Rodi, autunno 1478
Il palazzo dei Gran Maestri ospitalieri di Rodi era avvolto dal buio più totale. Il cozzare di ferri, martelli, spade, corazze, le grida stridule dei gabbiani, suoni che avevano riempito l’aria fino al calar del sole, ora si erano tacitati e un profondo silenzio, mitigato solo dal lontano, sommesso respiro del mare che accarezzava gli scogli, lambiva le alte mura merlate, le torri possenti, il cortile deserto.
Nonostante questo, fra Moses non riusciva a dormire. Tutto era così nuovo, così eccitante, così decisivo! Non vedeva l’ora che iniziasse la parte più avventurosa del viaggio. Il Santo Padre gli aveva dato un incarico delicatissimo e gli aveva garantito che al ritorno lo avrebbe lautamente ricompensato: una volta ordinato sacerdote, lo avrebbe insignito di prestigiose cariche e delle relative prebende. Non avrebbe dovuto fallire per nessuna ragione al mondo, per il Santo Padre e per se stesso!
E non avrebbe fallito. Era certo di saper portare a compimento incarichi ben più impegnativi di quelli che gli erano stati finora affidati: si sentiva in grado di ottenere grandi risultati, che gli sarebbero valsi cospicue ricchezze! Non che lui, personalmente, attribuisse eccessiva importanza alla ricchezza, ma essa era considerata dai più espressione di valore e lui voleva dimostrare il suo al mondo. Voleva dare al misero orfanello vessato da tutti l’opportunità di diventare un uomo ammirato e invidiato!
Sapeva che avrebbe dovuto rifuggire le tentazioni, tra cui quella dell’orgoglio. Spesso si vergognava dei propri pensieri e desideri, che tanto contrastavano con i voti che aveva fatto e con la vita di privazioni che aveva scelto di condurre, e si puniva con l’autoflagellazione.
Ancora vestito del saio, la cui dura stoffa sfregava dolorosamente i segni del flagello, si girava e rigirava senza requie sul pagliericcio. Si trovava in una delle stanze minori di quell’appartamento all’interno del palazzo dei Gran Maestri che aveva mantenuto il nome di «palazzo di Cipro» in onore dei precedenti soggiorni della regina Carlotta. Sudava, malgrado il piccolo ambiente fosse umido e l’aria che spirava dalla minuscola finestra già fresca. Immaginava la gioia del pontefice al suo ritorno trionfale, le feste, gli onori; poi di colpo veniva assalito da dubbi e paure, dall’ansia di non farcela, di deluderlo.
Gli dava una strana sensazione, una sottile inquietudine, trovarsi nella casa madre dell’ordine degli ospitalieri, di cui forse lui stesso avrebbe fatto parte, se non avesse incontrato Francesco della Rovere. L’isola, arrivando dal mare, gli era apparsa subito magnifica, il castello imponente e solenne più di qualunque altro aveva mai visitato. Quanta forza emanavano quelle mura! Quanti racconti eroici sui cavalieri di Dio aveva sentito narrare! Tuttavia era funestato ancora una volta da ricordi angoscianti, legati a quegli stessi cavalieri, ricordi che avrebbe voluto cancellare per sempre.
Stava finalmente per assopirsi, quando un leggerissimo rumore lo riportò alla coscienza. Era abituato a dormire mantenendo sempre uno stato di allerta: durante l’infanzia era fondamentale farsi trovare sempre pronto alla difesa o, alla mala parata, alla fuga. Tese le orecchie e gli sembrò di sentire qualcosa che si muoveva nel corridoio, poco oltre la porta della stanza: parevano passi leggeri, strascicati, come se chi camminava lì fuori non volesse farsi sentire, magari per non disturbare il sonno degli altri.
La curiosità lo risvegliò del tutto. Chi si aggirava in piena notte per i corridoi? Che fosse la regina, anche lei insonne? Durante la traversata, Carlotta aveva mostrato un nervosismo crescente, soprattutto negli ultimi giorni di navigazione, quando erano prossimi a raggiungere quella che sarebbe stata la loro prima tappa, Rodi, dove avrebbero fatto rifornimento, prima di proseguire verso Il Cairo con la piccola flottiglia concessa dai finanziamenti del papa e del re di Napoli.
Anche Carlotta gli aveva confidato di avere molti ricordi, i più felici e i più dolorosi della sua vita, legati a quell’isola e a quel castello, dove il Gran Maestro dell’ordine degli ospitalieri Jacques de Milly e i suoi successori l’avevano accolta per molti anni e dove era sepolto il figlio, il piccolo Ugo, morto a soli quattro mesi. Il principino non aveva avuto nemmeno una tomba propria, perché Carlotta aveva giurato a se stessa di creare per lui un sepolcro monumentale a Cipro, non appena fosse riuscita a tornare padrona della sua isola. Il bambino era stato perciò tumulato nella tomba del Gran Maestro de Milly. E proprio quello era stato il primo luogo che Carlotta aveva voluto visitare, appena giunta sull’isola. Davanti alla sepoltura, nella chiesa di San Giovanni, aveva manifestato un’emozione così forte che Moses aveva temuto potesse venir meno da un momento all’altro. No, non ci sarebbe stato da stupirsi se Carlotta stesse passando una notte insonne.
