
- 176 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Storie liete, fiabe nere e tempi andati
Informazioni su questo libro
La buffa storia della tartaruga del poeta Marino Moretti, i lampi della Resistenza e il buio del dopoguerra, cronache di morti annunciate e pennellate di realismo magico. In questo libro, Francesco Guccini ha raccolto alcuni dei suoi migliori racconti, testi difficili da recuperare o, in alcuni casi, del tutto introvabili. Una raccolta di rarità che trasporta i lettori in un viaggio che va dai familiari scenari dell'Appennino tosco-emiliano a quelli, più inattesi, di un antico regno di fiaba. Un libro per inoltrarsi tra gli echi del passato e l'urgenza del presente, presi per mano dalle evocative illustrazioni di Franco Matticchio.
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Informazioni
Editore
RIZZOLI LIZARDAnno
2021Print ISBN
9788817156684eBook ISBN
9788831804752SECONDA PARTE
FIABE NERE


Lo gnuri
«Allòra, ti è piaciuta Palemmo, èee?!» mi chiede Andrea.
Andrea è il barbiere sotto casa mia. È siciliano, di Palermo. Ormai abita a Bologna da una vita, ma l’accento e la cadenza originali non li ha persi, anche se ogni tanto prova a esibirsi in un improbabile bolognese. È di quelli che dicono sòccimele, per capirci, con la o aperta e la vocale finale, suono così più levantino e differente dalla frustata che esce, esclamazione o imprecazione, dalle bocche locali. Qui, quando al cinema appare qualcosa di sorprendente o sensazionale sullo schermo, la sala sembra percorsa da una violenta raffica di vento. Non si dice sòccimele, Andrea! Un giorno t’insegnerò. Per il momento però taccio, mentre lui mi mette l’ampio spolverino (color fucsia!) e mi inclina all’indietro, per lavarmi la testa.
«Andrea» borbotto, «Palermo la conosco. Ci sono già stato delle altre volte. È bellissima, lo so, ma ero là per lavorare.»
Passa lo sciampo e apre l’acqua. «Va bene l’acqua?» Comincia a frizionare. «A lavorare, sempre lavorare, ma niente facesti di diverso dal lavoro, che so, un giro per la città?»
«Un giro sì, e mi sono tolto una vecchia curiosità, mi sono fatto derubare di cento carte e ho fatto una passeggiata in calesse.»
«In calesse?» si ferma e sorride. «Sai che mio padre faceva lo gnuri?»
«Come? Lo gnuri? E che roba è?»
Torna a sorridere, ripassando lo sciampo. «Lo gnuri, come ci dite voi? Quelli che guidano i calessini, per portare in giro i turisti.»
«A Bologna li chiamavano fiàcher, il fiaccherista, o il fiaccheraio, ma adesso è da molto che non ci sono più. Lo gnuri, dici?»
«Appunto, lo gnuri. Quello faceva mio padre, ci piaceva il mestiere, a lui, e ci piacevano magari i cavalli.» Risciacqua e comincia ad asciugare con un asciugamano. Ride, soprappensiero. «Un giorno glien’è capitata una!» e prende il fòn.
«Ah sì? E cosa gli è successo?»
Pensa, scuotendo la testa. «Mio padre allora aveva il posteggio nella piazzetta di fianco a Palazzo dei Normanni; ci sarai stato, no? Palazzo dei Normanni, quello in centro. Un buon posteggio. Allora non c’erano i turisti che c’è ora, saranno stati gli anni Trenta, ma qualcuno che si prendeva il calesse per fare un giro c’era sempre, non c’erano neanche i tassì. Però dice che quel giorno non veniva nessuno. Era agosto, gli inizi d’agosto, e c’era un caldo che neanche in Africa. Dice che c’era un caldo che si moriva, saranno stati quaranta gradi buoni, e lui era il terzo, prima di lui c’erano altri due gnuri che conosceva un poco di vista, ad aspettare. Era anche mezzogiorno e si era messo sotto a una palma che c’era per ripararsi un po’ da quel gran sole. Dice: “C’è troppo caldo. Ora mi fumo una sigaretta poi vado a casa a mangiare, oggi non è giornata, torno verso sera”. Ha appena acceso quando vede arrivare questi due signori.» Si ferma, e comincia a passare il fòn.
«Usi “dice” al presente. Ma è ancora vivo tuo padre?»
«Nooo, è morto da tanto!»
«E questi due signori com’erano?»
«Non so, non mi ricordo, non me l’ha detto. Dice due signori, vestiti tutti di scuro, anche col caldo che faceva.»
«E allora?»
