Il problema non è tanto Boris Johnson, sorta di Trump venuto male, pettinatura inclusa, quanto chi lo ha votato e messo lì.
Ha parlato a caso di «immunità di gregge», e poi per poco di Covid non ci moriva.
Si è affidato a «esperti virologi» che esistevano solo nella sua testa, popolata verosimilmente di vuoto spinto e cazzate allo stato brado.
Ha detto che gli inglesi, a differenza degli italiani, «amano la libertà» (e Mattarella lo ha incenerito).
Dal suo avamposto di Downing Street, o «Clowning Street» come lo chiamano ormai tutti quei britannici che non hanno commesso il suicidio scemo di votarlo, ci ricorda ogni giorno quanto la politica possa essere alta in certi casi. E bassissima in molti altri.
Tipo il suo.
A me, tutto sommato, Littorio Ginger Ale starebbe anche simpatico.
Tutti abbiamo avuto un nonno, o un amico del nonno, così. Era quello che, al bar, la sparava grossa. Tu gli offrivi da bere, e lui la sparava ancora più grossa. E via così. Sempre più su, sempre più su. Fino al parossismo della cazzata titanica.
Littorio Ginger Ale è così. E lo sa anche lui. Recita la parte del borbottone che inveisce a caso su tutti, con quei toni vecchio borghese-destrorsi di chi si compiace della propria finta ignoranza (e vera maleducazione).
È ampiamente oltre la satira di Maurizio Crozza. Dice/scrive cose quasi sempre vomitevoli. E si veste pure come un damerino daltonico e, chissà perché, asintomatico nei confronti del pur minimo senso del ridicolo.
Littorio Ginger Ale, sulla cui storia politica si era già espresso Indro Montanelli ormai tanti anni fa, è così oltre ogni indecenza da risultare per contrasto quasi simpatico. Fa folclore, fa tenerezza.
Andrebbe anche bene, se solo sproloquiasse in quel bar di provincia che tutti noi abbiamo frequentato anche solo una volta.
Andrebbe anche bene.
Il problema è che questo qua fa il direttore (di niente, ma lo fa).
Il problema è che questo qua lo chiamano addirittura in tivù.
Il problema è che questo qua è persino ascoltato da qualcuno. Al punto tale che, prima che fosse eletto quel galantuomo di Sergio Mattarella, due politici lo proposero al Quirinale.
Sul serio, non scherzo: «Feltri capo dello Stato». Chi lo propose? Salvini e Meloni, ovviamente. Chi si somiglia si piglia.
Una prece.
Le frasi sui medici calabresi: «Ho visto i dati della differenza degli stipendi tra i medici calabresi e i medici dell’Emilia-Romagna. Ci saremmo tutti stupiti negativamente se gli stipendi dei medici calabresi fossero stati più alti di quelli dell’Emilia-Romagna. Menomale che non è così».
Le uscite su aborto e omosessuali, che nel giugno 2016 si rifiuta di sposare in qualità di sindaca di Cascina: «Il registrucolo degli amanti omosessuali è un’invasione di campo ideologica in vista del mutamento del concetto di famiglia».
Il viaggio, in piena emergenza Covid, per «recuperare» a Barcellona gli italiani rimasti bloccati lì dopo un viaggio alle Canarie, senza aspettare che si muovesse la Farnesina.
Imagine di John Lennon che non va bene, perché è «una canzone marxista».
Gli attacchi sotto la cintura a Carola Rackete: «Evidentemente pensava di essere nel set dei Pirati dei Caraibi [...] Il film è finito. E le comparse del Pd possono tornare a casa!».
La mascherina di pizzo sfoggiata accanto al suo eroe Salvini.
I deliri sulla liberazione di Silvia Romano, quando pubblicò una notizia del 2019 – spacciandola per nuova – in cui si parlava di un attacco da parte del gruppo Al-Shabaab contro alcuni militari italiani a Mogadiscio. Quella volta scrisse: «Solidarietà ai nostri militari, fortunatamente rimasti illesi. Vedo che i 4 milioni di euro pagati per il riscatto di Silvia Romano sono stati subito messi a frutto!». Poi, sommersa dalle critiche, cancellò il post.
L’attacco al capo dello Stato: «Non ho messo la foto di Sergio Mattarella nel mio ufficio, è un retaggio dell’Ancien Régime».
Le crociate contro omosessuali e musulmani: «Infatti il prossimo Gay Pride lo organizzano a Kabul. Vi aspettano!».
Le perle sul femminicidio: «Penso che le manifestazioni contro la violenza sulle donne servano a poco. Di violenze ne subiamo tutti, ogni giorno. E magari le compiamo. La violenza è parte dell’uomo e della donna, è parte della natura». Eccetera.
Susanna Ceccardi è una sorta di compendio umano della propaganda becero-caricaturale leghista.
È sempre stata così. Nel 2014, partecipando al programma Announo condotto da Giulia Innocenzi e Michele Santoro, si lanciò in una lisergica invettiva contro i migranti. Disse:
Chi mi ha accusato di tenere più alla vita di un chihuahua che alla vita degli immigrati che sbarcano non capisce che i chihuahua non sbarcano a migliaia sulle nostre coste, e io al massimo a casa mia posso tenere uno o due chihuahua.
