Attorno a cosa si concentra la modernità? Sociologia e filosofia sociale1, secondo la tesi che intendo dimostrare, possono venir interpretate come reazioni all’esperienza della modernizzazione. Tali forme di pensiero sociale emergono nel momento in cui gli individui sperimentano cambiamenti drammatici nel mondo in cui vivono e, in particolare, quando questi ultimi intaccano il tessuto della società e della vita collettiva. Nella letteratura canonica che ha per tema modernità e modernizzazione questi cambiamenti vengono letti e largamente discussi come processi di razionalizzazione (come vorrebbero Weber o Habermas), di differenziazione (funzionale) (come presentato in tutta una serie di teorie che vanno da Durkheim a Luhmann), di individualizzazione (come ha sostenuto Georg Simmel e ribadisce adesso Ulrich Beck) o, infine, come domesticazione o mercificazione, come affermato da numerosi pensatori, da Marx ad Adorno fino a Horkheimer, che prestano particolare attenzione alla crescita della produttività umana e della ragione strumentale. Per questo innumerevoli sono le definizioni, i libri e i dibattiti riguardo a ciascuno di questi concetti.
Eppure, se per un attimo mettiamo da parte la sociologia standard ed esaminiamo la vasta moltitudine di auto-osservazioni culturali della modernità, troviamo che in questa lista manca qualcosa: autori e pensatori da Shakespeare a Rousseau, da Marx a Marinetti, cosí come da Baudelaire a Goethe, Proust o Thomas Mann2 osservano con pochissime eccezioni (sempre con stupore e molto spesso con grande preoccupazione) la velocizzazione della vita sociale e, in concreto, la rapida trasformazione del mondo materiale, sociale e spirituale. Questo senso di velocità crescente del mondo che ci circonda, in effetti, non abbandona mai l’uomo moderno. È per questo che James Gleick osserva nel suo libro Sempre piú veloce (2000) «l’accelerazione quasi di tutto», mentre Douglas Coupland pochi anni prima aveva sottotitolato Storie per una cultura accelerata il suo osannato libro Generazione X. Di conseguenza, Peter Conrad sostiene nella sua voluminosa storia culturale che «la modernità è incentrata sull’accelerazione del tempo» (1999, p. 9), mentre Thomas H. Eriksen dichiara apertamente che «la modernità è velocità» (2003, p. 159).
Le scienze sociali, invece, che cos’hanno da offrire su questo tema? In realtà la percezione di un cambiamento significativo nel tessuto temporale è presente anche nei resoconti «classici» della sociologia, per esempio quando Marx ed Engels, nel Manifesto del Partito comunista, constatano che nella società capitalistica «tutto ciò che è solido si dissolve nell’aria», o quando Simmel identifica l’intensificazione della vita nervosa e la velocità di esperienze sociali mutevoli come la caratteristica centrale della vita metropolitana (e quindi della modernità), o ancora quando Durkheim definisce l’anomia come la probabile conseguenza dei cambiamenti sociali, che avvengono in modo troppo rapido perché si possano sviluppare nuove forme di moralità e solidarietà, o, infine, quando Weber – sulla scia di Benjamin Franklin – descrive l’etica protestante come un’etica di rigorosa disciplina temporale, che condanna la perdita di tempo come «il piú mortale di tutti i peccati». È quindi abbastanza ovvio che i teorici classici erano mossi, almeno in parte, da una vivida percezione del processo acceleratorio a cui stavano assistendo nella modernità. Dopo di essi, però, la sociologia divenne quasi atemporale: si adagiò su concetti statici, che spesso non facevano altro che contrapporre le società premoderne a quelle moderne, come se un bel giorno la società fosse semplicemente diventata moderna e da allora fosse rimasta immutata.
Quindi ciò che è assolutamente necessario è una teoria sistematica e un concetto convincente di accelerazione sociale. Ed è proprio quello che propongo qui di seguito.
La domanda piú ovvia cui una simile teoria dovrebbe essere in grado di rispondere si mostra estremamente ardua; se esaminiamo scrupolosamente i testi di sociologia piú rilevanti, non possiamo evitare l’impressione di trovarci di fronte a un caos allo stato puro: che cosa sta concretamente accelerando nella società moderna? Infatti, troviamo riferimenti a un’accelerazione della velocità della vita, della storia, della cultura, della vita politica o della società o addirittura del tempo in sé3. Alcuni osservatori asseriscono senza troppi giri di parole che nella modernità ogni cosa pare subire questo processo di accelerazione. Ma, come è abbastanza ovvio, non ha senso dire che il tempo sta accelerando, e d’altra parte non tutti i processi della vita sociale accelerano. Un’ora è un’ora e un giorno è un giorno, e poco importa se abbiamo o meno l’impressione che sia passato rapidamente; e gravidanze, influenze, stagioni e il tempo dedicato all’educazione non pare affatto stiano accelerando. Non è chiaro inoltre se si possa davvero parlare di un processo di accelerazione al singolare, se è vero che ciò che vediamo sono fenomeni tra loro potenzialmente slegati, come per esempio nello sport, nella moda, nel montaggio video, nei trasporti, nel mercato del lavoro, cosí come alcuni fenomeni di decelerazione sociale o di sclerotizzazione. Un’ultima difficoltà concettuale nell’analisi dell’accelerazione sociale è rappresentata dalla relazione categoriale con la società stessa: possiamo parlare di un’accelerazione della società stessa o solo di un’accelerazione di processi all’interno di un ordine sociale piú o meno stabile?
