Voglio cambiare l’impaginazione dei quotidiani e dei telegiornali
1. L’inverno scorso, nello stesso fine settimana del pendolino Milano-Roma deragliato, in Italia ci sono state ventuno vittime di incidenti stradali. Chi ha stilato la scaletta dei telegiornali e chi ha impaginato i quotidiani in quelle giornate aveva di fronte due narrazioni da soppesare, per enfatizzare una delle due: da una parte una sciagura spettacolare su un mezzo di trasporto sicuro, dall’altra il solito bollettino di morti fracassati dentro le scatole di metallo a quattro ruote.
2. Risultato: titoli di testa e prime pagine al deragliamento, grandi inchieste e commenti; soltanto qualche cenno alle automobili assassine. È solo un esempio. Ma per l’ennesima volta, intanto, l’informazione ha rinunciato a mettere in discussione uno dei fondamenti reali della nostra esistenza come il sistema di relazioni umane determinato dalle automobili.
3. I notiziari in tutte le loro forme, in tivú, alla radio e sulla carta stampata, sono un’applicazione della narrativa. Non perché imbastiscono racconti. Parlo proprio della scaturigine originaria delle notizie. Succede qualcosa, e qualcuno se ne accorge. Perché lo considera un accadimento? Perché gli archetipi della narrativa gli hanno insegnato che cos’è un fatto, un evento degno di racconto.
4. L’importanza di un avvenimento deriva dalla suggestione narrativa primaria che esso sprigiona nella coscienza. Lo si valuta in base alla quantità di narrativa che contiene. Ancora una volta: da una parte la sciagura imprevista, il comfort che si ribalta in tragedia, l’alta tecnologia che fallisce, il treno ad alta velocità che deraglia: alto tasso romanzesco; dall’altra, il pedaggio mortuario autostradale da pagare ogni fine settimana, la viacard abitudinaria di vittime, la carne in scatola da macello: tasso romanzesco scarso. La percezione della quantità di narrativa che impregna il mondo non è una strategia retorica successiva ai fatti: è qualcosa che permea e alona tutto ciò che accade.
5. Insomma, non sto dicendo semplicemente che si scelgono le notizie da diffondere in base alla presa che avranno su spettatori e lettori: questa è un’altra questione. Sto sostenendo che è la narrativa a formare nella nostra coscienza il concetto di evento. La narrativa fonda nel nostro intelletto la nozione di avvenimento e, di conseguenza, la sua importanza.
6. In casi come quelli del pendolino e degli incidenti stradali, i professionisti dell’informazione non si trovano a valutare due eventi, a comparare la rilevanza di due fatti, ma di due narrazioni. I racconti e i romanzi possono cambiare l’atteggiamento di meraviglia, energia emotiva, impatto conoscitivo con cui accogliamo la narrazione di un accadimento.
7. I romanzi e i racconti possono far sí che alcuni tipi di avvenimenti vengano considerati piú importanti di altri. Possono addirittura narrare storie in cui si mostra che alcune cose senza nome, che non percepivamo nemmeno come eventi, sono al contrario eventi di importanza enorme.
Voglio patire le parole
1. «Non ridere, né piangere, né detestare, ma capire» ha scritto Baruch Spinoza. Vale a dire che il riso, il pianto, l’odio e le emozioni sono cose diverse rispetto al capire. La comprensione non deve passare attraverso le passioni. Tantomeno deve subire un’elaborazione fisica, una sintomatologia corporea, e nemmeno una gesticolazione. Non deve aizzare le ghiandole, né innescare spasmi di buonumore o disgusto.
2. La letteratura invece attesta che la comprensione passa attraverso il patimento del linguaggio. Riso, pianto, odio, emozioni sono i modi in cui il corpo patisce il linguaggio. Da questo punto di vista la letteratura è un progetto di conoscenza antifilosofico.
3. La letteratura non abbandona mai il corpo a se stesso, non nutre mai l’intelletto disincarnato. Gli scrittori non sono intellettuali: sono corpali, corpuali, corporali, esseri corpoverbali, individui logosomatici dove linguaggio e corpo si patiscono a vicenda.
