Non so se dipende dalla destinazione che ho scelto o dal periodo, ma il pullman è quasi vuoto. Dico all’autista che nello zaino ci sono cose che mi possono servire, e lui me lo lascia portare a bordo. Lo metto sul sedile accanto al mio, per scoraggiare chiunque a scegliere quel posto. E se questo non basasse, metto a punto la migliore delle mie facce da “lasciatemi stare”.
Dopo un po’ che siamo partiti, però, non posso fare a meno di notare un palestrato seduto dall’altra parte del corridoio. Di tanto in tanto, mi lancia delle occhiate amichevoli, del tipo: “So che cosa stai facendo e ti capisco…”. A volte uno scambio di sguardi di pochi secondi equivale a una conversazione di ore.
E infatti. «Vai al mare?» mi chiede.
Niente, non si può proprio stare in pace.
«Non ho un piano preciso» rispondo sul vago, per cercare di tagliare corto. «Ma qui non potevo più stare.»
Perché non posso rimanere nel mio cantuccio, ripiegato su me stesso, trovando mille modi diversi per commiserarmi, mentre vengo cullato dalle sospensioni a buon mercato dell’autobus low-cost a cui ho affidato il mio malessere?
«A chi lo dici! Ho sentito che hai detto all’autista che scendi a Termoli… Vuoi verificare l’esistenza del Molise?» domanda lui con una risata.
Come battuta lascia a desiderare: fa riferimento a un meme piuttosto vecchio. Eppure c’è qualcosa nel suo sguardo che mi spinge a rispondere.
«Effettivamente non potevo più vivere con questo dubbio.»
Ma quello che vorrei dire davvero è: “Ci vado perché difficilmente troverò qualcuno che conosco. Stare in posti dove nessuno sa chi sono mi fa sentire tranquillo. Come se in fondo a nessuno importasse davvero quello che faccio. Mi toglie l’ansia di essere giudicato e mi fa credere che la vita non è altro che un gioco da prendere con divertimento”.
Decido di dirgli comunque una parte di verità: «Avevo semplicemente voglia di staccare».
«Da cosa?»
«Da tutto.»
Non c’è niente da fare, questo ragazzo con il petto gigante vuole a ogni costo continuare la conversazione. Aggiunge sorridendo: «Ti tolgo io il dubbio: il Molise esiste, ci abitavano i miei nonni e ogni tanto vado lì a rifugiarmi».
Il pullman mezzo vuoto, il tramonto che sta preparando una serata tersa e suggestiva mi invitano a parlare. Gli chiedo che palestra frequenta, visto il suo fisico scolpito.
«Certo, bisogna essere in forma…» commenta lui con sarcasmo. «Poi bisogna anche far carriera, altrimenti non guadagni abbastanza, poi bisogna avere una bella casa e una bella macchina e così via, ma c’è sempre qualcuno che ha più di te, che è meglio di te. Lo sai che cosa veramente non sopporto più? Questa corsa, questa competizione continua con chi ti sta intorno.»
Sposto lo sguardo da lui al finestrino: il tramonto ha lasciato una luce rossa accesa. Sembra quasi che il palestrato stia parlando di me. E poi è strano, di solito questi concetti non si esprimono… “Interessato io alla carriera? Figurati! Dispiaciuto di non aver passato il concorso? Ma chi se ne frega…” E intanto soffochiamo il mal di stomaco, il fiato corto, il cuore che batte a mille e non sappiamo come farlo rallentare.
«Ora ti racconto una cosa che non ho ancora detto a nessuno» riprende lui. «Forse perché è più facile farlo con qualcuno che si conosce appena… La scorsa settimana avevo un colloquio di lavoro piuttosto importante, poteva venirne fuori qualcosa di bello, ma… non ce l’ho fatta. Sono andato via, la tensione era troppo forte. Ed ecco perché sto scappando in Molise, mi pare sempre di non essere abbastanza. E più vado avanti, peggio è.»
Sì, sembra proprio che stia parlando di me, anche se non è solo per questo che sono scappato. Anche per questo, non solo per questo. Il fatto è che quando so di avere opportunità importanti me la vivo malissimo. Non dormo, non mangio, ci penso ininterrottamente. E poi, quando mi ci trovo davanti, mi sento a un bivio: da una parte la strada del successo, dall’altra una via oscura piena di morte e minacce. Forse esiste una terza via che non ho mai saputo vedere.
Ora il suo viso ha perso il sorriso, ma allo stesso tempo sembra più disteso. Io apro lo zaino – incredibile quanta roba contenga –, tiro fuori uno specchio e glielo passo.
«Cosa c’è? Ho qualcosa fuori posto?» mi chiede scherzando.
«Mentre parlavi mi sembrava di guardarmi allo specchio…» rispondo. «È proprio questo che ci serve, guardarci allo specchio. Ma non distrattamente, di sfuggita, solo per pettinarsi o mettersi in ordine. Dobbiamo osservare tutti i meravigliosi particolari di cui siamo fatti…»
Lui rimane un po’ pensieroso, poi quasi all’improvviso mi domanda: «La sai la storia del vetraio e dello specchio difettoso?».
«No, mai sentita.»
«Non ricordo dove l’ho letta. Forse su un libro. Forse su un cartellone pubblicitario… Magari era un video! Ma credo sia piuttosto famosa…»
«Raccontamela.»
«C’era questa persona, non ricordo se un ragazzo o una ragazza ma poco importa. È appena uscita da una relazione durata tanti anni. E a quel punto il suo o la sua ex ha iniziato ad apparire di continuo nel suo specchio. Ogni giorno. Una persecuzione!»
«Chissà, magari all’epoca non c’erano ancora le leggi sullo stalking…»
Lui fa una smorfia, come a dire di lasciarlo continuare. «Fatto sta che ogni volta che l’ex appariva nello specchio le insicurezze di questa persona riaffioravano e prendevano il sopravvento. Tipo lo specchio della regina cattiva di Biancaneve, ma al contrario! Invece di essere rassicurata, veniva smontata e basta… Puoi immaginare lo spavento. Questa persona ha quindi riportato subito lo specchio al vetraio, arrabbiandosi e dicendogli che era difettoso. Non c’era nulla da fare, voleva uno specchio nuovo!»
«E il vetraio cosa ha risposto? Gli ha chiesto il numero di telefono del suo spacciatore?»
«No. Il vetraio ha ascoltato pazientemente le parole del cliente arrabbiato. Poi ha detto che era impossibile, in vita sua non aveva mai venduto qualcosa di difettoso. Allora ha preso con calma lo specchio…» Il ragazzo afferra saldamente il mio specchio e comincia a muoverlo ad ampi gesti. «Il vetraio ha pulito lo specchio, con un panno umido, mettendoci tutta la cura e tutto l’amore che hanno solo gli artigiani esperti. Nel frattempo, spiegava che gli specchi difettosi non esistono. Esistono solo le relazioni difettose. A volte una persona ci dà un riflesso sbagliato di noi stessi. E pensa un po’… noi ci crediamo pure, a quel riflesso! A volte ci rimaniamo persino legati per sempre! Quindi, vedi, basta una pulitina al vetro e il riflesso sbagliato sparisce per sempre.»
Dopo aver passato più volte sopra il mio specchio un panno preso dalla sua borsa, me lo mostra. Effettivamente ora è pulito, sembra quasi nuovo.
«Ah… non mi sono ancora presentato, io mi chiamo Vincenzo» mi dice, stringendomi, anzi stritolandomi, la mano.
«Piacere» faccio io, e gli dico il mio nome. «Ma lo specchio… tienilo pure, te lo regalo!»