Moses tornò a concentrarsi sui rumori, acuendo al massimo i sensi. I passi si allontanavano; dovevano appartenere ad almeno due persone. Afferrò il pugnale che teneva sempre a portata di mano e aprì leggermente la porta, quel tanto che gli bastò a intravedere nel buio alcune figure ammantate che scivolavano silenziose oltre la svolta del corridoio. Cercando di non produrre il minimo fruscio, raggiunse l’angolo e si protese con cautela. Le figure si dirigevano verso il cortile. Erano tre e quella al centro, più piccola, poteva essere proprio la regina Carlotta.
Mantenendosi a una certa distanza, continuò a seguirle, sempre più incuriosito. Si diressero verso una porta affacciata sul cortile, la aprirono con una grossa chiave e la oltrepassarono. Dall’interno si sentirono provenire deboli rumori metallici. Si stavano armando? Moses iniziò ad avvicinarsi e fu sul punto di farsi scoprire, perché i tre uscirono quasi immediatamente. Soltanto grazie a un guizzo veloce all’ultimo momento riuscì a nascondersi dietro una colonna. Non era stato visto, per fortuna. Non sapeva perché, ma aveva la sensazione che fosse meglio non farsi riconoscere. Di certo stavano tramando qualcosa di strano.
Appena il cuore gli si calmò, tornò a sporgersi oltre il nascondiglio. Le tre persone stavano accendendo delle torce. Alla loro luce trovò conferma del suo sospetto: la donna era proprio la regina Carlotta. In uno degli uomini che la accompagnavano riconobbe l’attuale Gran Maestro dell’ordine, Pierre d’Aubusson, che li aveva accolti quel giorno e con il quale Carlotta era rimasta a lungo a colloquio, da sola. L’altro uomo era anch’egli un monaco ospitaliero. Non erano armi, quelle che imbracciavano, sembravano piuttosto delle grosse spranghe di ferro.
Guardandosi intorno con cautela, si diressero verso i due imponenti archi che portavano all’atrio e quindi al portale d’ingresso del castello. Evidentemente intendevano uscire. Ma perché mai? In ogni caso, quello era un grosso ostacolo per lui. L’ingresso era senz’altro sbarrato, di notte, tenuto sotto controllo da due soldati, come aveva appurato al suo arrivo, che avrebbero richiuso subito i battenti una volta fatto passare il Gran Maestro. E infatti così avvenne. Da dietro il pilastro, Moses assisté a un rapido scambio di battute, poi il portale venne aperto giusto per il tempo di permettere ai tre nottambuli di uscire.
E ora? Come avrebbe fatto a seguirli? Anche ammesso che fosse riuscito a calarsi da una finestra o dalle mura presidiate da sentinelle, nel frattempo i tre si sarebbero allontanati e non li avrebbe più visti. Cosa doveva fare? Forse avrebbe dovuto semplicemente farsi riconoscere da Carlotta e chiedere spiegazioni. Ma, anche se ormai tra loro si era creata una certa confidenza e lui era l’inviato del papa, non poteva pretendere spiegazioni dal Gran Maestro in casa sua!
Cercò di individuare le sentinelle nel buio appena mitigato da un’unica torcia affissa al muro. Forse c’era una speranza! Una delle guardie era un soldato presente nel cortile al loro arrivo, che gli aveva anche rivolto qualche domanda: gli aveva chiesto notizie sul soggiorno romano della regina, che mostrava di conoscere. Magari…
Tornò da dove era venuto e riattraversò trafelato il cortile, presentandosi in affanno davanti alle guardie che lo guardavano stupite e si erano subito messe in allarme sentendo i passi veloci. Quando lo riconobbe, quella con cui aveva chiacchierato si rilassò visibilmente.
«Sono già andati?» chiese Moses ansimando.
«A chi vi riferite?» ribatté la guardia.
«Il Gran Maestro e la regina! Sua Maestà mi ha fatto chiamare da un servo, poco fa. Voleva che li accompagnassi a fare non so cosa fuori dal castello… Ma mi ero allontanato un attimo dalla mia cella…» Diede all’ultima frase un’intonazione maliziosa che fu ben colta dalle guardie, che ridacchiarono. «Il servo mi ha aspettato e per fortuna sono tornato non molto dopo. Ma nel frattempo la regina era già andata via dalla sua camera, lasciandomi detto di raggiungere subito lei e il Gran Maestro davanti alla chiesa di San Giovanni. Speravo di arrivare prima che uscissero, ma… Apritemi subito, vi prego. Devo trovarli.»
«Non ci è stato detto di lasciarvi passare» osservò l’altra guardia, sospettosa.