4. Tragico e comico sono i grandi nomi del rapporto fra linguaggio e corpo. Lacrime e risate, sospiri e convulsioni, pallori e rossori sono le forme in cui il corpo capisce il linguaggio attraverso il comico e il tragico. Ridendo di una battuta, la comprensione delle parole si immerge nelle profondità del corpo, agita la pancia. Lo spirito si mescola alle viscere. Oscena commistione di intelletto e carne.
5. Claude Lévi-Strauss ha scritto che la danza celebra il radicamento dell’individuo nel corpo, mentre il linguaggio celebra il radicamento dell’individuo nella comunità. Si può aggiungere che comico e tragico celebrano il radicamento del linguaggio nel corpo. Tragico e comico sono le forme in cui il corpo e il linguaggio si danzano reciprocamente: non lo scrivo per mettere sulla carta un poetismo, una metafora suggestiva. Tragico e comico sono letteralmente il punto di contatto nel quale linguaggio e corpo si smuovono a vicenda: terremotano organi e lessico, ritmano ghiandole e stili.
6. Auditel, applausometri, sondaggi, indagini di mercato, statistiche: quanta paura fa la ricezione personale, la reazione singola, l’enigma dell’opinione privata. L’opinione dev’essere pubblica: anche quando è individuale, idiosincratica, va fatta uscire dalla sua cameretta, va diffusa in quanto autorevole (gli «opinionisti», gli «esperti») o intervistata in quanto rappresentativa (la «gente»).
7. Bisognerebbe, tra l’altro, studiare i cronotopi dell’opinione pubblica, vale a dire le ricorrenze dei luoghi simbolici che fanno da scenografia alla circolazione dei pareri individuali. Nei suoi contributi, l’esperto si staglia su un fondale di libri, ha diritto a sfoggiare un intérieur, uno studio che è un autentico luogo pubblico perché designa la sua specializzazione riconosciuta in società; il finto-chiuso della sua casa in realtà si spalanca da un lato – quello della telecamera – come un luogo pubblico. La gente invece risponde per la strada, le interviste inscenano la retorica dell’aperto, della casualità: rappresentano il vento che soffia imprevedibile come le voci e i pareri.
8. È intollerabile lasciare l’opinione nell’ombra. Bisogna stanarla, misurarla, tenere aggiornato il grafico della febbre collettiva. Ma innanzitutto l’opinione va tematizzata: «Che ne pensa (di ciò che le chiedo io)?». Il discorso lo imposta chi tiene il microfono dalla parte del manico. L’opinione non è, non deve essere mai gratuita o sorgiva, né tantomeno a tema libero: è sempre di secondo grado, reattiva e consequenziale.
9. Nel giro di un anno, da quando ho pubblicato il mio primo libro, giornali, radio, tivú e istituzioni pubbliche mi hanno chiamato per dire o scrivere qualcosa rispondendo alle seguenti domande:
Tu che sei uno scrittore che si chiama Scarpa, cosa ne pensi del tuo rapporto con le scarpe?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi della violenza negli adolescenti?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi delle trasmissioni radiofoniche?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi delle top model?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi dell’ispirazione?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi del rapporto tra filosofia e passioni?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi del film Il ciclone di Leonardo Pieraccioni?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi del rapporto fra architettura e romanzo?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi di Liala?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi del tuo rapporto col denaro?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi dello scrittore giapponese Shimada Masahiko?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi del linguaggi giovanili?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi delle vacanze di Massimo Cacciari in convento?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi delle immagini estreme nel cinema e nella televisione?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi della fantascienza cyberpunk?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi della retorica barocca della dissimulazione?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi della qualità della vita nel Nordest?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi di cosa pensano i gesuiti degli scrittori cannibali?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi di cosa pensano i maschi delle femmine?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi di Antonio Moresco?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi dei rifiuti nella letteratura contemporanea?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi degli artisti inglesi Chapman Brothers?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi dell’anno venturo?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi di Carlo Cassola?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi della prostituzione giovanile in Giappone?