un pezzo, e la sola idea mi faceva impazzire di rabbia.
Eravamo sulla mia Chevy, una macchina di sei anni, un modello del ’48. L’avevo fatta risistemare un po’ alla volta, partendo dalle gomme nuove per poi passare al parabrezza e ai rivestimenti per i sedili. Era tutta lucida: una vera bellezza.
Viaggiavamo sulla statale, belli rilassati, e i fari correvano sull’asfalto bagnato facendolo luccicare come un paio di pantaloni eleganti e un po’ consumati sul ginocchio.
– Come mai hai bisogno di me? – le chiesi.
– È una faccenda un po’ complicata, – rispose.
– Perché proprio io?
– Non lo so… Sei sempre stato buono con me, e un tempo tra di noi c’era qualcosa di speciale.
– È vero, – dissi.
– Che fine ha fatto, quel qualcosa?
Mi strinsi nelle spalle. – Da un certo momento in poi, non ha funzionato piú.
– Già. A volte vorrei che non fosse finita cosí, tra noi due.
– Quanto a questo, sono tante le cose che vorrei fossero andate in un altro modo.
Si appoggiò alla spalliera del sedile, aprí la borsetta, tirò fuori una sigaretta e la accese, poi abbassò il finestrino. Si era ricordata che il fumo mi dava fastidio. Non mi era mai andato a genio, il tabacco. Ti accorcia il fiato, puzza e ti fa venire l’alito cattivo. Non sopportavo di ritrovarmi quell’odore sui vestiti.
– Sei la sola persona con cui posso parlare di questo, – disse. – L’unica che potrebbe ascoltarmi senza pensare che abbia ancora una siringa conficcata nel braccio. Capisci quello che ti sto dicendo?
– Certo, tesoro. Lo capisco perfettamente.
– Ti sembro fuori di testa?
– Macché. Voglio dire, sei un po’ strana, questo sí, ma fuori di testa direi proprio di no.
– Credi che sia ubriaca?
– No. Piú che altro sembra che tu abbia avuto un incubo e senta il bisogno di condividerlo con qualcuno.
– Ci sei andato molto vicino. Non è esattamente cosí, ma quest’idea dell’incubo descrive quello che provo molto meglio di una sbornia o di una siringa nel braccio.
La casa di Alma May si trovava appena fuori città. È l’unica cosa buona che ha ricavato, facendo la vita. Non è una villa, sia chiaro. È piccola ma compatta e luminosa, tutta dipinta di giallo canarino e con le finiture azzurre. Di giorno spiccava per i suoi colori, ma anche alla luce della luna non era niente male.
Alma May non aveva un protettore. Non le serviva. In città la conoscevano tutti. Aveva la sua clientela fissa. Una volta mi aveva detto che era tutta gente affidabile. Per un terzo erano bianchi che venivano dall’altro lato della ferrovia, i quartieri perbene di Tyler Town. A parte i clienti, tutto ciò che aveva Alma May erano una madre morta, un padre scappato di casa e un fratello, Tootie, che amava girare per il mondo, suonare il blues e attaccarsi alla bottiglia. Aveva sempre bisogno di qualcosa, e Alma May, che pure aveva i suoi demoni personali, era riuscita a procurarglielo ogni volta.
Questa era un’altra delle ragioni per cui lei e io ci eravamo allontanati. Suo fratello era un uomo grande e grosso, ma aveva sempre vissuto con la madre, e la povera vecchia gli puliva anche il culo. Quando era morta, Tootie era letteralmente crollato. Alma May aveva preso il posto di sua madre, rifornendolo regolarmente di whisky e biscotti, e gli aveva addirittura regalato una chitarra. Tootie campava grazie alle marchette di sua sorella, e la cosa non gli faceva né caldo, né freddo. Non mi piaceva, il ragazzo. Una cosa però dovevo ammetterla: suonava il blues come pochi altri.
Quando fummo a casa sua, Alma May si tolse il cappellino e lo lanciò, facendolo atterrare su una poltrona.
