Ma vaffanculo! Ufficialmente. Te, tua madre e i tuoi sedici e sedicenti parenti. Agenzie, siti, news, maledette piattole, sudici fanfaroni battono a più non posso il sadico scherzo all’ora sacra della pennica, quando il romano di una volta ma pure quello di oggi non è disposto a visioni oniriche che non siano quelle della trippa col pecorino e lo svenimento conseguente da sana e consapevole libidine.
La burla non si smorza. Insiste. Tutti i buontemponi del pianeta, complici della trama, a farsi beffe del povero romanista e dei suoi stracci. Lo schiaffone di Manchester (6-2 nella semifinale di Europa League), l’ultimo cappello da asino in testa. L’ultimo sogno finito in vacca. Ora sono i telegiornali nazionali a darci dentro. Impazziti. Sky TG24. Cristo santo! Allora è tutto vero? Ma può essere vero ciò che non è verosimile? La stessa cosa di Naomi Campbell, la pantera, non proprio all’apice ma quasi della sua bellezza, che s’infila nottetempo nel tuo pulcioso letto di avanzo umano, la cui storia è riassumibile in meno di dieci barzellette e zero titoli. E ti dice, Naomi, nel suo babydoll di pelle nero tenebra, uno schianto di donna, feromoni che impazzano da ogni millimetro di carne: «Daje, vecchio panzone, vediamo che sai fare, mettimi incinta tu ché, se no, lo faccio io». Destinazione paradiso. O Tony Bennett che si presenta inatteso al tuo matrimonio o al tuo funerale, con il suo abito blu e la pochette rossa, e canta Cheek to Cheek accompagnato da Lady Gaga, in cambio di un ragionevole obolo. Miraggi, appunto. Ma cosa non è un miraggio a questo mondo?
«La Roma è lieta di annunciare che José Mourinho sarà…» Quel pomeriggio del 4 maggio 2021, san Ciriaco di Gerusalemme, il giorno in cui, 72 anni prima, si schianta il Grande Torino a Superga e, 92 anni prima, nasce Audrey Hepburn, la diva di Vacanze romane, i tifosi romanisti non lo dimenticheranno facilmente. Il sussulto del cuore che diventa tumulto. Ci si rimbalza la notizia nell’orgia dei whatsapp come a sentirsi meno soli in quel colpevole delirio di mitomani. Tutto vero? Ma no, certo che non può essere vero! Ti pare? Mourinho alla Roma? C’è già stata Biancaneve nella capanna dei Sette Nani, ma era per l’appunto una balla romanzata di quel sadicone di Walt Disney. Sette strati di pelle non bastano. Da romanista a romanista. Allucinazioni a confronto. «Hai letto anche tu?» Non sta scritto nelle stelle e nemmeno nelle stalle. Naomi Campbell nel nostro letto? La stratosfera che accetta di giacere nella tua miserevole cuccia. Complice del tuo sogno più bacato, del tuo orgasmo più malato.
In quanto a brividi erotici, noi romanisti non eravamo andati oltre il tristissimo finto strip-tease di Sabrina Ferilli al Circo Massimo, davanti a un milione di tifosi arrapatissimi per lo scudetto vinto, non per la Ferilli discinta. I tre magi in uno, oro, incenso e mirra, con la faccia da putto sciamanico, a te bambinello che, tutt’al più, avresti potuto sospirare una visita di Madre Teresa al tuo capezzale.
Una città intera in preda alle visioni. «Non ci credo nemmeno se lo vedo.» Fino al giorno prima, solo un mitomane grave (a Roma li chiamano benevolmente “cazzari”, non sapendo che siamo tutti mitomani noi viventi, chi più chi meno) avrebbe potuto mettere insieme Mourinho e la Roma, salvo annegare un secondo dopo in un mare di pernacchie. L’incredulità, sentimento che si accompagna allo stupore, spiega da sé il carisma dell’uomo. Incredulità di una tifoseria intera, ma anche di tutto il sistema calcio Italia, attraversato all’istante da una non misurabile scossa di adrenalina che non si placa a distanza di giorni, settimane, mesi.
Tutti sono pronti a farsi affascinare dal domani. Lo dice Céline, ne sono una prova i romanisti. Il mondo è pieno di alberi che non hanno radici ma hanno l’ampiezza forte e avvolgente dei grandi sogni. L’attitudine a sognare del tifoso giallorosso è unica al mondo, oltre che irriducibile. Un vero e proprio talento che sconfina appena può, cioè sempre, nel delirio. Siamo tutti noi, giallorossi, verdi, bianchi, neri, blu e soprattutto fucsia, la somma delle nostre allucinazioni. Ma questa volta, ragazzi, con la storia di Mourinho abbiamo esagerato!