«Vi prego, Sua Maestà è buona e generosa, ma quando si infuria… Sarebbe capace di farmi frustare! E poi, anche il Santo Padre mi ha raccomandato di proteggerla sempre, di non perderla un attimo di vista! Se venisse a sapere che non mi sono fatto trovare pronto, per me sarebbero guai grossi. Aiutatemi, fratelli!»
Mentre parlava agitato, tirò fuori dalla borsa, che, data l’importanza dei documenti che conteneva, portava a tracolla anche di notte, il salvacondotto con il sigillo pontificio.
L’espressione severa delle guardie vacillò. «Avete delle armi con voi?»
«Un pugnale da difesa, ma posso lasciarlo qui. Non mi serve.»
I due soldati si guardarono per un attimo, indecisi. Poi il primo confermò: «Lo conosco. Era con la regina al suo arrivo».
L’altro fece spallucce. «Io non voglio grane.»
«E non ne avrete, ve lo giuro. Anzi, ne avrete se mi impedirete di obbedire a un ordine di Sua Maestà.»
I due si guardarono di nuovo, poi la prima guardia aprì di una spanna il portale.
Lesto, fra Moses scivolò fuori prima che cambiassero idea: «Grazie, fratelli. Dio ve ne renderà merito!».
«A voi ha già reso merito qualcun altro!» scherzò la guardia. «Poi mi racconterete dove eravate invece di dormire…»
Speriamo che sia Dio a rendere merito anche a me, pensò invece Moses preoccupato. Non era affatto certo che Carlotta avrebbe preso bene la sua iniziativa. E come sarebbe potuto tornare a palazzo senza di lei? A questo però avrebbe pensato a tempo debito, ora doveva preoccuparsi prima di tutto di rintracciare il misterioso gruppetto.
Dove potevano essere andati? Se fossero usciti dal Collachium, la zona fortificata della città, non sarebbe stato semplice superare i controlli all’ingresso delle mura che racchiudevano la cittadella militare! Si guardò intorno: lo spiazzo antistante l’ingresso era deserto. Superata la bella loggia gotica a tre campate, si aprivano due possibilità: a sinistra la Grand Rue scendeva verso l’ospedale e il porto, di fronte a lui una via meno ripida costeggiava la chiesa di San Giovanni, quella che avevano visitato quella mattina.
D’istinto, si diresse verso la chiesa. E in effetti si accorse subito con stupore che il grande portale ogivale era socchiuso. Avvicinandosi, udì dei rumori provenire dall’interno.
Quando si intrufolò, la scena che si presentò ai suoi occhi lo lasciò a bocca aperta. Le persone che cercava avevano raggiunto la zona dove si trovavano i sepolcri dei cavalieri e avevano posato le fiaccole. Mentre la regina si torceva nervosamente le mani, d’Aubusson e il suo compagno si erano avvicinati alla tomba di Jacques de Milly, che ospitava anche il corpo del figlio di Carlotta e, con grande fatica, avevano iniziato a far leva con le spranghe metalliche sul coperchio del sarcofago, decorato dal ritratto del Gran Maestro. Sbuffavano e ansimavano, nello sforzo di sollevare la pesante lastra di marmo. Era incredibile vedere un Gran Maestro svolgere un tale lavoro di fatica! Evidentemente, qualsiasi fosse il motivo che li aveva spinti lì, doveva essere segretissimo. Ma di cosa poteva trattarsi? Forse la regina voleva spostare il corpo del figlio. Ma perché farlo di notte? E perché non rivelarlo a lui? Si sarebbe limitato a osservare che era meglio avere prima la sicurezza di poterlo portare a Cipro, ma di certo non si sarebbe opposto. E poi, su cosa intendevano adagiarlo? Ci voleva una bara, o almeno un piano d’appoggio, e Moses non vedeva nulla del genere nei pressi.
Mentre il frate si faceva quelle domande, il coperchio scivolò finalmente su un lato, abbastanza da scoprire gran parte dell’interno del sarcofago.
Carlotta si avvicinò singhiozzando. «Figlio mio! Figlio mio!» piangeva, a conferma del sospetto di Moses.
Il Gran Maestro le cinse le spalle, cercando di consolare il suo dolore. Quando la donna si fu calmata, anche d’Aubusson si piegò sulla tomba, illuminandola con la torcia. Entrambi allungarono le mani verso l’interno. I loro gesti erano sempre più frenetici, le espressioni prima ansiose, poi spaventate. Moses si avvicinò di più, indeciso se rivelarsi e offrire il proprio aiuto. Quando si era quasi risoluto a farlo, Carlotta singhiozzò: «Niente. Non c’è più! È sparita!».
Moses, in preda a un terribile presentimento, uscì dal nascondiglio. «Cosa è sparito?»
La regina fissò su di lui occhi vacui. «La melagrana di re Salomone è scomparsa!»
Prima ancora che il giovane frate recepisse il significato di quelle parole, si sentì afferrare da dietro e la lama di un pugnale gli premette sulla gola.