I Nibelunghi
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I Nibelunghi

A cura di Laura Mancinelli

  1. 432 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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I Nibelunghi

A cura di Laura Mancinelli

Informazioni su questo libro

La storia d'amore di Sigfrido e Crimilde e le cruente imprese di Attila e Teodorico costituiscono i due cicli del maggior poema epico germanico scritto nel 1200 da autore ignoto. Combattendo contro i Nibelunghi (stirpe di nani che vivono nelle viscere della terra), il giovane eroe Sigfrido conquista un immenso tesoro e alcuni poteri magici: la spada che uccide ciò che tocca, il cappuccio che rende invisibili, l'anello che moltiplica le forze. Ma non sempre la magia è sufficiente a difendersi dalla morte… Crimilde vendicherà Sigfrido in un crescendo di lotte che causeranno il massacro di due interi popoli. Ne emerge un mondo arcaico dominato da una visione pessimistica della vita in cui la gioia volge inevitabilmente in una tragica fine. Un classico della letteratura di tutti i tempi, che ha avuto in Richard Wagner e nella sua ben nota tetralogia del Reno il massimo esegeta.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2015
Print ISBN
9788806236618
eBook ISBN
9788858419632

MEMORIA E INVENZIONE

Introduzione alla lettura del Nibelungenlied
di Laura Mancinelli

I.
Poema che accomuna motivi del mito germanico, particolarmente nordico, con reminiscenze storiche anche relativamente recenti, elementi fiabeschi con la vita delle corti del Duecento, il Nibelungenlied è prevalentemente, nella prima parte, la storia d’amore di Sigfrido e Crimilde. La loro vicenda s’intreccia con la lotta per un immenso tesoro, si complica con l’intrigo di palazzo e la spedizione di eserciti verso mete lontanissime mentre un cerimoniale insistito e fastoso cede infine al massacro di due interi popoli, che domina nella seconda parte del poema. La corte raffinata del Duecento, di cui l’autore ha diretta esperienza, rivive accanto ad un mondo arcaico e cruento, la storia di Attila e Teodorico accanto al mito popolato di creature sovrumane ed oggetti magici.
Sigfrido, re del Niederland, è il tipico principe del Duecento e da poco è stato armato cavaliere quando parte per conquistare la principessa burgunda, Crimilde, di cui ha sentito parlare. Ma non appena giunge alla corte di Worms, Hagen, il potente vassallo burgundo, narra di lui avventure fantastiche e misteriose, la conquista di un tesoro immenso che apparteneva ai Nibelunghi e l’uccisione di un drago nel cui sangue il giovane si è bagnato divenendo invulnerabile. Un nano fortissimo e fedele, Alberico, custodisce ora per lui il tesoro nella terra dei Nibelunghi. Tuttavia Sigfrido dimora alla corte di Worms in veste di perfetto cavaliere del Duecento, insuperabile non solo in forza ma anche in grazia e cortesia, e come tale agisce quando, dopo aver sconfitto per i Burgundi gli sfidanti sassoni e danesi, viene per la prima volta presentato a Crimilde. Per ottenerla in sposa egli deve conquistare Brunilde, la tremenda regina d’Islanda, di cui il re dei Burgundi, Gunther, è innamorato e che impone ai suoi pretendenti prove mortali. Sigfrido vincerà la donna con mezzi magici che rendono forte e invisibile e gli permettono di sostituirsi a Gunther. Per questo meriterà di sposare la bella Crimilde. Nel fasto delle doppie nozze che si svolgono alla corte di Worms permangono ancora, misteriose e inquietanti, le conseguenze di una conquista ottenuta con l’inganno.
Quando ogni contrasto sembra superato e già parecchi anni sono trascorsi felici per le due coppie nei rispettivi regni, Brunilde, per un oscuro sentimento misto di superbia e gelosia, sente il desiderio di rivedere Sigfrido e Crimilde, apparentemente per trascorrere un lieto periodo di festa con i parenti, forse per misurarsi con la cognata in una gara di potenza. E questa rivalità emerge dal suo cammino sotterraneo nella drammatica scena della lite delle regine che si conclude con l’infamante accusa di Crimilde: Brunilde, la grande regina, nella notte delle sue nozze è stata sopraffatta non da Gunther ma da Sigfrido, e proprio quel Sigfrido che ella considera un vassallo è stato il suo primo signore. Invano Sigfrido giurerà pubblicamente la sua innocenza: Brunilde non conosce il perdono e il suo odio viene strumentalizzato da Hagen e dagli altri vassalli per decidere la condanna di Sigfrido, che è divenuto troppo potente e possiede un tesoro che consoliderebbe, lui morto, la forza del regno burgundo. Cosí l’eroe sarà ucciso a tradimento da Hagen con la sua stessa lancia mentre, chino, si disseta ad una fonte. Proprio Crimilde ne ha involontariamente causato la morte: prima fornendo agli avversari il pretesto per condannarlo, poi indicando a Hagen, di cui ignora la perfidia, l’unico punto vulnerabile del suo corpo.