Nelle pagine seguenti traccerò una cornice analitica che permetterà, in linea di principio, di arrivare a una definizione teoricamente stringente ed empiricamente giustificabile (o almeno contestabile) di ciò che può significare per una società accelerare e da quali prospettive le società occidentali possono essere intese come società dell’accelerazione.
Come è evidente, non esiste alcun modello unitario e universale di accelerazione che possa far accelerare ogni cosa. Al contrario, molte cose rallentano, come il traffico in un ingorgo, mentre altre resistono caparbiamente a ogni tentativo di farle andare piú in fretta, come accade con il solito raffreddore. Eppure ci sono certamente non pochi fenomeni sociali per i quali il concetto di accelerazione risulta appropriato. Si ha l’impressione che gli atleti corrano e nuotino sempre piú veloci; fast food, speed-dating, power naps e drive-through funerals sembrano confermare la nostra volontà di accelerare il ritmo delle nostre attività quotidiane, i computer eseguono calcoli a velocità sempre piú elevate, i trasporti e la comunicazione necessitano oggi di una frazione minima del tempo che avrebbero richiesto un secolo fa, le persone pare dormano sempre meno – alcuni scienziati stimano che il tempo medio dedicato al sonno sia diminuito di due ore dall’Ottocento a oggi e di trenta minuti dagli anni Settanta al nuovo millennio (Garhammer 1999, p. 378) –, e sembra che persino i nostri vicini di casa entrino ed escano molto piú spesso dal loro appartamento.
Ma se anche potessimo dimostrare che tali cambiamenti non sono accidentali, e che seguono invece un modello sistematico ben preciso, vi è nulla che questi processi cosí diversi abbiano davvero in comune e che possa permettere di ricondurli tutti a un concetto unico di accelerazione sociale? Non direttamente, mi sento di sostenere. Piuttosto, osservando piú da vicino questo spettro di fenomeni, risulta chiaro che è possibile dividerli in tre categorie analiticamente ed empiricamente distinte: accelerazione tecnologica, accelerazione dei mutamenti sociali e accelerazione del ritmo di vita. Qui di seguito presenterò per prima cosa queste tre categorie di accelerazione. Nella sezione successiva esplorerò poi la connessione tra le differenti sfere dell’accelerazione e i meccanismi o motori che ne stanno alla base. Nei capitoli II e III discuterò alcuni dei problemi che un’analisi sociologica delle «società dell’accelerazione» può incontrare; essi derivano dal fatto che dobbiamo sempre render conto anche di un ampio spettro di fenomeni sociali che rimangono costanti o addirittura decelerano.
1. L’accelerazione tecnologica.
La prima, piú ovvia e piú facilmente misurabile tra le forme di accelerazione è la crescita intenzionale della velocità di processi orientati verso un fine nei trasporti, nella comunicazione e nella produzione, che può essere definita accelerazione tecnologica. Anche nuove forme di organizzazione e amministrazione che mirano a velocizzare le operazioni rientrano tra i casi di accelerazione tecnologica nel senso ora descritto, ossia come esempi di un’accelerazione intenzionale e orientata verso un fine. Sebbene non sia sempre agevole misurare la velocità media di questi processi (che per l’analisi dell’impatto sociale dell’accelerazione è molto piú importante della velocità massima), la tendenza generale in questo ambito è innegabile. Cosí si ritiene che la velocità nelle comunicazioni sia salita di 107, la velocità nel trasporto passeggeri di 102 e la velocità nell’elaborazione dati di 106 (Geißler 1999, p. 89).
È soprattutto questo aspetto a trovarsi al centro della «dromologia» di Paul Virilio, una narrazione dell’accelerazione storica che procede dalla rivoluzione dei trasporti a quella nel campo delle trasmissioni e infine alla imminente rivoluzione dei «trapianti», culminando nelle possibilità oggi emergenti delle biotecnologie (Virilio 2000). Gli effetti dell’accelerazione tecnologica sulla realtà sociale sono di certo spropositati. In particolare, hanno trasformato completamente il «regime spazio-temporale» della società, ossia la percezione e organizzazione dello spazio e del tempo nella vita collettiva. Cosí la priorità «naturale» (ossia antropologica) dello spazio sul tempo nella percezione umana, che ha le sue radici nei nostri organi sensoriali e negli effetti della gravità e permette di distinguere immediatamente il «sopra» dal «sotto», il «davanti» dal «dietro», ma non il «prima» dal «dopo», sembra esser stata invertita: nell’epoca della globalizzazione e della u-topicità di Internet, il tempo viene sempre piú spesso percepito come qualcosa che comprime o addirittura annichilisce lo spazio (Harvey 1993). Lo spazio appare virtualmente «contrarsi» per effetto della velocità dei trasporti e della comunicazione. Cosí, misurato in base al tempo necessario per percorrere la distanza tra, diciamo, Londra e New York, lo spazio dall’età preindustriale dei velieri a quella dei jet si è ridotto a un sessantesimo di quello iniziale, ossia da tre settimane a otto ore.