Arriva? Quando arriva? Come arriva? Per mare, per terra, dal cielo? Spasmodica a dir poco l’attesa per il primo giorno a Roma dello Special. Si sprecano le ipotesi. Lo vestiranno da Massimo Decimo Meridio, il gladiatore? S’inventeranno al suo fianco l’ologramma di Augusto? Fantasie pericolosamente in bilico tra il kitsch e il folk, si vocifera di Caracalla, di piazza di Spagna, si mormora del Colosseo. La più “ovvia”, l’Olimpico vestito a festa con tifosi altrettanto festosi ma distanziati e forse anche mascherati, perché il generale Figliuolo da ogni dove ci guarda, ovunque e comunque in assetto da delirio. L’ipotesi più spartana, una conferenza stampa in mondovisione a Trigoria. Prende quota la suggestione Campidoglio, il verbo di Mourinho che si diffonde e scandisce tra i busti imperiali dei Musei Capitolini.
Comunque arrivi, a cavallo o nella fuori serie d’ordinanza dai vetri oscurati, sbarcherà in ogni caso dal Cielo. Né per questo ha bisogno di elicotteri e pale, come a suo tempo l’altro celebre unto dal Signore, sua presidenza Berlusconi. La fantasia più sgargiante e folle vede Mou spuntare dalle nubi, sospinto dal ponentino, a bordo del jet privato riverniciato di giallorosso, pilotato da Dan Friedkin in persona e dal suo amico di vecchia data Ed Shipley, versione texana del colonnello Kilgore di Apocalypse Now, sulle note degli amati Metallica, James Hetfield voce e chitarra sparato a palla in The Four Horsemen. O, magari, chissà, Dan sì al volante in versione Barone Rosso, ma niente metal, sarà invece uno stornello romano intonato da un coro di monaci benedettini, più in linea con le attitudini religiose di Mourinho.
Quando e come sarà presentato? Intanto, dal suo rifugio, il fantasma di Mou è iperattivo, fa già il mercato per la Roma, compra e vende centinaia di giocatori. La mossa di Mourinho ha spalancato le gabbie, cancellato ogni freno inibitorio, dato il via alle fantasie più sfrenate. Tutto diventa verosimile. Il sillogismo è evidente. Se è stato possibile Mourinho alla Roma, è possibile qualunque altra cosa. È il carisma di Mou. Le sue amicizie sparse nel pianeta. Nessun sogno è proibito. Arriverà l’egoico Cristiano Ronaldo, il meglio che c’è al mondo, quello che odia la Coca-Cola e certamente anche la trippa alla romana e che con lo Special oscilla da sempre tra l’amore e l’odio? No, arriva Ramos il totem madridista, suo fedele pupillo che all’ultimo momento sceglie Roma invece di Parigi. E forse anche Harry Kane, il Micidiale del Tottenham, che senza José non sa stare. No, non arriva nessuno. Arriva Mou. Basta e avanza. «Mourinho? Io avrei esultato anche per un De Zerbi» mi confida incredulo un vecchio amico dal midollo giallo e rosso.
Quando si presenta? Si pensava il 17 giugno, vent’anni dalla muffa dell’ultimo scudetto. Una trovata grandiosa, sarebbe stata. Dal poderoso impatto simbolico. Niente. Mou si fa vivo solo con l’abituale post su Instagram, elegante come fosse un tight, in cui si congratula da gentleman con la Roma vincente di allora, una vita fa, la famiglia Sensi, Fabio Capello. Un asso, José, anche in questo, nell’ingigantire l’attesa, nel declinare la strategia dell’esserci o del non esserci, mille volte più abile di Nanni Moretti («Mi si nota di più se…»). Mou centellina, dosa, si mostra e si nasconde, carta c’è, carta non c’è. Il suo è lo spartito sapientissimo di un illusionista. Nulla lasciato al caso perché tutto, un respiro, una pausa, una parola qualsiasi, va valorizzato, deve portare il suo piccolo mattoncino alla mitografia del personaggio. Poche e mirate sortite nei social bastano e avanzano a esasperare il desiderio di Mou e a insinuare il dubbio: ma sarà tutto vero, davvero? Vuoi vedere che si sfila all’ultimo momento, attirato da sirene più poppute della lupa? Sarà un caso oppure no ma filtra in quei giorni la notizia del Real Madrid che, perso Zidane, avrebbe sondato José per riportarlo sulla panchina merengue dove pure ha tribolato e fatto tribolare, prima di deviare su Carlo Ancelotti, il Pacioccone.