La morte dell’uomo amato porta in Crimilde un improvviso mutamento che fa della dolce fanciulla ignara del male, incarnazione dell’ideale femminile del mondo cortese, una vendicatrice implacabile che saprà attendere per anni e anni con tenacia disumana il momento della vendetta. Al dolore inconsolabile si mescola la coscienza della sopraffazione di cui è stata vittima e questa sfumatura del sentimento diventa piú precisa e consistente quando, dopo che i fratelli l’hanno convinta a far portare a Worms il tesoro dei Nibelunghi, Hagen glielo sottrae e lo sommerge nel Reno. Il senso dell’offesa subita sormonta il dolore della vedova. La vendetta si impone sempre piú come mezzo per riscattare la propria dignità oltre che dovere di moglie fedele verso l’ucciso.
Per raggiungere il suo scopo, per avere ai suoi ordini l’immensa potenza degli Unni, Crimilde acconsente a sposare in seconde nozze Attila coinvolgendo nella sua trama il purissimo Rüdiger che, messaggero di Attila nella domanda di nozze, le presta un giuramento di fedeltà che causerà in lui un tragico dissidio tra opposti sentimenti di fedeltà e amicizia. E quando Crimilde ritiene che la sua posizione di regina degli Unni si sia abbastanza consolidata, prega Attila di invitare i Burgundi ad una festa di corte; malgrado l’opposizione di Hagen che sente l’inganno e il tradimento, i Burgundi partono per il regno di Attila e superano le difficoltà e le avventure del lungo viaggio grazie alla guida di Hagen, che assume il ruolo di profeta inascoltato, conoscitore del futuro a cui nessuno presta orecchio. Le avventure stesse incontrate nel cammino sembrano voler impedire il viaggio fatale, ma nulla può fermare i Burgundi. La loro cecità di fronte ad un destino anche troppe volte rivelato è tale che durante la sosta nel castello di Bechlar combinano il matrimonio di Giselher, il piú giovane fratello di Gunther, con la figlia di Rüdiger. Ma dal momento in cui mettono piede nel regno degli Unni, ogni scena è dominata dalla greve presenza del destino e ogni azione, volontariamente o involontariamente è rivolta ad affrettarlo. I protagonisti in ogni momento della tragedia sono Hagen e Crimilde, il movente di ogni gesto il loro odio tremendo. Finalmente, quando la tensione ha raggiunto la massima intensità, la battaglia si scatena durante il banchetto nel momento in cui Hagen, provocato e provocatore, con un colpo di spada uccide il bambino Ortlieb, figlio di Attila e Crimilde.
Prigionieri nella reggia, i Burgundi resistono fino a sera agli assalti degli Unni che si susseguono come ondate di marea, finché Crimilde dà ordine di incendiare la sala per far morire tutti i superstiti. Ma ancora una volta i consigli di Hagen salvano i guerrieri. Col livido mattino riprendono gli assalti degli Unni e l’ultimo di questi coinvolgerà, dopo un drammatico colloquio con Attila e Crimilde da una parte, i principi burgundi dall’altra, anche Rüdiger, la vittima piú infelice di un odio che non l’ha neppure sfiorato e di cui, solo allora, scopre l’esistenza. Anche i guerrieri di Teodorico entreranno in battaglia contro l’ordine del loro re e l’opposizione del vecchio Ildebrando, maestro d’armi di Teodorico e figura nota alla poesia anche attraverso il Canto di Ildebrando del IX secolo. Quando la battaglia cessa, vivono tra i Burgundi Gunther e Hagen; tra gli altri il solo Ildebrando che, ferito, è corso ad annunciare la triste notizia al suo re. Solo allora Teodorico, oppresso dal dolore, entrerà in battaglia per far prigionieri i due superstiti e consegnarli incatenati a Crimilde, dopo aver fatto promettere alla donna che avrebbe loro lasciato la vita.
