La riflessione critica di J. M. Coetzee ha dato luogo negli anni a un’altra scrittura, parallela a quella creativa. A partire dai primi anni Settanta dello scorso secolo, quasi in concomitanza con l’esordio narrativo – Terre al crepuscolo esce nel 1974 – Coetzee pubblica vari saggi di analisi letteraria e culturale, poi raccolti nei volumi in gran parte inediti in italiano, White Writing (1988), Doubling the Point (1992) e Giving Offense (1996)a. Da questi sono tratti i saggi inclusi nel presente volume, riordinati secondo la data di composizione, a rappresentare poco piú di un ventennio di letture e sperimentazioni critiche, in parte motivate dal lavoro accademico dello scrittore presso l’Università di Cape Town. Gli ambiti di ricerca, gli autori, le letture teoriche di riferimento dei saggi sono il frutto delle scelte intellettuali attraverso cui Coetzee riorienta la sua formazione di matematico e poi di programmatore, indirizzandola verso le scienze umane e la tradizione letteraria europea.
Questo passaggio è lucidamente descritto nelle interviste di Doubling the Point, dove Coetzee, sollecitato dalle domande del suo interlocutore, il critico sudafricano David Attwell, ripercorre la sua formazione intellettuale, duplicandone per cosí dire i percorsi, e rileggendo alla luce dei vari stimoli recepiti le proprie strategie narrative. Le interviste, qui solo parzialmente riprodotte, ci restituiscono un Coetzee inedito, che riflette su fasi e scelte della sua vita e della sua opera con una franchezza e una disponibilità mai piú in seguito verificatesi. All’epoca in cui decide di raccogliere in volume i suoi saggi è l’autore acclamato di sei romanzib, tradotti in varie lingue, con la fama di un carattere schivo e restio alle interviste. Cosa lo spinge a intraprendere il progetto nella forma inconsueta del dialogo? Lo spiega lui stesso: «Capire il desiderio che mi ha spinto a scrivere quello che ho scritto tra il 1970 e il 1990. Non i romanzi che sono sufficientemente in grado di interrogarsi su se stessi ma tutto il resto, i saggi critici, le recensioni e cosí via. Scritti che appartengono a un genere che per lo piú non permette loro di riflettere su se stessi […] Forse è per questo che ho scelto la forma del dialogo, per superare l’impasse del mio stesso monologo». Monologo e dialogo sono parole chiave per capire l’opera di Coetzee narratore, opera in cui il forte investimento personale si trova spesso occultato, persino negli scritti piú esplicitamente autobiografici, in forme e strategie di straniamento e alienazione. La scrittura, che produca finzione o analisi critica, è per lui «sempre autobiografia» perché in quanto gesto intransitivo «la scrittura ci scrive» rivelando all’autore una versione di sé piú veritiera delle intenzioni di partenza. Nelle interviste con Attwell è interessante notare come, fin dall’inizio, lo scrittore riesca a sovrapporre, all’inchiesta rigorosa del critico sull’ontologia del suo discorso narrativo, una sorta di progetto autobiografico corrispondente alla prima intensa fase di scrittura dei romanzi, la piú politica. Ricche come sono di rimandi ai romanzi, di informazioni sulle loro piú riposte ragion d’essere, le interviste non si limitano dunque a incorniciare e commentare i saggi ma scandagliano nel profondo la complessa interazione tra vita vissuta e opera dello scrittore.
Gli argomenti trattati nei saggi rinviano ad ambiti eterogenei non sempre collegabili in maniera immediata ai romanzi. Analisi critiche di classici della letteratura europea si alternano a quelle di letteratura sudafricana; riflessioni sulla censura e sulla pubblicità si trovano accanto a letture dell’ideologia dei fumetti e del rugby. Il registro di scrittura varia di caso in caso – ironico, brillante, filosofico, accademico – ma a unificarli è il rigore analitico e metodologico con cui i temi vengono avvicinati, che si tratti di cultura «alta» o di cultura popolare, quasi l’autore abbia voluto, in ciascun caso, mettere alla prova del suo scrutinio formulazioni critiche di successo e verificarne praticabilità e validità. La lunga permanenza negli Stati Uniti, dal 1965 al 1972, prima come dottorando all’Università di Austin, Texas, poi come docente a Buffalo, avrà un peso determinante nelle scelte metodologiche come negli ambiti di studio privilegiati. Sono gli anni in cui si affermano la linguistica, lo strutturalismo, il poststrutturalismo ecc. e Coetzee sembra ricettivo a ogni stimolo e deciso a sperimentarli nel lavoro accademico che va producendo. E se gli studi su Beckett e su Kafka appaiono pesantemente improntati alla linguistica quantitativa e allo strutturalismo, sono molte altre le letture di singoli pensatori che lo influenzano in maniera consistente e piú in profondità, per esempio Foucault, Lacan, Barthes, Derrida, Girard, De Certeau ecc., i cui echi si avvertono in ogni suo romanzo. La questione delle influenze, spesso sollevata nel corso delle interviste, non è mai comunque riconducibile alle sole letture né tantomeno alle mode letterarie del tempo e Coetzee appare restio ad approfondirla, preferendo lasciare nel mistero l’origine e i complessi processi di scrittura attraverso cui si produce l’opera.
Il problema della verità nell’autobiografia appare centrale nella riflessione dello scrittore, che spesso si interroga sulla dialettica della reciprocità, sui modi di una scrittura che rispetti la possibilità di interagire con l’altro sul piano del linguaggio. In quanto membro di una comunità, quella afrikaner, cui rifiuta di appartenere, Coetzee si definisce qualcuno che scrive senza averne l’autorità, col senso di estraneità, di disagio, di esclusione che ne deriva e che lo accompagna da sempre. Si può leggere in questa chiave il saggio Confessione e doppio pensiero, sorta di laboratorio dello scrittore alle prese con alcuni testi dei suoi autori preferiti, Dostoevskij e Tolstoj, che analizza sul piano letterario, filosofico ed etico in relazione alla loro capacità di esplorare e mettere a nudo la verità piú profonda dell’io, in maniera quasi inconsapevole. E non sorprende che in una delle interviste Coetzee dichiari di sentirsi sdoppiato, combattuto tra il cinismo e la grazia, come accade ne I demoni, nel confronto tra Stavrogin e T...