Nel frattempo, in questo caos che non lo sfiora, lui non sbaglia una mossa e ordina – virtualmente – un cono al mango (giallo) e fragola (rosso) a una gelateria romana di Torre Angela che fa sapere sulla propria pagina di Instagram di aver inserito nella lista un nuovo sorbetto a lui dedicato. Roma brucia per il suo Mou. Sarebbe il caso di inventare un tabloid popolare da dedicare solo a lui. Se saprà entrare nelle teste dei romani e, a quanto pare, è già entrato, ne vedremo delle belle. Dal Duomo al Colosseo, la solfa non cambia, tutti pazzi per Mou. Ma il delirio dei romani non ha uguali. Mette insieme Trilussa e la Madonna, Marziale e Aldo Fabrizi, Pasquino e Maurizio Costanzo. La Roma papalina e quella della Suburra.
Tutti a fantasticare e a predire già da quel dì di maggio. Pentole in subbuglio. Il giorno in cui arriverà a Roma, se mai arriverà, sarà il caos e saranno osanna. Il rito inverso rispetto alla celebre piazza. Saranno le folle benedicenti e il nuovo pontefice a essere benedetto (fateci caso, non è un caso, la capa mai tinta, tenuta vezzosamente canuta del Mou, non somiglia a una papalina?). Il sogno più audace: che Mou si presenti con quella sua faccia da impunito, nemmeno disdetta dal capello imbiancato, e dica dopo la sapiente pausa nel suo sapiente modo: «Mi dispiace, io so’ io e voi non siete un cazzo!». Sarebbe troppo, signor Marchese. Peccato solo che tifosi come Sordi e Proietti non possano goderselo e raccontarselo. Più che mai peccato che uno come Carmelo Bene, gemello in magnetismo animale del personaggio Mou, per la serie quando il mito è prima di tutto un mitomane (di se stesso), non sia ancora qui tra noi a straparlare di cose probabilmente empatiche con il suo omologo calcistico, invece che subire celebrazioni per il ventennio della sua presunta morte da funzionari dell’ODM (Obbligo Della Memoria) che si presumono vivi. Pensate solo al sollazzo senza fine di un loro incontro pubblico o privato, Carmelo e José, che, giuro, sarebbe stato un capolavoro prima o poi.
Arriverà, forse, e scenderà dalle scalette dell’aereo canticchiando Grazie Roma a braccetto con Antonello, il menestrello di Trastevere, scortato da due bluebell in calzamaglia e tutù, Sabrina Ferilli e Barbara Palombelli, che gli fanno vento. Lui che, nei due anni all’Inter, è stato il peggior nemico della Roma. E che, quella sera del 2010 all’Olimpico, la finale di Coppa Italia Roma-Inter non la voleva giocare per via dell’inno di Venditti sparato a palla prima del fischio d’inizio. Una provocazione. «Fermate la musica o ce ne andiamo!» sbraitava lo Specialone nerazzurro. Grazie Roma ora dovrà ascoltarla e canticchiarla in continuazione. Ma non farà fatica. Non avrà problemi José, intonato o meno che sia, dopo aver cantato «O, meu Porto, onde a eterna mocidade…» al Dragão, «Blue is the colour, football is the game, Chelsea is our name» allo Stamford Bridge, «Pazza Inter amala» a San Siro, «Hala Madrid, Hala Madrid!» al Santiago Bernabeu, «Glory, Glory Man United» all’Old Trafford e «Glory Glory Tottenham Hotspur» (qui magari c’era il rischio di confondersi…). José Mourinho conta solo i fedeli, innumerevoli, e le vittorie. «Venticinque e mezza…» I nemici? Non li conta. Non contano. Esistono solo fino a quando si mettono in mezzo tra lui e la sua prossima preda.
Capacità di adattamento in puro spirito darwiniano? No, fede in puro stile mourinhiano. Mou ha fede nel destino, a patto che il destino sia dalla sua parte. Che vuol dire: collaborare ad alimentare il mito di Mou. Mou non dubita, non tentenna. Soprattutto, non dubita di sé e, se dubita, non lo lascia vedere. Non dubita nemmeno nella sconfitta o nella delusione. Quella atroce del 2013, sir Alex Ferguson che lascia dopo 27 anni lo United e non sceglie lui come successore ma tale David Moyes, manager dell’Everton, zero titoli. Uno shock per Mourinho. Un affronto inspiegabile. Non si capacita, inutilmente consolato dal suo agente Mendes che lo aveva persuaso d’essere lui l’erede al trono, il favorito di Sir Alex. Apprendere che le cose non stavano così lo gettò in uno stato di prostrazione. Qualcuno giura di averlo visto piangere. Riemerse abbastanza velocemente più forte di prima, al motto di: «Non mi ha voluto? Peggio per lui, peggio per lo United, peggio per tutti loro».