Ma alla vendetta esiste una sola alternativa per Crimilde: che Hagen le renda il tesoro dei Nibelunghi e ristabilisca con tale gesto quell’ordine sociale che egli ha sovvertito. Nessuno può rendere a Crimilde lo sposo perduto, tuttavia la restituzione del tesoro le renderebbe il potere e il prestigio sociale che gli è connesso. Ma Hagen ancora una volta si fa gioco di lei: con l’inganno la induce a far uccidere Gunther e, quando la donna gli presenta il capo mozzo del fratello, invece di rivelarle il luogo del tesoro le risponderà con scherno che ora solo lui e Dio conoscono quel luogo e a lei sarà celato per sempre. Con queste parole Hagen segna la sua fine; con l’uccisione di Hagen Crimilde compie la sua vendetta. Ma la vita di Crimilde non ha piú alcun senso e il gesto con cui Ildebrando uccide la regina non è che la conclusione troppo razionale di una tragedia fondamentalmente irrazionale.
Il poema ci è giunto anonimo attraverso alcuni manoscritti in alto tedesco medio, il linguaggio della Germania meridionale nel periodo che va dalla metà del secolo XI alla fine del XV. Nessuno di questi manoscritti è, come accade per molte opere medievali, l’originale. I piú importanti e completi sono: A, conservato alla Biblioteca Nazionale di Monaco, che il Lachmann considerò il piú vicino all’originale e che utilizzò per la sua edizione di Berlino del 1826; B, della biblioteca del convento di San Gallo, scelto dal Bartsch per la sua edizione di Lipsia, 1870-80, che fu base per l’edizione del de Boor del 1956, su cui è stata fatta la presente traduzione; C, conservato a Donaueschingen, che lo Zarncke scelse per la sua edizione di Lipsia del 1856, che aggiunge singole strofe o gruppi di strofe assenti negli altri due. Tali strofe cercano, con una certa ingenuità e molta forzatura, di superare alcune palesi contraddizioni o di rendere razionalmente accettabili situazioni che ripugnano alla mentalità cortese; in questo sforzo di razionalizzazione il manoscritto C si rivela indubbiamente posteriore rispetto ad A e B. Ma a parte questa deduzione, i rapporti tra A, B, C ed altri manoscritti frammentari, nonché la loro parentela con il perduto originale, sono molto problematici; perciò sono stati per lungo tempo, e sono tuttora, se pure con minore accanimento, oggetto di studi e polemiche tendenti a costruire il cosiddetto ‘stemma’, vale a dire un albero genealogico che stabilisca la discendenza dei manoscritti dall’ignoto originale. La mancanza di elementi storici da un lato, l’intensità stessa della polemica dall’altro, hanno diffuso ormai quasi universalmente la convinzione che non si possa, senza commettere un arbitrio, costruire un tale stemma e, soprattutto, stabilire quale dei manoscritti principali sia il piú prossimo all’originale e quindi il piú attendibile1. Nella scelta del testo per le moderne edizioni si presentano quindi due possibilità: o seguire il manoscritto che è piú congeniale al proprio gusto personale, un criterio dunque soggettivo2, o pubblicare nella forma piú ripulita possibile, eliminando evidenti errori di trascrizione e interpolazioni, la parte comune ai manoscritti principali dando notizia di tutte le varianti anche degli altri minori3. La piú recente edizione del Nibelungenlied consta della riproduzione parallela dei manoscritti A, B e C, affiancata dalle varianti offerte dagli altri minori4.
Il successo del poema tra i contemporanei e nei secoli immediatamente successivi è testimoniato dalla frequenza dei manoscritti, che allontanandosi cronologicamente dall’originale se ne vanno via via differenziando fino a diventare autentici rifacimenti, come il Hürner Seyfrid del XVI secolo; altra testimonianza è il fatto che un autore di prestigio come Wolfram von Eschenbach citi nel Parzival l’episodio del Nibelungenlied in cui Rumold consiglia ai Burgundi di non partire per il regno degli Unni5, episodio che doveva essere divenuto proverbiale e circolare nel mondo dei letterati come il «Rumolds Rat», il consiglio di Rumold. La sua fortuna tuttavia pare arrestarsi con il dramma di Hans Sachs del 1557, perché un lungo periodo di silenzio avvolgerà il poema, fino a quando intorno alla metà del XVIII secolo il Bodmer riporterà alla luce il manoscritto di Monaco, allora appartenente ai conti Hohenems del Vorarlberg, e ne darà parziale pubblicazione nel 1757. A partire da questa data la fortuna del Nibelungenlied, sollecitata dall’entusiasmo romantico per la riscoperta del Medioevo, sarà testimoniata dal succedersi delle edizioni, tra cui l’edizione di F. H. von der Hagen del 1827, che riprodusse per la prima volta l’originale divisione in quartine di versi lunghi allitteranti, nonché dalla rievocazione di argomenti nibelungici nell’Eroe del Nord di La Motte Fouqué, nel dramma i Nibelunghi di Hebbel, e, con risonanza indubbiamente piú vasta, nella tetralogia di Wagner dell’Anello del Nibelungo, il quale tuttavia si ispira piuttosto alla tradizione nordica dell’Edda.