– Vuoi qualcosa da bere? – mi chiese.
– Perché no? Basta che non sia troppo leggero, e che non ti faccia sporcare un bicchiere.
Sorrise. Rimasi fermo sulla porta del soggiorno, guardandola mentre andava a prendere una bottiglia sotto il lavello della cucina e constatando come le aderisse bene il vestito sulle natiche, quando si chinava. Tirò giú dei bicchieri da un ripiano e li riempí per benino. Bevemmo un primo sorso in piedi, appoggiati allo stipite della porta tra la cucina e il salotto. Poi andammo a sederci sul divano. Lei si accomodò nell’angolo piú lontano da me, per assicurarsi che non dimenticassi il motivo per cui ci trovavamo lí. Poi disse: – È per via di Tootie.
Svuotai il bicchiere e risposi: – In tal caso, me ne vado.
Mentre le passavo accanto, mi afferrò una mano. – Non fare cosí, tesoro.
– Ah, adesso sono il tuo tesoro?
– Ascoltami, tesoro. Ti prego. Potresti far finta di essere in debito con me, anche se non è vero?
– Al diavolo, – dissi, ma tornai a sedermi.
Si voltò verso di me e disse: – Voglio che mi ascolti.
– E va bene, – risposi.
– Per prima cosa, non posso pagarti, se non in natura, magari.
– Non se ne parla, – risposi. – Se tu e io andiamo a letto insieme, i soldi non devono entrarci. Perciò, diciamo che ti sto facendo un favore.
Di tanto in tanto svolgo delle indagini per gente che conosco, o alla quale sono stato raccomandato. Non ho una licenza. In questa città, se sei nero, la licenza non te la danno neanche per cagare vetri rotti. Però sono piuttosto bravo, nel mio lavoro. Mi sono fatto le ossa sul campo, e non tutto quel che faccio è legale. Immagino di essere un investigatore privato. Solo che lo sono sul serio, privato: al punto che forse dovrebbero chiamarmi investigatore segreto.
– La cosa migliore è che ascolti questo pezzo, – disse Alma May. – Può darsi che dopo ti servirà qualche spiegazione in meno.
C’era un piccolo giradischi su un tavolo, accanto alla finestra. Alma May si alzò e andò ad accenderlo. Il disco che voleva farmi sentire era già inserito. Sollevò la puntina e la fece ricadere sul primo solco, fece un passo indietro e mi guardò.
Era proprio una meraviglia. La fissai e pensai che forse sarei dovuto restare insieme a lei, fratello o non fratello. Avrebbe fatto sciogliere un panetto di burro a dieci metri di distanza.
Poi, la musica partí.
Era di Tootie, la voce. La riconobbi subito. L’avevo sentito cantare diverse volte. Ve l’ho già detto: come persona non era un granché, ed era pronto a fare qualunque cosa pur di sbracarsi da qualche parte e suonare la chitarra, piantando la lama di un coltello a serramanico tra le corde per cavarne il suono giusto. Il blues, però, lo sapeva suonare, e questo era innegabile.
Aveva una voce acuta, imbevuta di solitudine, e non era facile immaginare come facesse a tirar fuori certi suoni da quella chitarra.
– Mi hai portato qui per ascoltare dei dischi? – chiesi.
Scosse il capo. Sollevò la puntina e tolse il disco dal piatto. Ne prese un altro, estraendolo da una copertina di carta, e lo mise su.
– Ascolta questo, adesso.
Bastarono un paio di accordi per capire che era sempre Tootie a suonare, ma poi la musica cominciò a cambiare, diventando cosí strana che sentii i peli drizzarmisi sulla nuca. Quando Tootie iniziò a cantare, a drizzarsi furono i peli sul dorso delle mani, e sulle braccia. L’aria nella stanza parve addensarsi, le luci si affievolirono e le ombre vennero fuori dagli angoli del salotto e si sedettero sul divano accanto a me. Non sto scherzando. Tutto d’un tratto la stanza era piena di ombre, e sentivo quello che sembrava un uccello, intrappolato contro il soffitto, che sbatteva le ali cercando una via d’uscita.
