
- 220 pagine
- Italian
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Informazioni su questo libro
In un'altra lingua - o meglio: come se la traducesse da un'altra lingua - Primo Levi ci ha descritto l'esperienza di Auschwitz. Da allora in poi, durante l'intera sua vita di scrittore, Levi ha trapiantato nella letteratura italiana nuovi linguaggi, e ha conquistato nuovi territori espressivi: il dialetto degli ebrei piemontesi, il gergo di un tecnico specializzato in montaggi complessi, lo yiddish di una banda partigiana nelle steppe orientali, i codici alieni di apparecchiature avveniristiche quanto minacciose. Oggi, unico tra gli scrittori italiani moderni, Primo Levi sta per essere pubblicato integralmente in traduzione inglese, fino all'ultima delle sue pagine sparse. Ann Goldstein e Domenico Scarpa, una traduttrice e uno studioso che hanno collaborato all'impresa, dialogano appunto su Levi e la traduzione: nel significato artigianale della parola, e nel suo senso più ampio. *** In another language - rather, as if he were translating it from another language - Primo Levi described to us the experience of Auschwitz. From then on, during his entire life as a writer, Levi transplanted into Italian literature new languages, and conquered new expressive territories: the dialect of Piedmontese Jews, the jargon of a technician specializing in complex rigging, the Yiddish of a partisan band in the Russian steppes, the alien codes of threatening futuristic machines. Today, alone among modern Italian writers, Primo Levi is about to be published in his entirety in English, down to the last of the uncollected pages. Ann Goldstein and Domenico Scarpa, a translator and a scholar who contributed to the enterprise, have a dialogue on Levi and translation: in the most concrete meaning of the word and in its broader sense.
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Informazioni
Leggere in italiano, ricopiare in inglese
Domenico Scarpa
... la parola chiara di Levi è una linea di credito aperta a chi legge o ascolta, tutto il contrario di un esercizio di abilità a uso di colleghi scrittori o critici. La chiamerei una comunicazione democratica. Quale altro pensatore di fronte a un liceale che lo interroga sul rapporto spirito/materia avrebbe saputo rispondere che, per capirlo, basta avere avuto una volta mal di denti?20.
Dopo una settimana, Henek annunciò con serietà , ma senza ombra di presunzione, che Hurbinek «diceva una parola». Quale parola? Non sapeva, una parola difficile, non ungherese: qualcosa come «mass-klo», «matisklo». Nella notte tendemmo l’orecchio: era vero, dall’angolo di Hurbinek veniva ogni tanto un suono, una parola. Non sempre esattamente la stessa, per verità , ma era certamente una parola articolata; o meglio, parole articolate leggermente diverse, variazioni sperimentali attorno a un tema, a una radice, forse a un nome21.
Era paralizzato dalle reni in giú, ed aveva le gambe atrofiche, sottili come stecchi; ma i suoi occhi, persi nel viso triangolare e smunto, saettavano terribilmente vivi, pieni di richiesta, di asserzione, della volontà di scatenarsi, di rompere la tomba del mutismo. La parola che gli mancava, che nessuno si era curato di insegnargli, il bisogno della parola, premeva nel suo sguardo con urgenza esplosiva: era uno sguardo selvaggio e umano ad un tempo, anzi maturo e giudice, che nessuno fra noi sapeva sostenere, tanto era carico di forza e di pena22.
... se Lei ricorda ad esempio che «scatenare» voleva dire «liberare dalle catene», potrà usare il termine in modo piú appropriato ed in sensi meno frusti. Non tutti i lettori si accorgeranno dell’artificio, ma tutti percepiranno almeno che la scelta non è stata ovvia, che Lei ha lavorato per loro, che non ha seguito la linea della massima pendenza23.
... a livello piú o meno consapevole ... chi parla un’altra lingua è lo straniero per definizione, l’estraneo, lo «strano», il diverso da me, e il diverso è un nemico potenziale, o almeno un barbaro: cioè, etimologicamente, un balbuziente, uno che non sa parlare, un quasi-non-uomo. Per questa via, l’attrito linguistico tende a diventare attrito razziale e politico, altra nostra maledizione24.
A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, piú o meno consapevolmente, che «ogni straniero è nemico». Per lo piú questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all’origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager25.
Indice dei contenuti
- Copertina
- In un'altra lingua
- Presentazione di Fabio Levi
- Introduction by Fabio Levi
- In un’altra lingua - In another language
- Ann Goldstein, Quattro giovani soldati
- Ann Goldstein, Four young soldiers
- Domenico Scarpa, Leggere in italiano, ricopiare in inglese
- Domenico Scarpa, Reading in Italian, recopying in English
- Apparato iconografico / Illustrations
- Appendice / Appendix
- Il libro
- L’autore
- Lezioni Primo Levi
- Copyright