Se si considera il successo che il Nibelungenlied ebbe tra i contemporanei e a ciò si aggiunge il fatto che la data di composizione, anch’essa oggetto di una vasta letteratura critica6, oscilla tra la fine del XII secolo e i primissimi anni del XIII, un periodo cioè di felice evoluzione letteraria, appare un enigma il fatto che esso sia rimasto anonimo. L’anonimità di componimenti letterari è infatti fenomeno diffuso, pressoché normale, in una letteratura alle origini: non sorprende, ad esempio, che anonimi siano il Hildebrandslied e il Heliand che risalgono al IX secolo. Sorprende invece che sia tale il Nibelungenlied, il cui autore ha alle spalle una lunga tradizione letteraria e, per la conoscenza che dimostra della vita di corte, del suo cerimoniale e dei suoi intrighi, si rivela abbastanza chiaramente uomo di corte, personaggio quindi che difficilmente passa inosservato, soprattutto se la sua opera ha tale risonanza da essere citata nel Parzival. Anonimi non sono infatti componimenti contemporanei anche di minor rilievo.
La critica romantica, con l’assioma del popolo poeta, del poema epico frutto della fantasia di tutto un popolo, assioma che venne applicato con notevole disinvoltura anche ai poemi omerici, risolveva implicitamente il problema dell’anonimità: il nome dell’autore non è noto perché non c’è nessun autore, o meglio, autore è tutto un popolo. Questa tesi resistette a lungo proprio perché, anziché fondarsi su considerazioni di carattere critico, si imponeva con la sola forza del suo fascino. Soltanto una diversa concezione dell’opera poetica che facesse leva sul suo carattere di espressione volontaria e cosciente dell’individuo poté sfatare il mito del popolo poeta. Con minore fantasia forse, ma non minore arbitrio, K. Lachmann7 risolveva il problema considerando il poema epico un conglomerato di canti diversi dovuti ad autori diversi, per cui la forma definitiva del poema sarebbe dovuta soltanto ad un raccoglitore, la cui opera si ridurrebbe all’aver ricucito insieme pezzi staccati. Per l’esiguità del suo intervento il suo nome non sarebbe stato degno di essere ricordato. La tesi del Lachmann si prestava a critiche piuttosto ovvie: essa cozzava infatti contro certi motivi costanti che si riscontrano nel poema e contro la coerenza di alcuni personaggi che resta indiscutibile pur in un contesto il cui carattere unitario è assai dubbio. Sempre per una ragione di scarsa dignità, ma questa volta sociale, si spiegherebbe il silenzio intorno all’autore per A. Heusler8, il massimo esponente del pensiero positivistico nella critica nibelungica: il nome del poeta non sarebbe stato ricordato perché doveva trattarsi di un menestrello, vale a dire di persona di bassa estrazione sociale e di scarsa cultura. Le obiezioni si presentano piú che spontanee: del tutto gratuito è il giudizio sull’estrazione sociale dell’autore, di cui non abbiamo nessuna notizia e che ci appare, se mai, appartenere all’ambiente di quei letterati che gravitavano intorno alle...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. I Nibelunghi
  3. Nota all’edizione tascabile
  4. Memoria e invenzione di Laura Mancinelli
  5. Nota bibliografica
  6. I Nibelunghi
  7. I Avventura
  8. II Avventura
  9. III Avventura
  10. IV Avventura
  11. V Avventura
  12. VI Avventura
  13. VII Avventura
  14. VIII Avventura
  15. IX Avventura
  16. X Avventura
  17. XI Avventura
  18. XII Avventura
  19. XIII Avventura
  20. XIV Avventura
  21. XV Avventura
  22. XVI Avventura
  23. XVII Avventura
  24. XVIII Avventura
  25. XIX Avventura
  26. XX Avventura
  27. XXI Avventura
  28. XXII Avventura
  29. XXIII Avventura
  30. XXIV Avventura
  31. XXV Avventura
  32. XXVI Avventura
  33. XXVII Avventura
  34. XXVIII Avventura
  35. XXIX Avventura
  36. XXX Avventura
  37. XXXI Avventura
  38. XXXII Avventura
  39. XXXIII Avventura
  40. XXXIV Avventura
  41. XXXV Avventura
  42. XXXVI Avventura
  43. XXXVII Avventura
  44. XXXVIII Avventura
  45. XXXIX Avventura
  46. Note
  47. Appendice critica
  48. Il libro
  49. Copyright