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi del rapporto fra arte contemporanea e letteratura?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi del neosituazionismo italiano?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi della clonazione?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi dei cartoni animati giapponesi nelle televisioni italiane?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi del tuo rapporto con Internet?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi di Enrico Ghezzi?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi del rapporto fra cinema e letteratura?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi di Venezia?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi degli scrittori cannibali?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi di Woody Allen?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi dell’adolescenza prolungata artificiosamente?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi delle Olimpiadi di Atlanta?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi di Catullo?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi del primo film girato per CD-Rom e rimontabile a piacere da chiunque a casa?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi del tuo rapporto con il calcio?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi di ciò che pensa Sebastiano Vassalli degli scrittori cannibali?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi dei libri postumi di Giorgio Manganelli?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi dei testi delle canzoni di Sanremo?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi del compleanno del computer di bordo Hal 9000 nel film 2001, Odissea nello spazio?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi del tuo rapporto col telefono?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi di Carducci beccato a copiare durante l’esame di ammissione alla Normale di Pisa?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi della riforma della scuola superiore?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi di Quentin Tarantino?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi del populismo di Susanna Tamaro?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi della nostalgia per gli anni Settanta?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi del sesso negli adolescenti?
Tu che sei uno scrittore, cosa ne pensi del tuo libro?
10. Ciò che chiamiamo scrittore è questa strana figura sociale, né esperto né gente, a cui si dà ascolto senza avergli posto alcuna domanda. La letteratura è un luogo pubblico dove l’individuo può prendere la parola, può lasciarsi prendere dalla parola senza dover favorire i documenti o mostrare la laurea appesa in cornice.
11. Enorme libertà, enorme responsabilità della letteratura. Mentre fuori sparano si mette a descrivere i fiorellini e le farfalle. Nella stagione delle farfalle, mentre tutti prendono il sole tra i fiori, rovina le belle giornate raccontando di guerra e massacro.
12. L’opinione pubblica è la Sfinge da tenere sotto controllo. Indagini di mercato, sondaggi, statistiche, rilevamenti dell’audience la misurano di continuo. Il comico permette di verificare immediatamente quanto un messaggio abbia raggiunto con successo la sua destinazione. Un pubblico che ride è un pubblico che ha capito la barzelletta.
13. Il comico rassicura i funzionari misuratori dell’opinione pubblica (dossòmetri). Utopia dei dossòmetri: misurare direttamente gli umori del pubblico scavalcando il filtro delle dichiarazioni false, senza dover correggere enunciazioni intorbidite dal paradosso dell’osservatore (per esempio, il desiderio di ben figurare da parte dell’interpellato, di compiacere l’intervistatore). Paradiso in terra dei dossòmetri: la comicità. Non c’è bisogno di strumenti sofisticati, né di indici di rilevamento delle passioni o di elettrodi conficcati alle sorgenti delle emozioni. Ridendo, l’intimità si esterna, pensiero e inconscio saltano fuori nudi come la mente li ha fatti.
14. Il comico tranquillizza. Ridendo, la Sfinge scuote i fianchi. Dà segni di vita senziente, ammette di essere stata toccata. Si sveglia dal suo torpido autismo. C’è funzione fàtica, ritorno del segnale comunicativo, feedback, contatto dialogico, effetto concreto di una causa immateriale buttata tra la folla.
15. Il comico restituisce fisicamente, senza trucchi né mediazioni, la quantità di attenzione dell’opinione pubblica. Comici, umoristi, ironisti: inventate risate carbonare, catacombali, sotterranee. Non risate che seppelliranno, ma risate sepolte.
16. Fantozzi si pesta un dito col martello, si tappa la bocca, va a urlare lontano. Alla letteratura scappa da ridere, si tappa la bocca, corre via, va a sbellicarsi di nascosto, lontano dagli applausometri e dai controllori dell’opinione pubblica.