Anche per questo, per questo suo modo di pettinare la sconfitta e pattinare sul dolore, ogni volta che Mourinho sbarca in qualche Capitale del mondo sono cuori infranti, uomini e donne stregate. Scrisse di lui Jessica Callan sull’«Independent» al suo arrivo a Londra: «Quando il portoghese imbronciato è arrivato al Chelsea, le donne d’Inghilterra hanno cominciato a fissare trasognate lo schermo. José sembra sexy anche quando porta a spasso il suo Yorkshire terrier».
Venerdì 2 luglio, ore 14 e 33, d’un tratto c’invade la bea-titudine… Una fumeria d’oppio a Bombay? Una grotta in pieno giorno a Lourdes? L’anestesia totale in una sala operatoria della Mater Dei? No, l’aeroporto di Ciampino all’ora di punta.
Arriva? Non arriva? Arriva! José Mourinho. Da Lisbona, via Setúbal. Preceduto da un video che più charmant e maliardo non si può: «Tifosi della Roma, sto arrivando». Un’annunciazione, più che un annuncio. Il sorriso abile appena accennato, dell’uomo che non deve chiedere mai perché tutto gli è dato. Nulla di vistoso, nulla di ruffiano. L’arcangelo Gabriele e José nello stesso ologramma. Il messaggero e lo spirito santo. La vergine incinta? Una città intera. Roma. La matrona dai larghi fianchi. Forse non del tutto vergine, ma sicuramente incinta.
L’atterraggio. Pandemia? No, pandemonio. Un bagno di follia. Tutti fuori di testa. Inclusa la Beata Maria Vergine del Rosario, la Madonna locale. Qualcuno giura di averla riconosciuta nella folla tripudiante, mimetizzata da sora Lella con una parannanza bianca da cucina, sotto il cartello in vena di calembour che dava il benvenuto allo sciamano di Setúbal: “HabeMous Papam”. Un tripudio di gole in calore e di cori stonati. «Olé, olé, olé, José, José…» Hanno pure imparato a scriverlo con l’accento giusto, quello acuto. Ah, la forza dell’amore…
«Non ci credo nemmeno se lo vedo…» Ora che l’hanno visto continuano con coerenza a non crederci. Avrebbero voluto toccarlo con mano, ma non si può. Intoccabile il Mou per definizione, e ora anche per volontà del generale Figliuolo. Interminabile l’attesa all’aeroporto, sotto il sole e un calore che rischia il malore. «Aprite quella porta!» supplica la folla che non teme l’orrore, ma teme l’errore. I «Daje» sparati a raffica soprattutto nella direzione dello sportellone del jet privato parcheggiato sulla pista. «Ma è vero che al volante ci sta proprio lui, Dan?» La voce corre. Siamo in tema di miracoli e di allucinazioni, del resto.
L’incredulità al settimo cielo. Lo scetticismo monta, l’ansia divora le deboli ma tenaci menti degli astanti e della gente a casa, appesa ai notiziari. Soprassalti di humour nero per ingannare l’attesa, per non cedere all’inganno e prevenire la delusione. «Adesso si apre la porta e appare Fonseca…» «I Friedkin ci hanno ripensato all’ultimo minuto…» Alternativa, ci ha ripensato Mourinho. Il pessimismo inclina al tragico, ma non rinuncia al sarcasmo. Si apre la porta e appare José Mourinho, sembra proprio lui. «… Ma poi se leva la maschera e sotto c’è Lillo, il figlio della sora Lella.» Un sadico scherzo. Un’allucinazione d’inizio estate.
E invece no, è tutto vero, proprio lui, il signore in nero, José Mourinho. Non gli spunta un fiore in bocca, ma una sciarpa giallorossa sulle spalle. Bello come il sole, con quella faccia da impunito, ogni parola una sentenza, imperioso in attesa di diventare imperiale. E chi se ne frega anche se fosse tutto un sogno, perché la vita è sogno. E se poi siamo qui a sognare tutti lo stesso sogno, quando ci sveglieremo avremo la stessa storia da raccontarci e lo faremo per un bel pezzo alla faccia dei laziali e dei non sognatori.
Si avvera la fantasia più assurda dell’infinita vigilia, cinquantanove giorni, di chi lo immaginav...