Una così, Salvini la voleva mettere a capo della Toscana. La mia Toscana. Durante il voto, mandava dei WhatsApp per esortarci a votarla. Li mandava anche a me!!!
Fortunatamente è stata spazzata via alle elezioni. Ha vinto il centrosinistra. E la Lega è riuscita a perdere al ballottaggio financo nella sua Cascina.
A quel punto Ceccardi è scappata di corsa a Bruxelles per tornare a fare l’europarlamentare. E per settimane non ha detto nulla, in una sorta di silenzio stampa autoimposto.
Sono stati gli unici giorni in cui ha detto qualcosa di sensato.
Tra le tante disgrazie piovuteci addosso, c’è anche quella di avere eletto a maître à penser Flavio Briatore. Martedì 31 marzo, nella mia rubrica Identikit sul «Fatto Quotidiano», ho scritto un articolo su di lui. Questo.
Menomale che, in questi tempi bui, Flavio Briatore ci indica la via. Domenica era da Giletti. Il conduttore di La7, come tutti (io per primo), aveva sottovalutato il Coronavirus. A inizio marzo, durante una puntata di Otto e mezzo, Severgnini (che abita a Milano ed è nato a Crema) provava a dirgli: «Guarda Massimo che la situazione qui è molto seria». E lui: «Sì, okay, però non esageriamo e adesso apriamo tutto». All’epoca ci stava. E invece siamo stati tutti travolti.
Per fortuna Briatore ci ha dispensato il verbo. Due sere fa ha sentenziato che «Conte e Speranza hanno commesso tre reati», mentre «Trump ha salvato l’America in dieci giorni». Me cojoni. I tre reati sarebbero: «tacere» (a gennaio e inizio febbraio), «diffondere» (nel senso che il virus ce l’hanno attaccato personalmente Conte e Speranza) e adesso «non agire». Invece Briatore sapeva tutto, perché lui – che è figo – lavora con la Cina e dunque conosceva da mesi la ferocia del virus. Anche chiudere i voli dalla Cina, secondo lui, è stato un errore. E adesso? Adesso i soldi andrebbero dati ai cittadini (non ai Comuni) e alle industrie (cioè a quelli come lui). Altro che le elemosine di Conte. Fa piacere che il virologo e intellettuale Briatore ci detti la linea. Qualche considerazione.
1. Col senno di poi, gentil Briatore, son bravi tutti. Se mio nonno avesse avuto le ruote, sarebbe stato una Maserati.
2. Simili interventi, oltre a essere inutili, in una fase storica simile equivalgono a teoriche polveriere perché esacerbano colpevolmente gli animi. Dico «teoriche» perché il tenero Briatore non lo ascolta nessuno, ma la gravità delle parole resta.
3. Prendere a esempio Trump fa ridere, tenendo conto che fino a dieci giorni fa (nonostante la pandemia in Europa) il gerarca statunitense minimizzava come quei carciofi fascio-tordi di Boris Johnson e Bolsonaro. Tutta gente che immagino piaccia molto al compagno Briatore.
4. Il governo italiano ha senz’altro inizialmente sottovalutato (come tutti) il virus, ma se adesso in ogni Paese si fa quello che abbiamo fatto noi per primi, forse il parere del camerata Briatore vale meno di quello di Gasparri. Cioè niente.
5. Prestare politicamente ascolto a uno che vuole fondare un partito dal nome «Movimento del fare» per cercare la sponda con Salvini, Meloni, Berlusca e Renzi, sarebbe quasi come chiedere a Ventura se ha un’idea per rilanciare la nazionale. Dai, su.
6. Non c’entra niente, o forse sì, ma uno che indossa quelle babbucce esteticamente empie non può pretendere di essere preso sul serio.
7. Per Briatore «l’idea Paese» coincide col Billionaire. Tutto molto bello. Ci perdonerà però se molti continueranno a pensare a Calamandrei o Parri come padri nobili. E non a lui.
8. Non c’entra niente, o forse sì, ma sarebbe ora che Briatore imparasse a parlare in italiano e non si esprimesse in «crozzese». Quel suo eloquio da Stanlio irrisolto, con le vocali a caso e la fonetica vilipesa, è oltremodo esecrabile.
9. Soprattutto: se il garbato Briatore vuole pontificare per forza, abbia almeno l’accortezza di dare l’esempio. A partire dal suo rapporto, sin qui vagamente conflittuale, con il fisco italiano. In caso contrario, parli di Formula 1 o di come fare soldi. Non d’altro. E se proprio avverte l’urgenza di delirare di cose più grandi di lui, lo faccia in un privé del Twiga con la Santanchè, magari mentre sorseggiano Krug scambiandolo per un prosecchino chimico (o viceversa). La situazione è già difficile così: avere pure lui come ennesima molotov caricaturale, sarebbe davvero troppo.
Briatore non apprezzò il mio affetto e, il giorno dopo, scrisse al giornale una replica stizzita. Il passaggio forte era quello in cui sosteneva che, se a me davano fastidio le sue babbucce esteticamente empie, a lui dava fastidio la mia «collanina da filosofo». Badate bene: non «da rocker», o se preferite «da sfigato». No: «da filosofo». E in effetti lo sanno un po’ tutti ...