
eBook - ePub
Quasi una serata
Tre atti unici
- 88 pagine
- Italian
- ePUB (disponibile sull'app)
- Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub
Informazioni su questo libro
Le sceneggiature le scrive sempre col fratello Joel, i testi per il teatro invece Ethan li scrive da solo. Ma sono ugualmente paradossali, un po' kafkiani di ispirazione e soprattutto pieni di sorprese. Nella migliore tradizione ebraica, l'autore mette in campo il rapporto tra l'uomo e Dio. Senza fare sconti né all'uno né all'altro.
Domande frequenti
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Informazioni
Dibattito
Nell’oscurità, una voce:
VOCE E com’è che si chiamano?
Luci su un leggio al centro del palcoscenico. L’uomo in piedi dietro al leggio ha l’aria imponente e vissuta, barba e capelli lunghi e bianchi. Benché non piú giovanissimo, è robusto e vigoroso. Indossa una veste bianca, non immacolata, e sandali.
Dietro al leggio, di lato, ci sono due sedie con lo schienale dritto e alto. Solo una è occupata, da un uomo di mezza età ben curato, che indossa un completo.
Per una lunga pausa l’uomo al leggio guarda fisso il pubblico, in attesa di una risposta. Alla fine riprende a domandare:
UOMO Com’è che si chiamano? Come si chiamano, eh? Volontari? Nessuno? Com’è che si chiamano: si chiamano i Dieci Comandamenti. Va bene? Non i Dieci Suggerimenti, cazzo. Sono un fottutissimo imperativo morale, miserabili sacchi di merda. E voglio che ’ste cazzo di robe qui vengano osservate.
Lascia che le parole facciano effetto e poi, infervorato dall’argomento, comincia a passeggiare avanti e indietro.
UOMO Va bene. E questo imperativo – lasciatemelo chiarire qui, perché so che c’è stata confusione – questo vale per tutti, non solo per gli ebrei. Sono robe universali, ’ste qua, non è che andate, che so, alle Isole Cayman o dove cazzo vi pare, e quindi “paese che vai, usanza che trovi... allora mi sa che desidero la donna d’altri, tanto quella fica lí non vale”... Stronzate! Sono minchiate relativistiche. Questo si chiama «sofisma della fica del paese-che-vai», e io dico che è una cazzata! E non me ne importa una mazza del luogo, “la Polinesia, oh, lí sono in topless, è la natura, loro non lo considerano peccato”, o che so io, “sono culture diverse, gli Eschimesi hanno quarantasette termini per descrivere la neve”: io me ne fotto! Sono validi anche per loro. Sono robe valide per tutti.
E non avete a che fare con uno qualunque, qui, che parla col culo. Spero che voi zucconi non abbiate scordato chi le decide, ’ste robe. Non le decidete voi, ’ste cose profonde di morale. Né dove né quando sono valide. Con i cervellini del cazzo che vi ritrovate – volete mica prendermi in giro? Non vi ricordate le capitali degli stati e pretendete di decidere su ’ste robe di morale? No, no, decido io, e io sono chi sono, cazzo. Quindi non venitemi a parlare della «donna d’altri del paese-che-vai», cazzo. Pezzenti.