«Allora vanno a parlare col primo del turno, e questo fa no, con la testa, dice di no. Allora vanno dal secondo, e anche questo dice di no, lo vede mio padre che scuote la testa. Allora vanno da lui. “Sentite” ci dicono, “ci sarebbe da fare un servizio, una corsa, dovreste portarci…” e dicono il nome di un posto, un po’ fuori Palemmo. “Va bene” fa mio padre, “è il mio mestiere, portare la gente, montate.” I due salgono su, sale anche mio padre e partono.»

Il fòn mi spazza la testa, la radio sempre accesa gracchia una musichetta indistinguibile. Andrea si ferma un momento, tiene il fòn come una pistola.
«E allora?»
«Allora vanno, i due in silenzio, mio padre pure. Ogni tanto dice che toccava il cavallo con la frusta, “Vai Alfredo”, ci diceva.» Ride. «Il cavallo si chiamava Alfredo» mi fa. «Escono da Palemmo, e i due gli dicono di prendere una strada di campagna. Vanno e vanno, in mezzo a quella campagna bruciata, non c’era un filo di verde, il sole d’agosto, sai, in Sicilia picchia, sarà stato mezzogiorno e mezzo l’una, mio padre dice che era tutto sudato per questo gran caldo, e aveva sete, e magari fame, e finalmente arrivano a una grande fattoria, con tutto un muro attorno. Appena arrivati si apre un portone grande, una signora scosta il battente e li fa passare. I due non scendono. Uno fa a mio padre: “Avete sete, avete fame?”. “Èee!” fa mio padre, e allarga le braccia. Allora questo gli fa: “Se avete sete e fame, entrate in casa e questa signora penserà a voi”. E mio padre entrò.»
«E il calesse?»
Si stringe nelle spalle. «Non ne seppe niente, mio padre, del calesse, né allora né mai. Andò in casa con la signora che lo fece passare in una cucina. Là c’era una tavola apparecchiata, con ogni ben di Dio, e dentro c’era fresco, bene si stava, proprio fresco a differenza del caldo di fuori. Prima la vecchia, perché dice che era vecchia, questa signora, gli dette un bicchiere di acqua e zemmù, non sai cos’è lo zemmù? È anice, per togliere la sete e come aperitivo. Dice che l’acqua era freschissima, e allora non c’erano tanti frigoriferi, sai, chissà come avevano fatto. Poi c’era prosciutto e melone, e anche il melone era fresco, e anche il vino che gli dette da bere, fresco anche il vino. Mio padre aveva fame, e spazzò via prosciutto e melone. Allora la vecchia arrivò con la pasta con le sarde, l’hai mai mangiata? Non è proprio un piatto estivo, ma dentro c’era fresco e mio padre aveva fame; dopo quella, c’era un arrosto di capretto con le patate, e mio padre spazzò via anche quello.» Ride. «Dice mia madre che ogni sera pregava a santa Rosalia che gli togliesse un poco d’appetito, a mio padre, mangiava mangiava e non ingrassava di un etto. Sempre magro magro, era.»
Andrea ha finito d’asciugare. Mi allunga una spazzola perché mi pettini come pare a me. «Ma senti» gli dico, «sono rimasti solo lui e la vecchia. E gli altri due che fine hanno fatto? Sono andati via col calesse o cosa? E dove sono andati, col calesse?»
Allarga le braccia. «T’ho detto, mio padre non l’ha mai saputo. Dopo ha guardato anche il giornale per vedere se c’era qualcosa, ma niente. Lui è stato lì a mangiare, a bere, al fresco, ed è passato molto tempo. La vecchia gli portò anche la frutta e poi gli disse: “Un caffè lo gradite?”. “Eh!” fece mio padre, e si bevette il caffè e si accese una sigaretta. La vecchia scomparve. Mio padre si accese un’altra sigaretta quando la porta si aprì e i due entrarono. “Avete mangiato, avete bevuto?” gli chiedono. “Sì, ottimamente” fa mio padre. “Bene” dice uno dei due. “Ora potete tornare.” “Da solo?” fa mio padre. “Da solo, da solo, noi siamo arrivati” gli dicono. “Piuttosto” gli fa uno, e dice che lo guardava con la testa piegata e gli occhi socchiusi, “piuttosto. Avete visto qualcuno, voi, oggi?” “No” fa mio padre, “e chi dovevo vedere?” “Ah, bene” fa uno dei due, “e avete portato qualcuno, da qualche parte?” “No” fa mio padre, “a mezzogiorno c’era gran caldo e non c’erano clienti. A casa andai, mangiai, mi coricai, e sono uscito verso sera, come sempre.” “Così è andata” ci fa uno, “voi abitate in via tale al numero tale…” e qui mio padre ci rimase di sasso, che conoscevano il suo indirizzo, “non vi preoccupate per la corsa, presto passerà qualcuno per il vostro disturbo.”»
Mi toglie lo spolverino. «Il signore è servito» fa con scherzosa deferenza.