17. Il comico è riducibile a forma semplice, pillola, scheggia, che è ormai la metrica prediletta dalla propaganda televisiva e pubblicitaria. Si può far ridere in pochi istanti, quei pochi secondi che ti concede un telespettatore con il telecomando puntato. Vale di nuovo l’esempio della barzelletta, a cui da anni vengono dedicate trasmissioni in prima serata. Il comico, inoltre, si presta a essere pilotato: scrosci di risa e sghignazzi preregistrati commentano le battute degli attori nelle situation comedy, le cadenzano come ondate e risacche marine; anche nei varietà il pubblico in studio si sganascia dentro il teleschermo. Il tragico non tollera prescrizioni altrettanto sfacciate: immaginiamo uno sceneggiato, una telenovela, un serial commentati in sottofondo da singhiozzi e lamenti preregistrati del pubblico che piange.
18. Tra l’altro, le risate preregistrate rivelano che il comico confezionato dalla propaganda è autosufficiente: il televisore ride da solo, tutt’al piú concede allo spettatore di partecipare all’autistica allegria della tivú.
19. Il comico, quindi, ha queste due controindicazioni. La prima: può essere ridotto a forma semplice, a minisequenza, è carne da zapping, spot, inserzione, annuncio pubblicitario, manifesto. La seconda: provoca una reazione fisica clamorosa, rumorosa, stana l’intimità della ricezione, permette di misurare l’opinione pubblica.
20. Questo non significa che la letteratura debba lasciare il comico in pasto alla propaganda dedicandosi snobisticamente al tragico. Racconti e romanzi possono ideare forme di comico complesse, irriducibili a sequenze di barzellette, e soprattutto possono dar vita a stranissime ibridazioni in cui non è chiaro se si debba ridere o piangere.
21. Tragico e comico possono essere confusi in una passionalità globale del linguaggio che si mescola al corpo e stravolge i rapporti collaudati di controllo dell’opinione pubblica, le false annessioni e i radicamenti forzati dell’individuo in comunità fittizie, partiti virtuali, culti settari, tifoserie psicotiche, tossicodipendenze mercantili...
Voglio inventare qualcosa di essenziale e inutilizzabile, anzi, non voglio inventare un bel niente
1. Come quegli scienziati che hanno creduto di svolgere ricerca pura inventando di fatto armi micidiali, artisti e scrittori hanno scoperto bombe atomiche comunicative pronte per essere sfruttate dalla propaganda. Dal futurismo alla pop art, dai poeti visivi ai rapper, tutti gli esperimenti di fissione degli atomi linguistici, visivi, musicali che hanno sprigionato inaudite quantità di energia comunicativa sono stati presto applicati su vasta scala dalla pubblicità e dalla persuasione strumentale.
2. I graffitisti che hanno colorito il grigiore dei vagoni delle metropolitane hanno fornito gratis alla propaganda l’idea di tatuare l’intera carrozzeria di autobus e tram con le cosiddette pubblicità globali.
3. Romanzi e racconti hanno la grande fortuna di essere tecnologie della narrazione superate: il romanzo è stato superato dal cinema, il feuilleton è stato superato dalla telenovela, la fiaba è stata superata dal fumetto, i libri d’avventura sono stati superati dal videogioco...
4. La proliferazione delle innumerevoli tecnologie narrative inventate nel nostro secolo ha rivelato in maniera salutare ai romanzi e ai racconti la loro vera natura. Finalmente romanzi e racconti possono lavorare sui propri limiti, possono lavorare i propri limiti, smettendo di svolgere una serie di compiti che le nuove tecnologie della narrazione fanno meglio di loro.
5. Per esempio, se desidero che le mie parole rimangano sotto gli occhi del mio interlocutore per essere meditate, se temo che esse vengano equivocate a causa del tono della mia voce, se ho paura di ingarbugliare un discorso che mi sta a cuore improvvisandolo malamente, posso decidere di scrivergli una lettera invece di telefonargli: in questo modo sfrutto proprio quelli che sono i limiti di una lettera rispetto a una telefonata; tra due forme di comunicazione scelgo quella piú antiquata. L’avvento della telefonia...