Bene. Poi ci sono le lagne. Io esigo meno lagne. Non so perché ultimamente tutto ’sto frignare e lamentarsi abbia raggiunto questi livelli; voglio dire, di chiappemolli ce n’è stati sempre, ma adesso si lamentano veramente tutti. E in città come queste è anche peggio. E voi che andate agli spettacoli siete i peggiori di tutti. Quindi questo discorso calza proprio a pennello. Sapete che intendo, “I miei genitori mi trascuravano, per me non c’erano mai, papà mi insultava sempre”, stronzate cosí. E non solo storie del tipo “mi hanno rovinato la vita”. Cosette, come, che so, il parcheggio. Diocristo, il parcheggio. “Oh, ci abbiamo messo cosí tanto a parcheggiare”. Sapete, una volta voi figli di puttana camminavate. O andavate a dorso d’asino. E ora venite qui su una cazzo di berlina e frignate perché avete cercato parcheggio per dieci minuti? Ma mi pigliate per il culo? Va bene, la prossima volta provate a venire a teatro a dorso d’asino, e vedete come si sta comodi, cosí. Poi vediamo se avete ancora voglia di frignare per un parcheggio, mocciosetti del cazzo. Diocristo, forse vorreste che vi seguissi passo passo con un parcheggio libero per tutta la vita, mentre tenete le chiappe al caldo: ve lo spingo col piede come una valigia all’aeroporto, eh? Cosí non dovreste mai guidare girando la testa di qua e di là. E vi lascio cadere acini d’uva in bocca, anche, SENZA SEMINI, e ragazze coi ventagli per farvi aria, e magari un panno di velluto, grande piú o meno cosí magari, e ve lo passo su e giú per le chiappe piano piano, senza sosta, tanto per farvi godere del piú totale benessere in ogni momento. Potrebbe andare bene cosí, cazzo? Allora non avreste piú niente di cui frignare? Avrei soddisfatto tutti i vostri desideri? Vi avrei dato soddisfazione assoluta, oy vey, merdine lamentose dei miei coglioni?1.
Okay, e poi ci sono le robe strane. Non so neanche come chiamarle, ma penso sappiate a cosa mi riferisco. Quindi voglio che ci diate un taglio, cazzo. Come il piercing. In nome di dio, ma cosa cazzo è quella roba lí? Siete fatti a mia immagine, giusto? E voi che ci fate? Bucate la mia immagine con anelli di metallo? E questo sarebbe un miglioramento, per voi? Alle labbra, e ora pure ai capezzoli? Voglio dire, alle orecchie non è che mi piacesse, ma me ne sono stato zitto. Ma questo. E adesso al pene, e qualcuno anche alla vulva? E poi, che cosa vi inventate, vi picchiate sulla testa con delle mazze da baseball? Voi dite, “be’, il piercing non è proibito”: ma delle cose non ve l’ho mai dette perché CHI CAZZO LE FAREBBE MAI? Ma siete scemi? Dovrei dirvi di non ficcarvi anelli di metallo nella vulva? E per cosa poi, per attaccarci le chiavi della macchina? Non ce l’avete piú, le TASCHE? ’Ste robe strane... mi dispiace, ma non ho proprio parole. Quindi facciamo che non succedano piú.
E questo è quanto.
Ma il peccato – prima di cedere la parola devo ripeterlo, per non lasciarvi con un’impressione sbagliata – il peccato vero, quello resta il mio cruccio principale nei vostri confronti, gente – l’altro dio, la donna d’altri, eccetera. Le altre robe – il piercing, sniffare benzina, scommettere sui combattimenti dei galli – ma che vi prende? Ma questo è niente, in confronto ai peccati che voi teste di CAZZO persistete a commettere OGNI MALEDETTO GIORNO DELL’ANNO. Già. Alcuni di voi persino durante lo Shabbat. Posso anche comprenderli piú delle robe strane, okay, ma questa non è un’autorizzazione. Io vi piglio a calci in culo, cazzo.
Ci potete CONTARE.
Si siede. Ora che la sua identità è stata stabilita possiamo chiamarlo Dio Che Giudica. L’uomo in completo, che chiameremo Dio Che Ama, si alza per prendere la parola al leggio.
DIO CHE AMA Bene. Non è certo facile far meglio di cosí. Lui esprime le sue opinioni con grande intensità, e in modo brillante. E io lo rispetto, e c’è molto da rispettare in ciò che dice. Ma permettetemi di affrontare il tutto da una diversa prospettiva, se non vi dispiace.
Voi siete brava gente. Voi volete sapere come è giusto vivere. Non siete esperti in materia. Alcuni di voi sono dottori, avvocati, accademici, e chissà cos’altro, avete tutti una vostra area di specializzazione. Ma qui, nelle grandi questioni, non siete de...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Quasi una serata
- Nota dell’autore
- Quasi una serata
- Aspettando
- Quattro panchine
- Dibattito
- Postfazione
- Il libro
- L’autore
- Dello stesso autore
- Copyright