Poi la musica cambiò ancora una volta, e fu come se precipitassi in un pozzo, all’infinito, fino ad affondare nell’acqua sporca, con le ombre che si ripiegavano su di me. Nella stanza si era diffuso un odore tremendo. La chitarra non era quasi piú una chitarra, e la voce di Tootie non era piú una voce. Sembrava che qualcuno strusciasse la lama di un rasoio sul cemento e nel frattempo cercasse di gorgheggiare con la gola piena di vetri rotti. C’era qualcosa, dentro la musica: qualcosa che sguazzava nel fango e strisciava, in una sequela di suoni acuti e farneticanti, come un serpente dentro un guanto di raso.
– Toglilo subito! – esclamai, ma Alma May lo aveva già fatto.
– Non sono mai riuscita ad andare piú avanti di cosí, – disse. – Arrivata a questo punto non posso che alzarmi e andare a togliere il disco. Ho la sensazione che diventi piú forte a ogni ascolto. Non voglio sentire il resto. Non so se reggerei. Come può essere, Richard? Come si può arrivare a tanto solo con una sequenza di suoni?
Mi sentivo fiacco, come se fossi appena uscito da una lunga influenza e qualcuno mi avesse preso a calci nel culo. – Piú forte? – ripetei. – Che cosa intendi?
– Non te ne sei accorto anche tu? Non ti è sembrato che il suono diventasse sempre piú forte?
Annuii. – Sí, in effetti.
– E la stanza…
– Le ombre? Quindi non erano frutto della mia immaginazione?
– No, – rispose. – Ogni volta che l’ho risentito, il disco era cambiato rispetto alla volta precedente. Le note diventano sempre piú cupe, i riff di chitarra mi strappano qualcosa dentro, e a ogni ascolto questo qualcosa è diverso e si annida piú in profondità. Non so se la sensazione sia piacevole oppure orrenda, ma forte lo è di sicuro.
– Già, – dissi, non sapendo che cos’altro aggiungere.
– Il disco me l’ha mandato Tootie, con un biglietto sul quale c’era scritto: «Suonalo quando devi». Nient’altro. Che cosa potrebbe significare?
– Non lo so, ma mi chiederei per prima cosa come mai Tootie te l’ha fatto avere. Perché avrebbe dovuto desiderare che ascoltassi un disco, sapendo benissimo che ti avrebbe fatto sentire male? E come diavolo ha fatto, a produrre una sequenza di suoni come quella?
Scosse il capo. – Non lo so. Un giorno, troverò il coraggio di arrivare fino in fondo.
– Io non lo farei.
– Perché?
– L’hai sentito. E sono convinto che andando avanti diventi sempre peggio. Non lo capisco, ma di una cosa sono certo: non mi piace affatto.
– Sí, lo so, – disse, rimettendo il disco nella copertina. – Ma è cosí strano. Non ho mai sentito niente di simile.
– E per quanto riguarda me, non intendo risentirlo mai piú.
– Però ti costringe a farti delle domande.
– Per me, resta valida quella che mi sono fatto poco fa. Perché ti ha spedito questa merda?
– Credo che ne vada orgoglioso. Non esiste nulla del genere. È… originale.
– Questo te lo concedo. In tal caso, che cosa vuoi da me?
– Voglio che tu trovi Tootie.
– Perché?
– Perché non credo che stia bene. Credo che abbia bisogno di aiuto. Questo disco… non so, mi fa pensare che si trovi in un posto dove non dovrebbe essere.
– E nonostant...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Notizie dalle tenebre
  3. Il lato breve della vita di Joe R. Lansdale
  4. Notizie dalle tenebre
  5. Il libro
  6. L’autore
  7. Dello stesso autore
  8. Copyright