In questo processo lo spazio ha perso sotto molti punti di vista la propria importanza per l’orientamento nel mondo tardomoderno. Operazioni e nuovi sviluppi non sono piú localizzati e luoghi reali come hotel, banche, università e impianti industriali tendono a diventare «nonluoghi», ovvero luoghi senza storia, identità o relazioni (Augé 1993)4.
2. L’accelerazione dei mutamenti sociali.
Fin dal Settecento, osservando la «dinamicizzazione» in atto nella cultura, nella società o nella storia occidentale, romanzieri, scienziati, giornalisti e uomini e donne comuni erano spesso disorientati non tanto dagli spettacolari progressi tecnologici, quanto piuttosto dal processo accelerato di trasformazione della società che rendeva le costellazioni e strutture sociali e i modelli di azione e di orientamento instabili ed effimeri. E proprio questo tasso crescente di trasformazione dei modelli di rapporto sociale, delle forme della prassi e della sostanza della conoscenza (rilevante per la prassi) definisce la seconda categoria dell’accelerazione sociale, ovvero l’accelerazione dei mutamenti sociali.
Mentre possiamo descrivere i fenomeni della prima categoria come processi di accelerazione all’interno della società, i fenomeni di questa seconda categoria vanno classificati invece come accelerazioni della società stessa. L’idea di fondo è che gli stessi ritmi del cambiamento stiano cambiando. Cosí atteggiamenti e valori, ma anche mode e stili di vita, relazioni e obblighi sociali, gruppi, classi, ambienti e linguaggi sociali, e anche comportamenti e abitudini pare stiano mutando a ritmi sempre crescenti. Tutto questo ha portato Arjun Appadurai a sostituire la simbolizzazione del mondo sociale come composto di aggregati sociali stabili e che possono essere localizzati su una mappa con l’idea di schermi fluidi e sfarfallanti, che rappresentano correnti culturali le quali solo in singoli punti si cristallizzano in «etno-, tecno-, finanzio-, medio- e ideorami» (Appadurai 1996).
In ogni caso, misurare empiricamente i ritmi dei mutamenti sociali rimane una sfida ancora irrisolta, non da ultimo per il fatto che in sociologia manca un accordo complessivo su quali siano gli indicatori rilevanti del cambiamento e quando alterazioni e variazioni costituiscano un cambiamento sociale genuino o «fondante»5. Perciò, al fine di sviluppare una sociologia sistematica dell’accelerazione sociale, suggerirei di ricorrere al concetto di «contrazione del presente» (Gegenwartsschrumpfung), cosí da ottenere un metro di valutazione per misurare empiricamente i ritmi del cambiamento. Questo concetto è stato sviluppato dal filosofo Hermann Lübbe, il quale sostiene che le società occidentali vivono una continua contrazione del presente come conseguenza dei ritmi sempre crescenti dell’innovazione culturale e sociale (Lübbe 2009). Il suo metro di misura è tanto semplice quanto efficace: per Lübbe il passato è definito come ciò che non tiene piú / che non vale piú, mentre il futuro denota ciò che ancora non tiene / che ancora non vale. Il presente, allora, è l’arco temporale per il quale – utilizzando un’idea sviluppata da Reinhart Koselleck (2009) – spazio di esperienza e orizzonte di aspettativa coincidono. Solo in questi archi temporali di relativa stabilità possiamo richiamarci a esperienze del passato per orientare le nostre azioni e inferire dal passato conclusioni valide per il futuro; solo in questi archi temporali troviamo qualche certezza di orientamento, valutazione e aspettativa. In altre parole, l’accelerazione sociale è definita da una crescita nei ritmi di decadenza dell’affidabilità di esperienze e aspettative e dalla contrazione degli archi temporali definibili come «presente». Adesso, ovviamente, possiamo applicare questo metro di misura della stabilità e del cambiamento a istituzioni e pratiche sociali e culturali di ogni genere: il presente si contrae nella dimensione politica come in quella occupazionale, in quella tecnologica come in quella estetica, normativa e, ancora, scientifica o cognitiva, in breve nelle questioni culturali e strutturali. Come esperimento sul campo al lettore basterà prendere in considerazione i ritmi di decadenza della sua conoscenza pratica nella vita quotidiana: per quali archi temporali può presumere che rimangano stabili cose come indirizzo e numero di telefono degli amici, orari di apertura di negozi e uffici, le r...