Mi alzo in piedi. «Ma l’hanno pagato, poi?»
«Pagato?» ride. «Non è finita. Il giorno dopo era fermo al solito posto, da solo. Arriva un cliente e gli dà un indirizzo. A un certo punto lo tocca sulla spalla e ci fa: “Scusate, ma mi sbaglio o vi ho visto ieri sulla strada fuori città verso la campagna?”. “No” fa mio padre, “impossibile, forse avete visto un’altra persona. Ieri c’era questo gran caldo, nessun cliente e verso mezzogiorno a casa andai, mangiai, mi coricai e sono riuscito verso sera per il fresco, come sempre.” “Scusate” fa l’altro, “mi ero confuso.” E non dice più niente. Alla sera erano a tavola che stavano mangiando, sentono bussare alla porta, aprono. C’era un picciotto con una busta. “È per quella corsa che sapete” fa, e scappa. Guardano dentro la busta e c’erano tanti di quei soldi che mio padre poi si comprò una casetta, quella dove sono nato io. Capito?» e ride.
«Ah» dice mentre sto uscendo, «raccontava mio padre che gli altri due gnuri, quelli che avevano rifiutato la corsa, lui non li ha più visti. Dice che ha guardato tanto, ma in giro, a fare gli gnuri, lui non li ha più visti.»


Buona domenica, Miguel
Miguel era arrivato in auto nel tardo pomeriggio. Architetto in una ditta di costruzioni, aveva sempre qualcosa da sbrigare dopo l’orario normale di lavoro, un disegno da finire, un progetto da concludere. Ma il sabato, arrivata l’ora, mollava tutto e non tornava nel suo piccolo attico di Rio. Alle due lasciava l’ufficio e senza passare da casa per fare la doccia o cambiarsi, si fermava nel primo bar per un panino e una birra, poi saliva sull’auto e andava nella sua casa al mare, a un centinaio di chilometri dalla città. Passava quel che restava del sabato e quasi tutta la domenica là, una cittadina, qualche bar, gente semplice, tutti amici, per rilassarsi, fare qualche chiacchiera, godersi un po’ la spiaggia sicuramente meno percorsa dalla folla incessante di Copacabana. Mettere un po’ a posto la casa, una caipirinha all’ombra, un bagno, una dormita, era tutto quello che chiedeva ai suoi fine settimana. A volte venivano anche amiche e amici, ma preferiva essere da solo, perché le compagnie sentivano quasi il dovere di divertirsi, e gli scompigliavano tutto se si mettevano a far da mangiare o si ubriacavano, lasciando portacenere pieni e bicchieri col cerchio sotto e lime schiacciati in ogni angolo della casa.

Qualche volta portava un’amica, ma la situazione in quel caso era diversa, più calma. In genere preferiva non avere nessuno attorno, per il piacere di stare con sé, in pace. Come quella volta.
Fermò la macchina sul retro, scese e aprì la porta. Dentro era tutto in ordine. La moglie di Octaviano, il vicino di casa poliziotto, il lunedì prima aveva pulito, come d’accordo. Scaricò la sacca con la roba, qualche provvista, qualcosa per cambiarsi, e aprì le finestre, per dare aria. Guardò, poco lontano, le grandi onde che picchiavano la spiaggia. Non c’era nessuno. Solo all’ombra, vicino a grandi massi grigiastri, una bionda misteriosa a seno nudo. La guardò e sentì un vuoto allo stomaco, quasi gli venne il rimorso di non essersi portato nessuna, ma la donna si alzò e se ne andò. “Meglio così” pensò, “passerò il tempo in pace.” Mise il costume e andò a fare una nuotata, per togliersi di dosso il caldo e il sudore. Poi tornò a casa, rilassato, quasi felice. Fece la doccia, si vestì e cominciò a darsi da fare per la cena. Era venuto il buio. Accese anche il televisore, ma non funzionava.
Non li sentì entrare. Stava cercando di far qualcosa per l’apparecchio, forse si era staccata l’antenna, perché l’immagine arrivava confusa sullo schermo. Eccolo lì infatti, il cavetto per terra. Si era messo in ginocchio, piegato in avanti, e cercava con una mano il foro per inserirlo, maledicendo che tutte quelle cose fossero sempre nei posti più scomodi, più difficili da raggiungere e pieni di polvere. Borbottava impreca...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- PREFAZIONE. L’APPENNINO DEI RICORDI
- STORIE LIETE, FIABE NERE E TEMPI ANDATI
- PRIMA PARTE. STORIE LIETE
- SECONDA PARTE. FIABE NERE
- TERZA PARTE. TEMPI ANDATI
- POSTFAZIONE. LA STORIA DELLE STORIE
- NOTE BIBLIOGRAFICHE
- Copyright